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Corsa al Colle. Le poche certezze sul voto per il Capo dello Stato e le misure prese per affrontare Omicron in Aula

Al momento non è dato sapere neppure quando si inizierà a votare. Si sa solo che il presidente della Camera, Fico, manderà la lettera di convocazione il 4 gennaio. Ma dato che la Camera sarà impegnata, dal 17 gennaio, la prima votazione potrebbe iniziare non prima del 24 gennaio

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Foto Ansa
Foto Ansa

Sono assai poche le ‘certezze’, o pseudo-certezze, sul voto che si terrà, a gennaio, per eleggere il nuovo Capo dello Stato, dopo Sergio Mattarella. Per dire, neppure si sa quando si inizierà a votare. Si sa solo che il presidente della Camera, Fico, manderà la lettera di convocazione il 4 gennaio. Ma dato che la Camera sarà impegnata, dal 17 gennaio, a votare il decreto ‘Super Green Pass’, in scadenza, la prima votazione potrebbe iniziare non prima della settimana seguente, 24 gennaio, pur se anche su questo punto “non v’è certezza”. Insomma, si naviga a vista e le ‘certezze’, ovvio, non riguardano i candidati, fin troppi, già in campo o che in campo potrebbero presto scenderci. Si va – come ormai si sa – da Silvio Berlusconi, convinto di “avere i numeri” per potercela fare, spuntando al IV scrutinio, a due nomi forti e che girano in modo vorticoso (Casini e Amato) fino a una pletora di candidati buttati nel mucchio ogni giorno dai giornali (si va da Pera a Franceschini passando per Violante e altri) fino all’immancabile ‘cherchez la femme’ (Casellati, Moratti, Cartabia, Finocchiaro, etc.).

Non Draghi, però: non lo vuole nessuno nessuno, tra i grandi partiti, i leader e pure i tanti peones, e ormai glielo hanno fatto capire in tutti i modi. E neppure un Mattarella bis, che ha detto no in tutte le lingue e in tutte le salse e che ribadirà il concetto nel discorso di Capodanno agli italiani.

Quali sono, dunque, le ‘certezze’ o presunte tali? Il nuovo Presidente, tolto di mezzo Draghi, il solo che poteva aspirare al ‘bingo’ durante i primi tre scrutini, quando serve la maggioranza qualificata, dovrebbe - o, meglio, potrebbe - uscire fuori dal quarto scrutinio in poi quando il quorum si abbassa dalla maggioranza dei due terzi (673 voti sugli attuali 1009 Grandi elettori) alla maggioranza assoluta (505 voti). Al netto del fatto che ci troveremmo di fronte a votazioni faticose, lunghe (come vedremo presto, si parla di un solo scrutinio al giorno), stressanti, condotte sul filo del ‘batti-quorum’ e che potrebbero mettere a dura prova i nervi di leader e peones, si tratterebbe, di fatto, di un presidente eletto da una ‘parte’ sola degli schieramenti politici che si fronteggiano (centrodestra, centro, centrosinistra, pattuglione indistinto del gruppo Misto) e che dovranno saper modulare, al meglio, alleanze e convenienze per riuscire nell’impresa.

Le dure leggi del Covid ‘trasformeranno’ l’Aula: un solo voto al giorno, catafalco, etc.

Ma veniamo alle ‘certezze’, o presunte tali… La prima. Dato che le quarantene verranno imposte ai Grandi elettori come ai cittadini ‘normali’, se positivi al Covid, i due quorum (che restano fissi) saranno, stavolta, assai più difficile da raggiungere: ad oggi, e a spanne, si stima almeno un 10% di assenti (cioè cento Grandi elettori). Insomma, con molti assenti, ogni candidato, per arrivare a 505 voti, dovrà faticare, e parecchio.

La seconda. sempre causa rischio Covid, si terrà una votazione sola al giorno, causa obbligo di sanificazione dell’aula (che si porta via almeno tre ore), al contrario della prassi, che di scrutini al giorno ne prevedeva sempre due. Ma anche questo non è detto: se la situazione migliorerà e i tempi di sanificazione dell’aula lo consentirà, si potrebbero anche ‘tenere’ i due scrutini consueti.

