[Il punto] Il M5S crolla ma anche il Pd perde: attenzione a non spingere sempre più i grillini tra le braccia della Lega
In Sardegna i pentastellati non arrivano al 10 per cento, ma anche il Pd scende dal 22 al 13 per cento. Qualche segnale positivo viene dalla coalizione orientata a sinistra. Strada che Zingaretti sembra voler percorrere in futuro. Cacciari sul Fatto: “Incredibile che il Pd non si misuri concretamente sui temi caratterizzanti il M5S”.

Cosa dicono in sostanza le elezioni sarde? Una prima cosa: gli exit poll ultimamente non ne azzeccano una. Poi un'altra inoppugnabile: stravince il Centrodestra sull’onda del vento Salvinico, crolla il M5S, continua però anche il dissanguamento del Pd che, alle regionali sarde, passa dal 22 per cento al 13,4 per cento (aveva raggiunto il 15 per cento alle scorse politiche).
Zedda fa il possibile per arginare l’ondata sardo-destro-leghista, raccoglie a piene mani voti a Cagliari, la città da lui amministrata, ma nulla può poi sul territorio isolano che decreta un gap del 15% tra il suo centrosinistra e il centrodestra del rivale Christian Solinas. Se una lezione si può trarre in casa Dem dalla sconfitta è che i segni di tenuta, se non di ripresa, si avvertono quando l’asticella pende – appunto – a sinistra. Mentre qualcuno a Roma, ancora una volta, si sottrae all’autocritica e tenta di spacciare come inversione di tendenza quella che resta una sonora battosta, si può cercare di trarre qualche istruzione per l’uso da quanto accaduto in Sardegna, e prima ancora, con elementi diversi, in Abruzzo.
Lo sguardo a sinistra
L’indicazione del modello messo in campo da Zedda per “il malato sinistra”, di cui parla il segretario in pectore del Pd Nicola Zingaretti, è volgere lo sguardo effettivamente a sinistra, ai suoi valori e ai suoi riferimenti. E per questo il candidato alla segreteria più quotato, sembra voler aprire a soluzioni di tal tipo. Niente listoni alla Calenda, insomma, e spazio a una coalizione di ispirazione ulivista che comprenda per il futuro formazioni come PiùEuropa, Pizzarotti, Liberi e Uguali e così via. Soprattutto, attenzione ai motivi che hanno portato a perdere la fiducia di fasce sociali come gli operai, i lavoratori dipendenti, i pensionati, gli studenti, i disoccupati, dopo le “epoche” politiche in cui una certa “sinistra” ha eliminato l’articolo 18, portato l’età pensionabile a 67,7 anni, contribuito alla precarizzazione, spremuto i piccoli imprenditori, indignato gli insegnanti, fatto l’occhiolino a imprenditori e banchieri.
Il M5S
D’altro canto sembra arrivato il tempo per i pentastellati di chiedersi se l’abbraccio con la Lega possa continuare senza trovarsi a pagare prezzi irrimediabilmente pesanti. Finora i segnali depongono a favore di un tornaconto soprattutto di Matteo Salvini ad andare avanti nell’esperienza di governo. Ma è indubbio che una quota rilevante dell’elettorato aveva scelto i cinquestelle come parte capace di incarnare una proposta di riforma della società in senso popolare (e non populista). Capace cioè di rimettere al centro delle scelte politiche l’uomo, il cittadino, il lavoratore, lo studente, e non i poteri forti a partire da quelli finanziari. A questo punto però quella scelta è messa progressivamente in dubbio dal connubio con una forza che per certi versi appare reazionaria. Davanti a un rischio di consensi in fuga (alle Europee e alle politiche però il discorso sarà diverso dalle regionali) e di possibili scissioni del Movimento fondato da Grillo la cosiddetta sinistra come dovrebbe comportarsi? E’ possibile pensare a un percorso che porti alla fine alla nascita di uno “spazio” che raccolga tutti quelli che si riconoscono in un progetto nuovo con idee e proposte progressiste? Compresa magari una buona parte dei cinquestelle?

