**Peculato: Romani a pm, 'agito in buona fede, soldi su mio conto sono rimborsi'**
Milano, 14 lug. (Adnkronos) - "Rispetto ai fatti che mi vengono contestati agii in buona fede nella convinzione di utilizzare somme che erano nella mia personale disponibilità, infatti utilizzai assegni quindi pagamenti tracciabili. Riconosco che da un punto di vista di estetica istituzionale si trattò di operazione non elegante ma comunque attuata in buona fede e mi dichiaro disponibile a mettere a disposizione dette somme". Con queste parole il senatore Paolo Romani, indagato per peculato, si è rivolto al sostituto procuratore di Monza Franca Macchia.
Convocato lo scorso 8 luglio, l'esponente politico ha rifiutato di rispondere all'interrogatorio e ha reso dichiarazioni spontanee dicendosi pronto a restituire il denaro - circa 350mila euro - al centro dell'indagine. Secondo la tesi accusatoria il senatore avrebbe utilizzato i soldi del gruppo parlamentare di Forza Italia, suo ex partito, in modo non consono. Accuse che fanno riferimento al periodo in cui rivestiva il ruolo di capo gruppo del Senato per FI, nomina che arriva solo poche settimane dal patto del Nazareno. "In tale contesto mi trovai a svolgere compiti di raccordo molto onerosi anche sotto il profilo delle spese necessarie a questa attività che spesso comportava la necessità di portare a cena le persone coinvolte" sostiene davanti al magistrato.
Tra il 2012 e l'inizio del 2013 "furono introdotte nuove regole sulla rendicontazione delle spese dei gruppi parlamentari. In tale contesto mi trovai per circa un anno e mezzo ad affrontare spese di pertinenza del partito con risorse personali. Dopo un certo periodo decisi di rimborsarmi le somme erogate essendomi informato sulla possibilità di utilizzare risorse pregresse a disposizione del gruppo delle quali mi era stato detto che non vi era alcun obbligo né di rendicontazione, né di restituzione". Quando il direttore della banca "mi fece presente che non era elegante fare degli assegni personali per un rimborso diretto dal conto del Senato e questo mi indusse a rivolgermi a Domenico Pedico (anche lui indagato, ndr) con il quale avevo rapporti risalenti per comuni attività imprenditoriali".