La terza. Stabilito che il presidente dell’aula, Roberto Fico, e il suo ufficio di presidenza (4 vicepresidenti, tre questori e dodici, quanti sono oggi, cioè un numero abnorme, i segretari d’aula, l’unico numero variabile dell’ufficio medesimo), è sovrano, sull’andamento dei lavori, quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, ecco spuntare altre due para-certezze. Il ‘catafalco’, imposto da Scalfaro nel 1992 per garantire la segretezza del voto, non verrà abolito, quindi, lì dentro, le schede si potranno fotografare e inviarle al proprio leader e/o proprio candidato.

Poi, la modalità di lettura dei nomi dei candidati che verranno scelti dai Grandi elettori. Modalità che rispetterà, alla lettera e in modo pedissequo, l’indicazione contenuta nella scheda: ergo, chi scrive ‘Berlusconi Silvio’ e chi scrive ‘Silvio Berlusconi’ o ‘Berlusconi S,’ verrà letto, dal presidente dell’aula, in tale modo, per esteso. Il che permetterà ai gruppi, ai loro leader e ai vari candidati, se useranno ‘trucchetto’, un controllo quasi ‘militare’ del voto dei loro parlamentari.

La richiesta, inevasa, del dem Ceccanti: “Fateci votare fuori dall’aula con il pc”

Infine, ecco l’ultima certezza. Nonostante sale la preoccupazione per le ripercussioni che il crescente numero di contagi potrebbe avere sullo svolgimento delle votazioni (in Transatlantico durante il voto sulla manovra economica non si è parlato d'altro) e da più parti si chiede al presidente della Camera di prevedere modalità di voto che evitino di mantenere tutti insieme e in presenza, in seduta comune, i 1009 Grandi elettori, il nodo appare difficilmente aggirabile: è la stessa Costituzione a prevederlo.

Alla Camera gli uffici preposti hanno già fatto le prime riunioni organizzative. E' possibile quindi che si proceda almeno con lo scaglionamento dei votanti. Ma a chi invoca l'uso della tecnologia, come il deputato dem Stefano Ceccanti (“non vedo perché non si possa farci votare con un pc”) o a chi (Clemente Mastella), chiede di mettersi al riparo con una "misura costituzionale da applicare solo nei casi di emergenze" e da varare nello spazio di due settimane, si risponde picche.

La richiesta del costituzionalista e deputato Pd, Stefano Ceccanti, di votare in luoghi attigui ma diversi dall’Aula (altri uffici posti nello stesso Palazzo, come le commissioni, o altri Palazzi della Camera) non è stata neppure presa in considerazione, da Fico e dagli uffici (“non ci è mai giunta” la risposta), ma anche ove mai lo fosse sarà un ‘niet’. Si vota solo in Aula e amen.

I ‘trucchi’ per controllare il voto dei peones: Berlusconi chiederà la ‘prova fotografica’?

Insomma, la notazione curiosa, e stuzzicante, che faceva ieri Sebastiano Messina su Repubblica, e che riguarda la modalità con cui Silvio Berlusconi è convinto di farcela, ad essere eletto, potrebbe risultare vera. E quale sarebbe? Questa.

“Cosa spinge Silvio Berlusconi a essere così sicuro di farcela? Come fa a non dubitare di essere impallinato subito dai veri protagonisti della corsa per il Quirinale - i franchi tiratori - che in 75 anni di elezioni presidenziali hanno mandato in fumo sogni, progetti e aspirazioni di politici ben più esperti di lui?” si chiede Messina. “Conoscendolo, è probabile che abbia in mente un sistema per disarmarli. Ma quale?”.

Ce ne sarebbe uno, uno strumento che non poterono utilizzare né Sforza né Merzagora né Fanfani né Forlani - i quasi-presidenti azzoppati a un passo dal Colle - anche perché allora non esisteva: lo smartphone, detto anche, volgarmente, in italiano, il telefono cellulare.

