L’armonia interrotta tra paese e paesaggio. Le Langhe pagano il prezzo di turismo e successo

Tanti turisti vengono in vacanza nelle Langhe, e tanti stranieri innamorati di questa parte d’Italia comprano case e terreni. Poi, c’è il proficuo boom del vino: e così un territorio vario – e custode di preziose biodiversità – diventa monotona distesa di vigneti destinati a una produzione industrializzata. I borghi si adattano alle esigenze dei turisti, o meglio: a quello che si immagina siano le loro esigenze. E così i paesi perdono la loro identità di comunità contadina, s’interrompe il filo della memoria storica, resta la caricatura – nelle insegne e nei tour enogastronomici – di quello che sta scomparendo. E se si svuotano e trasformano i paesi ne patisce inevitabilmente anche il paesaggio
L’articolo di LAURANA LAJOLO
NELLE LANGHE PATRIMONIO UNESCO è stato registrato quest’anno un flusso turistico superiore alla media nazionale, americani stanno comprando case e terre, belle aziende di produttori e produttrici sono vendute a holding del vino. A che prezzo questo successo? Data la redditività del vino, la Langa è diventata un’estensione continua di vigneti, eliminando boschi e coltivi e quindi la biodiversità tipica del territorio. E ora che i cambiamenti climatici causano la siccità, quasi un castigo biblico, i produttori più famosi, e quindi più ricchi, progettano di trasportare i vigneti sulla Langa montana, quella raccontata da Fenoglio negli anni ’50. La trasformazione industrializzata della produzione vinicola ha inciso anche sulla conformazione dei paesi, che danno il nome ai vini più noti da Barolo a Barbaresco, in borghi a misura di turisti, senza più i connotati tipici della comunità contadina con installazioni e decorazioni murarie anomale, da villaggio per le vacanze con posticce ricostruzioni di vita campagnola. Le stesse feste tradizionali sono trasformate in “eventi” per i turisti con l’evidente manipolazione dei significati.
Fare agricoltura in collina richiede sempre più capitali e competenze tecnologiche e scientifiche, mentre i vecchi sono ormai ai margini della stessa proprietà di famiglia. Segno buono sono i giovani imprenditori agricoli, ma quel successo, come ha notato recentemente Carlin Petrini, va a scapito della storia dei luoghi, storia di fatica e di sapienza contadina, e porta all’omologazione della cultura consumistica. Se si va a Vinchio, un piccolo paese del Monferrato, anch’esso patrimonio dell’Umanità Unesco e con una produzione vinicola d’eccellenza e una qualificata Cantina sociale, si può misurare più che il flusso turistico o l’acquisto di case da parte degli stranieri, elementi che sono presenti, la scomparsa della vita di comunità: il paese è stato impoverito della scuola, dei servizi di trasporto, di negozi e bar e ora anche della presenza del parroco. Nel piccolo paese mancano luoghi di aggregazione sociale, se non i pranzi della Proloco, e quindi di trasmissione della memoria storica delle radici contadine, quella che reclama Petrini.
Il futuro del vino è solo nel turismo enogastronomico consumistico? Negli anni ’70 lo scrittore Davide Lajolo, consapevole che la società contadina stava scomparendo, per difendere da una speculazione edilizia di un villaggio turistico una valle di Vinchio, il suo paese, definiva poeticamente quella valle “il mio mare verde”, perché aveva immaginato da bambino che quelle colline ondulate, emerse dal mare del Pliocene, fossero come il mare, quello vero. All’inizio degli anni ’90, dopo una lunga e tenace mobilitazione della popolazione del luogo, il “mare verde” è stato protetto con l’istituzione della Riserva naturale della Val Sarmassa. I suoi boschi, in cui si inseriscono vigne pregiate, e la sua avifauna sono un importante patrimonio di biodiversità, che dà un valore aggiunto ai prodotti vino e tartufo, ed è una meta sempre più apprezzata per un turismo verde e sostenibile. Lajolo diceva nel suo racconto “Questa valle è il mio mare” (I Mé) che i contadini del suo paese non dovevano diventare camerieri di ricchi stranieri, ma avevano il diritto di continuare a lavorare la loro terra. Ora quella esigenza si deve allargare per garantire agli abitanti dei paesi arroccati sulle colline i servizi essenziali per la qualità della vita, perché non diventino “spaesati”. Oggi molte case sono vuote e molti vecchi vivono soli. Non bastano le case per le vacanze degli stranieri per mantenere la comunità. Se gli abitanti si riducono in modo evidente, ne soffre anche la salvaguardia di quel paesaggio plasmato dal lavoro dei contadini, perché su quelle colline, patrimonio dell’Umanità, terra e comunità umana sono stati per secoli in simbiosi armonica, come attesta la stessa radice dei vocaboli “paese” e “paesaggio”. Se manca l’uno viene a deperire anche l’altro. Carlin Petrini lancia una campagna per informare i giovani sulla storia contadina millenaria, ma è una speranza, non un ancoraggio sicuro davanti a una trasformazione economica ormai attuata. © RIPRODUZIONE RISERVATA