[Il retroscena] La mossa di Zaia per sfidare Salvini e rilanciare il “modello centrodestra”

Il governatore del Veneto dà fiato alle preoccupazioni dei leghisti del Nord contro l’esecutivo: “Ci auguriamo che il governo realizzi il Contratto Lega - M5s, ma il nostro contratto con gli elettori vale di più”. Aveva già criticato il Dl Dignità scritto da Luigi Di Maio e chiesto a Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti di fare marcia indietro. L’ex ministro marca la distanza coi Cinquestelle e rivendica di essere “l’amministratore che ha rimesso in moto la più grande opera pubblica italiana” e accusa: “Dire che dietro ogni cantiere c’è un ladro è propaganda. Le infrastrutture sono un banco di prova”. Zaia è l’amministratore non forzista più stimato dal Cavaliere e rilancia quel modello di governo, il preferito dagli industriali. Penalizzato dal segretario nella composizione delle liste, il governatore può comunque contare su 30 parlamentari

Zaia e Salvini si stringono la mano

Piano piano Luca Zaia si fa avanti. Il governatore del Veneto, titolare del più votato - e forse più importante - modello di governo di centrodestra tuttora in esercizio, non è estraneo alle preoccupazioni del tessuto produttivo del “suo” Nord Est e si fa interprete delle preoccupazioni che attraversano quelle aree del Paese e anche la stessa Lega per come si sta muovendo il governo gialloverde. Per due giorni le dichiarazioni dell’ex ministro dell’Agricoltura del governo di Silvio Berlusconi contro i Cinquestelle indicati come “il partito dei No” sono rimaste confinate alla stampa locale, si sono fermate in Veneto. “Oggi vedo che i “no-Gronda” sono spariti: mi piacerebbe che i giornalisti andassero a intervistarli…. Sono davvero tante le opere contestate che poi si sono rivelate funzionali”, diceva all’indomani del crollo del Ponte di Genova.

“Ecco perché ritengo che quello attuale sia un bel banco di prova per il Movimento Cinquestelle, per sapere da che parte sta: con le opere o contro”, ha aggiunto. Per le opere o contro? Rieletto nel 2015 con più del cinquanta per cento dei voti, tutt’oggi valutato da Monitor Index Research come il governatore più apprezzato dagli elettori - con un gradimento che sfiora il 60 % - era stato “attenzionato” un anno fa dal Cavaliere che lo avrebbe voluto premier di un governo di centrodestra allargato, ma e’ rimasto dove stava. Zaia, dopo il ritiro di Roberto Maroni, è certamente il leghista più apprezzato ad Arcore e viene considerato da tutti l’avversario interno al Carroccio più temuto da Matteo Salvini.

Ecco perché sono partiti molti sms con richieste di spiegazioni alla volta del Veneto dopo che, a Roma, ieri mattina hanno letto l’intervista a La Stampa con la quale il governatore della Regione Veneto irrompeva sullo scenario nazionale e lanciava un monito ai leghisti romani, certificando il suo essere differente. Prima stoccata: “Nazionalizzare le autostrade? La loro idea non mi convince per nulla. Penso che sarebbe un bagno di sangue per la collettività”. Obbiettivo della dichiarazione il governo che, dietro pressione di Luigi Di Maio e dei Cinquestelle, ha piegato la Lega a ritirare la concessione ai Benetton e sta lavorando per riportare le Autostrade in capo allo Stato. Secondo: “E’ solo uno spot propagandistico sostenere che dovunque c’è un cantiere c’è un ladro o che occorre continuamente azzerare tutto”.  Qui la botta è a Danilo Toninelli, ministro per le Infrastrutture,  e alla sua teoria secondo cui dalla Tav in giù i cantieri sono “mangiatoie” e non occasioni di sviluppo per il Paese. Lui con quel modo di fare e di pensare c’entra poco, chiarisce: “Sono l’amministratore che ha rimesso in moto la più grande opera italiana oggi in cantiere: la Pedemontana Veneta”, rivendica nell’intervista al quotidiano torinese. 

Se gli altri della Lega sono diventati no tav, no tap e no tutto, il governatore resta fieramente per la modernità e lo dice chiaro e tondo.  Quarto e ultimo concetto: “Noi tutti tifiamo perché possa realizzarsi il Contratto di governo sottoscritto con i Cinquestelle, ma se così non fosse verrebbero meno gli impegni presi coi cittadini”. Morale: l’accordo per il governo sottoscritto da Matteo Salvini e Luigi Di Maio sarà pure “la Bibbia” per i suoi contraenti, ma il patto con gli elettori che hanno votato un programma di centrodestra dovrebbe venire prima. Fino a che punto la Lega può venire meno a quegli impegni presi in nome della necessità di avere un esecutivo? Quanto può durare un governo che ondeggia tra idee così lontane come il Sì e il No alle opere pubbliche? 