La tecnica l'ha spiegata benissimo Ugo Magri sull'Huffington Post: Berlusconi potrebbe chiedere ai suoi di dargli una prova concreta e indubitabile di aver votato per lui, fotografando la scheda. Tecnicamente non è difficile, perché i Grandi elettori esprimono la loro preferenza in una cabina di legno che ogni volta viene montata sotto il banco della presidenza – “il catafalco”, così è passato alla Storia, per gli addetti ai lavori - dentro la quale nessuno può controllarli. Legalmente non è rischioso perché mentre il cittadino comune può essere condannato all'arresto da tre a sei mesi se fotografa la scheda nella cabina del seggio, nessuna sanzione è prevista dai regolamenti parlamentari per deputati e senatori che violano la segretezza del voto.

Non si dovrebbe fare, dunque, ma si può fare, volendo. E il leader di Forza Italia potrebbe pretendere questa prova fotografica non solo dai nuovi ‘responsabili’ appena ingaggiati - se vorranno ottenere ciò che è stato loro promesso - ma anche da quei forzisti sulla cui fedeltà nessuno oggi metterebbe la mano sul fuoco.

Naturalmente, neanche Berlusconi pensa di poter imporre qualcosa del genere ai Grandi elettori di Salvini e Meloni, ai quali potrebbe però chiedere di adottare il “metodo Forlani”, quello che fu adottato nel 1992 per neutralizzare i franchi tiratori. La mattina del 16 maggio 1992, infatti, ognuno dei parlamentari della Dc sospettati di cecchinaggio ricevette precise istruzioni affinché il suo voto fosse riconoscibile. Vennero utilizzate le infinite combinazioni ottenibili scrivendo con penna blu, verde, nera o rossa tutte le formule ammesse, ovvero "Arnaldo Forlani", "Forlani", "on. Arnaldo Forlani", "on. Forlani", "Forlani Arnaldo", "Forlani on. Arnaldo", "on. Forlani Arnaldo" e "Arnaldo on. Forlani". A dirla tutta, non bastò, perché alla fine dello spoglio al segretario della Dc mancarono 39 voti, i famosi franchi tiratori, e anche lui dovette arrendersi.

Il metodo, invece, funzionò per eleggere, ma a presidente del Senato, Franco Marini, nel 2006.

Il ‘metodo Forlani’ e il ‘metodo Marini’….

“Oggi, però, - raccontava Messina - il metodo potrebbe essere utilizzato per marchiare non i singoli voti ma i gruppi. I leghisti, per esempio, dovrebbero votare tutti "senatore Silvio Berlusconi", i centristi "Berlusconi Silvio", i meloniani "Berlusconi on. Silvio", eccetera. Così toccherebbe ai leader alleati far rispettare i patti. E ognuno, poi, dovrebbe rispondere delle rispettive defezioni”. L’idea, peraltro, l’ha lanciata per primo il direttore del Giornale, house organ di ‘casa Berlusconi’, Augusto Minzolini, storico retroscenista di molti quotidiani, in passato, il che gli ha pure procurato gli strali di Marco Travaglio che ha subito condannato, con disprezzo, la pratica sul suo Fatto quotidiano.

I trucchi sono questi, dunque: la foto della scheda e la combinazione di nome, cognome e titolo ed è possibile, se non probabile, funzionino. A una condizione: che rimangano le attuali regole, ovvero il voto dentro la cabina chiusa e la lettura integrale di ogni scheda, ma rimarranno.

In ogni caso, ogni decisione spetta solo a Fico

In ogni caso, notava giustamente Messina, c'è una persona, una sola, che può modificarle per garantire l'effettiva segretezza della votazione più delicata della Repubblica: Roberto Fico. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il presidente della Camera ha pieni poteri sui lavori. Può consultare chi vuole, può riunire le giunte del regolamento per un parere, ma alla fine ogni decisione spetta solo a lui. Dunque, se volesse, così come Oscar Luigi Scalfaro, nel 1992 presidente della Camera, e poi eletto presidente della Repubblica, fece montare il "catafalco", quando non esistevano gli smartphone, per garantire una effettiva segretezza del voto, oggi Fico potrebbe farlo smantellare e potrebbe anche decidere di leggere solo il nome e il cognome del candidato - "Silvio Berlusconi", per esempio - in qualunque modo sia stato scritto sulla scheda, smontando così i meccanismi vecchi e nuovi architettati per eliminare l'ultima area di libertà concessa ai parlamentari nominati dai partiti: il voto segreto e l’azione dei franchi tiratori. Ma, come dicevamo prima, è assai improbabile che questo accada perché, ove mai lo facesse, in molti subito protesterebbero, indignati, come fa notare a un amico il vicepresidente della Camera, e ‘lupo di mare’ di aula, Ettore Rosato.