Cacciari
In un azzeccato intervento sul Fatto Quotidiano Massimo Cacciari parte da una considerazione: “La subalternità culturale del Centrosinistra alle mode tardo-liberiste in materia di lavoro, occupazione e distribuzione del reddito, l’assenza o quasi di una sua proposta davvero riformatrice per una nuova governance dell’Unione Europea, avevano portato a vedere nei 5stelle una possibile risposta alla crisi del Paese”. Sembra arrivato il momento tuttavia per i pentastellati di chiedersi “quali e quante di quelle esigenze potranno trovare soddisfazione all’interno di un (perdurante, ndr) accordo strategico con la Lega”. E il contratto stipulato per il governo “potrà – si domanda ancora il professore – funzionare nel senso auspicato dalla stragrande maggioranza dell’elettorato grillino?”.
Una domanda diventa fondamentale nell’ottica di questo ragionamento. “Coloro che hanno votato 5stelle ed erano a Genova coi no-global 20 anni fa, con Cofferati al Circo Massimo, che avevano fatto sventolare le bandiere della pace negli anni della sciagurata guerra in Iraq voluta da Bush jr., trovano un qualche nesso tra il senso di quelle esperienze e ciò a cui vorrebbero portasse il contratto con la Lega? O le ritengono un puro errore? O ritengono, dunque, che avessero già ragione i leghisti di allora?”.
Certi risultati elettorali dovrebbero comunque far riflettere. Senza ombra di dubbio il Carroccio coglie i frutti dell’essere un partito con più esperienza, capacità organizzativa e di amministrazione, e per i cinquestelle il rischio è essere soverchiati dai compagni di percorso. “La Lega potrà forse concedere qualcosa ai 5stelle ma è chiaro come la sua direzione di marcia sia un’altra – osserva Cacciari – Se le cose resteranno così la Lega esaurirà l’energia dell’altra”.
Per evitare la deriva “in cui corrono il rischio di cadere” allora i cinquestelle devono chiarire “quale idea hanno del sistema Paese e di tale sistema nell’ambito dell’Unione”, altrimenti “è destino che, prima, la loro immagine venga oscurata da quella del socio di governo, e poi la loro funzione politica scompaia”. In pratica in politica funziona come in fisica: il “corpo maggiore e più organizzato finisce con l’attrarre nella propria orbita quelli più piccoli”.
Il Pd
Dall’altra bisogna però pretendere un chiarimento anche all’interno del Pd. “Molti sedicenti dirigenti – nota Cacciari – dichiarano che tra Lega e M5S non c’è grande differenza, o non si vede”. Ma dopo aver notato che un “Dio continua ad accecare coloro che sembra aver deciso di perdere” è “incredibile non ci si misuri concretamente sui temi caratterizzanti il M5S, magari con proposte alternative alle loro, ma tese a rispondere ai medesimi problemi, mostrando con ciò di ritenerli altrettanto e più essenziali”.
Secondo Massimo Cacciari è assurdo, in definitiva, “non avvertire il drammatico pericolo che si corre a lasciar andare l’alleanza tra M5S e Lega nella speranzosa attesa di vederli sbattere per meriti propri”. Questa alleanza infatti – se lasciata progredire – potrebbe “farsi strategica”. Potrebbe verificarsi che “per rispondere a esigenze in sé sacrosante di occupazione e difesa dei ceti meno abbienti” si pensi necessario subordinarle “a obiettivi di sicurezza perseguiti in termini xenofobi, a una cultura dall’impronta esplicitamente autoritaria”. Per questo è necessario che “meditino i pentastellati - conclude il filosofo ed ex sindaco di Venezia - ma meditino ancora di più quelli che li vogliono a tutti i costi alleati della Lega”. Un grande tema di riflessione per tutto il mondo Dem.