Il passo in avanti del governatore segue un altro tentativo, più sotterraneo, di riportare il Carroccio in carreggiata, cioè saldamente tra i liberali e i liberisti di centrodestra, fatto un mesetto fa. Quando erano cominciate a girare le prime bozze del Decreto Dignità, il Veneto era subito ribollito. “E’ stato scritto da uno Di Maio che non ha mai lavorato in vita sua”, “così il Governo ci rovina”, dicevano Confindustria Veneto e 600 industriali del Nord-Est aderenti alla sigla. La Liga Veneta, con la quale il “capitano” è stato poco generoso nelle liste per le Politiche proprio per ridimensionare la leadership del Governatore, si è schierata su posizioni critiche nei confronti del governo, preoccupata di deludere la propria base fatta soprattutto di piccoli imprenditori e artigiani. Zaia, quella volta con discrezione, aveva segnalato la sua preoccupazione via Whatsapp al vicepremier e segretario del suo partito e anche al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti. Niente. Solo sui voucher i leghisti avevano ottenuto un piccolo successo rispetto all’impianto generale del provvedimento targato dall’altro vicepremier. Ad un certo punto qualcuno in Veneto aveva gonfiato i muscoli facendo presente ai capi leghisti che, nonostante le liste fatte col bilancino, “ci sono almeno una trentina di parlamentari veneti” della Lega che non sono indifferenti alle indicazioni del governatore. 

La mossa di Zaia è doppiamente politica. Il governatore del Veneto critica il governo gialloverde su temi nei quali si è discostato dal programma leghista e così facendo solletica l’elettorato classico del Carroccio, accusando i leghisti romani di badare più al Contratto con Di Maio che a quello con gli elettori, e rilancia l’alleanza di centrodestra  - intesa come Lega, Fi e Fdi - come modello.  Il vecchio schema ideato dal Cavaliere e da Umberto Bossi, che è profondamente in crisi ma non è ancora morto, resta l’unica alternativa possibile all’accordo Lega - M5s e Zaia, così facendo, la sottolinea e magari si candida a guidarne una riedizione. Quello stesso modello ha vinto pochi mesi fa in Lombardia, dove governa un altro leghista “moderato”, preoccupato pure lui per i troppi “no” dei pentastellati. Sia in Veneto che in Lombardia la guida è leghista, ma nessuno dei due presidenti ha mai minacciato di lasciare fuori gli altri partiti della coalizione o non considerato Forza Italia o Fratelli d’Italia. Il “blocco sociale”  di quel modello resiste. Anzi, dopo le prime mosse del governo è sempre più definito, si identifica con le forze produttive delle Regioni Settentrionali.

Dopo che Confindustria da settimane bombarda il governo sugli stessi temi - Dl Dignità e e infrastrutture- e indica la filosofia dei Cinquestelle come un problema, ieri il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, ha spiegato il perché “al Nord servono le infrastrutture e non il populismo” fornendo i numeri. “Emblematico è il caso della Tav e di quell' area economica europea integrata che va da Trieste a Lione, passando per Treviso, Padova, Verona, Bologna, Milano, Novara, Torino e Grenoble, che nel 2016 ha generato un Pil di 1.191 miliardi di euro, più grande di quello della Spagna (1.118 miliardi) e della somma di due colossi come il Baden-Württenberg e la Baviera (1.049 miliardi insieme)”, segnalava ieri. “Il Nord Ovest Italia ha un Pil di 549 miliardi di euro, il Nord Est Italia di 387 miliardi, il Rodano-Alpi di 217 miliardi e l'Alvernia di 39 miliardi”, stimava ancora. Fermare l’industria manifatturiera del Nord chiudendo i cantieri o non aprendone di nuovi, dunque,  non aiuterà a finanziare misure come il reddito di cittadinanza pensate per il Sud e che hanno consentito ai Cinquestelle di fare il pieno nel Mezzogiorno, ma, al contrario, rischierebbe di far diminuire il Pil e con esso le risorse a disposizione. Può Salvini, che va forte dappertutto ma è ancora dietro a Fi nel Mezzogiorno, voltare le spalle al Nord?