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La grande “tonaca” del guelfo-ghibellino, il Magnifico presbitero Don Cosimo Damiano Fonseca

di Italia Libera   
La grande “tonaca” del guelfo-ghibellino, il Magnifico presbitero Don Cosimo Damiano Fonseca

Storico e medievalista eccelso, riferimento imprescindibile degli studi su Federico II di Svevia, il professor Fonseca è stato il primo rettore dell’Università della Basilicata (di cui è l’autentico fondatore). Accademico dei Lincei, a novantadue anni vive appartato fra le migliaia di libri della sua casa “baronale” di Massafra. In visita nella Basilicata devastata tre anni prima dal terremoto del 1980, il Presidente della Repubblica più amato dagli italiani nello stringere la mano della mamma del rettore, le chiese con chi mai avesse concepito un tale figlio. “Con il Padreterno”, fu la sua timida risposta, cui fece da contrappunto una fragorosa risata di Sandro Pertini. Nel ritratto che segue Arturo Guastella si sofferma sul suo profilo intellettuale e la raffinatezza del suo tratto umano, alla vigilia del settantesimo anno di consacrazione al sacerdozio di Don Fonseca

◆ L’articolo di ARTURO GUASTELLA

► Allora, il 19 settembre di settanta anni fa, sembrava che la consacrazione al sacerdozio di quel giovanissimo seminarista del profondo Sud, di Massafra, dallo sguardo così profondamente intelligente, facesse prevedere per lui un futuro radioso fra le altissime gerarchie della Chiesa. Solo che i suoi intenti, i suoi progetti, pur nel sentiero del cattolicesimo più autentico e della religiosità più sentita e vissuta, allargavano grandemente i confini anche alla storia, alla filosofia, alla ricerca e alla didattica. Infatti Cosimo Damiano Fonseca, dopo la laurea in Teologia a Roma, si laurea in Filosofia alla Cattolica di Milano, allora frequentata da ragazzi meridionali come Ciriaco De Mita o Riccardo Misasi, le cui successive carriere politiche sono ben note per tornarci sopra.

Ma, Don Fonseca, diventato anche il dott. Cosimo Damiano Fonseca, incontra alla Cattolica un maestro straordinario, l’andriese Cinzio Violante, un cattolico laico che — fra la Normale di Pisa, la Catania di Rosario Romeo, la Napoli di Elena Croce, di Federico Chabod, di Ettore Lepore o di Francesco Compagna, la Roma di Arsenio Frugoni, Raoul Manselli, Paolo Lamma, Girolamo Arnaldi, Ovidio Capitani — aveva affinato lo studio sul Medioevo, anche sotto l’aspetto sociale, politico ed economico. Tutti gli studiosi, insomma, che “ridisegnarono” la medievistica italiana, che, fino ad allora, Armando Saitta aveva definito, “brulla e sterile landa”. Inoltre, Cinzio Violante non era digiuno della dottrina di Karl Marx, tanto che, scherzosamente, Delio Cantimori, lo aveva definito “catto-marxista crociano”.

Questa digressione per sottolineare come gli orizzonti di conoscenza del nostro futuro “Monsignore” si fossero allargati anche a settori ben al di fuori dei confini del Tomismo o della Scolastica. La mia antica frequentazione con questa grande “tonaca” mi ha permesso di scrivere di lui come di un “guelfo-ghibellino”, o, per la raffinatezza del suo tratto, di prendere a prestito l’Aramis di Dumas, o delle sue preferenze per l’antropologia esistenzialistica del filosofo tedesco Jurgen Habermas. E, poiché scrivo di questa straordinaria ricorrenza del suo sacerdozio, a sua insaputa, prima che egli mi fermi la penna, rimproverandomi di indulgere un po’ troppo sui “barocchismi”, riempio in tutta fretta solo qualche decina di righe, ben consapevole che per parlare compiutamente di lui, della sua carriera e delle sue opere, di pagine ne servirebbero un centinaio. E non basterebbero ancora. A soli trentadue anni, nel 1964, il nostro immenso “pretino” ottiene la libera docenza in Storia della Chiesa, e solo un paio di anni dopo, con voto unanime, risulta vincitore a Padova del concorso a Cattedra di Storia Medievale.

Tiro un po’ il fiato, per continuare con il suo cursus honorum, nelle Università di Milano, Brescia, Bari, Lecce. E il Rettorato nella nuova Università della Basilicata (della quale, come è arcinoto, ne è stato l’autentico fondatore) per tredici anni, e, quindi, il ritorno alla Cattedra di Storia Medievale all’Università di Bari, la Direzione della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera (da lui stesso fondata) e la Presidenza dell’Istituto di Studi Federiciani del Cnr. Nel frattempo, centinaia, se non migliaia, di pubblicazioni, spaziando fra Medioevo, Civiltà Rupestre, i Normanni e Meridionalismo, tanto da essere considerato uno dei più autorevoli saggisti-storici in questo settore, e Il Messaggero di Vittorio Emiliani, pubblicava i suoi articoli con cadenza settimanale.

Chi scrive, poi, ha ancora negli occhi quella volta, nel 1983, quando l’indimenticabile Presidente della Repubblica Sandro Pertini, venne in visita a Potenza e rimase letteralmente sbalordito di come dalle macerie del terremoto devastante di appena tre anni prima, fosse già in piena attività un Ateneo nuovo di zecca, opera soprattutto di quel prete dall’aspetto raffinato. Un cattedratico mai noioso e dall’eloquio colto ed ammaliante, all’interno del quale eloquio, le “consecutio temporum” potevano succedersi anche per ore, senza che nessuna delle consecutio, desse il minimo segno di stanchezza… Sbalordito, tanto da chiedere al prof. Fonseca, di poter conoscere i suoi genitori. Poi, con la spontaneità che contraddistingueva il forse più amato dei Presidenti italiani, nello stringere la mano della mamma del rettore, le chiese con chi mai avesse concepito un tale figlio. “Con il Padreterno”, fu la sua timida risposta, cui fece da contrappunto una fragorosa risata di Sandro Pertini.

Ora il nostro caro Don Fonseca vive appartato fra le migliaia di libri della sua casa “baronale” di Massafra. Libri che ha voluto donare alla biblioteca della sua città. Vive appartato, è vero. Ma non in ozio. È sempre circondato da suoi ex allievi, ora, a loro volta, docenti. Ma anche da giovani studenti. Questo quando non è in giro per l’Italia, malgrado le sue novantadue estati (non mi piacciono le primavere), o ad una riunione all’Accademia dei Lincei, della quale è membro da moltissimi anni. O al telefono ora per rispondere ai colleghi di quelle Università di mezzo mondo che gli hanno tributato onorificenze. Non le elenco tutte, mio carissimo Don Fonseca, solo Barcellona, Istanbul, Varsavia, Poitiers, Stoccarda, Atene, Il Cairo, Beirut, Buenos Aires, Tiblisi, Saint Andrew e, ma sì, mi taccio di tutte le altre. Avrei ancora tante cose da aggiungere e altri suoi grandi meriti da citare. Lo farò, quando, come al solito, verrò ad abbracciarlo e a farmi ammaliare dai suoi racconti. E mi piace chiudere, con un pensiero del suo antico amico, quel Giorgio Bassani, presidente di Italia Nostra, che lo volle presidente della Sezione della Puglia, “più del presente conta il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può apparire che delusivo, banale, insufficiente”, e la sua memoria, professore, costituisce davvero un tesoro inestimabile. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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