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Farmaco anti-artrite riduce il rischio di Alzheimer del 64 per cento, la Pfizer tiene nascosta la notizia

La scoperta, avvenuta nel 2015, è stata definita sorprendente. Ecco perché il colosso farmaceutico ha preferito non condurre ulteriori indagini e secretare le preziose informazioni

Roberto Zoncadi R. Z.   

Nel 2015 un team di ricercatori della Pfizer ha scoperto che un suo farmaco, sviluppato specificatamente per combattere l’artrite reumatoide, poteva ridurre drasticamente il rischio di Alzheimer del 64 per cento. Nonostante l’elevato potenziale del medicinale antinfiammatorio, l’Enbrel* (etanercept), la casa farmaceutica si è dovuta arrendere dinanzi ai costi necessari per effettuare ulteriori test clinici. La discussione, all’interno del colosso statunitense, si è protratta per lungo tempo, ma alla fine il Cda ha deciso di non imbarcarsi in quella che sarebbe stata una causa economicamente svantaggiosa: Pfizer, ha confermato la stessa società attraverso una nota, ha deciso di non condurre ulteriori indagini e ha scelto di non rendere pubblici i dati.

Brevetto ormai scaduto

I ricercatori della divisione malattie infiammatorie e immunologia dell’azienda, ha scritto Christopher Rowland - dopo esser entrato in possesso di un documento interno - sulle pagine del Washington Post, avevano invitato la Pfizer a condurre una sperimentazione clinica su migliaia di pazienti, ma questa sarebbe costata 80 milioni di dollari. Secondo i critici la vera ragione che ha portato alla decisione non era tuttavia l’investimento richiesto... Ottanta milioni di euro, per un colosso farmaceutico della portata di Pfizer, non sono poi così tanti. Semmai, evidenziano alcuni il gigante (che nel 2018 ha dismesso la sua divisione Neurologia) non avrebbe investito in questa ricerca perché si trattava di un farmaco il cui brevetto era ormai scaduto.

La verità sul farmaco

“Enbrel - si leggeva sul file PowerPoint mostrato nel corso di un incontro dirigenziale che si è tenuto nel febbraio del 2018 - potrebbe potenzialmente prevenire, curare e rallentare la progressione della malattia di Alzheimer”. Ma il colosso farmaceutico alla fine non ha voluto testare quello che, probabilmente, sarebbe potuto diventare uno dei pochissimi medicinali al mondo in grado di combattere la malattia neurodegenerativa. Enbrel, si giustifica ora l’azienda, “non sembrava promettente per la prevenzione dell’Alzheimer in quanto non in grado di raggiungere direttamente il tessuto cerebrale”. La scienza è stata l’unico fattore determinante la decisione, ha detto il portavoce Ed Harnaga: la pubblicazione delle informazioni avrebbe potuto portato fuori strada gli scienziati.

L'appello della comunità scientifica

Ma oggi diversi scienziati indipendenti sostengono errate le valutazioni della Pfizer. Se il colosso avesse divulgato i dati in proprio possesso, la comunità scientifica internazionale avrebbe potuto studiare il potenziale dell’Enbrel e, nella peggiore delle ipotesi, si sarebbero potuti raccogliere indizi capaci di guidare altri ricercatori verso una potenziale cura delle malattia. E la comunità scientifica ora lancia un appello, nella speranza che Pfizer, evidentemente non interessato a quel progetto, possa comunque rendere pubblici i risultati: “Avere quei dati sarebbe utile per la comunità scientifica - sostiene Keenan Walker, assistente professore di medicina presso la Johns Hopkins University che sta studiando come l’infiammazione contribuisce all’insorgenza dell’Alzheimer -. Che si tratti di dati positivi o negativi ci darebbero maggiori informazioni per prendere decisioni più informate”. Il colosso statunitense, a tal proposito, ancora non avrebbe preso una decisione, ma in tanti confidano in un atto di generosità.

La situazione in Italia

In Italia, più di un milione di persone soffrono di demenza. In tutto il mondo sono più di 44 milioni. La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza. Tra il 50 e il 70 per cento delle persone affette da demenza soffrono di malattia di Alzheimer. Questa malattia, che prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 descrisse per primo i sintomi e gli aspetti neuropatologici della malattia, è caratterizzata da un processo degenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule del cervello, danneggiando la memoria e le funzioni mentali (ma può causare altri problemi come confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale).

Roberto Zoncadi R. Z.   
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