Gli umori della Politica: Conte ‘scarta di lato’ e provoca: ‘donna, anche di centrodestra’…

Poi, però, ovviamente, c’è la Politica e la ‘gara’ dei diversi candidati in campo o che lo saranno.

Da questo punto di vista, nonostante il fair play della telefonata di auguri natalizi tra Silvio Berlusconi e Mario Draghi è, al momento, attorno a questi due nomi che si misurano gli schieramenti per l'elezione del nuovo Capo dello Stato. La tenacia con cui il Cavaliere tiene salda la sua candidatura è speculare ai dubbi che attanagliano i fautori di Draghi, anche se da entrambe le parti fioccano i distinguo. Se il centrodestra tiene il punto sul suo candidato, vero o di bandiera che sia, l'insistenza del leader di Forza Italia scombussola un po' i piani dell'asse che si è creato tra Salvini e Renzi.
Senza dire del fatto che il nome del premier provoca il gelo tra Giuseppe Conte e di Enrico Letta, e crea tensioni nel Pd e tra i 5 stelle.

In entrambi i partiti cresce il timore per le conseguenze sulla legislatura e sul ‘governo’ di un eventuale trasferimento dell'ex presidente della Bce al Quirinale. Gli unici che sembrano battersi per "preservare" (soprattutto con il silenzio sui nomi dei candidati) la possibile candidatura di Draghi sembrano ora Letta e Di Maio. Conte, invece, dopo aver concordato con Letta e Speranza un'intesa di massima su un nome di bandiera da contrapporre a quello di Berlusconi, come avrebbe potuto essere quello di Anna Finocchiaro (ancora in campo, ma solo come candidato ‘di bandiera’) o di Rosy Bindi, ha poi cambiato registro, proponendo a stretto giro, tra i nomi di possibili candidate donne (“Ci vorrebbe una donna” dicono con insistenza dal M5s) quello di Letizia Moratti, nome già sondato da Giorgia Meloni, ma profilo che ha lasciato basiti sia Pd sia M5s, dove la gran parte dei parlamentari 5s ha protestato per la "sconclusionata" apertura al centrodestra, "non condivisa con nessuno". E dove non si manca di notare l'improvvisa coincidenza di vedute, contraria a Draghi al Colle, tra Conte e Bettini.

Nel centrodestra, Forza Italia insiste con la candidatura di Berlusconi. Maurizio Gasparri raccomanda di non "disarticolare l'azione del governo" e ricorda che "la destra politica vede storicamente in Berlusconi il fondatore di un centrodestra coeso e inclusivo". Ed anche il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, affida all'alleanza "il compito di indicare per primo una soluzione" e ricorda a tutto lo schieramento il "dovere di riconoscenza" nei confronti del Cavaliere. Contro la cui candidatura si schiera invece il redivivo Popolo Viola che prepara un presidio "anti-Cav" convocato per il 4 gennaio.

Sempre a sinistra, Rosy Bindi, dice di "tifare" per Draghi al Colle e sprona il Parlamento "a chiederglielo in modo unitario". Il dem Andrea Marcucci invita i leader intenzionati a proporre Draghi per il Colle, a lavorare ad un accordo per la successione a Palazzo Chigi che garantisca "la fine naturale della legislatura". E mentre il settimanale cattolico Famiglia Cristiana nomina Sergio Mattarella "italiano dell'anno" scendono in campo anche gli industriali. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, si augura che "sulle contrapposte pulsioni prevalga la maggior condivisione possibile". Invece, l'agenzia economica Bloomberg giudica la prospettiva di Draghi al Colle un grave rischio per l'economia italiana, con impatti sull'eurozona. Come si vede, un gioco ‘a somma zero’ che, per ora, è ancora di difficile, se non impossibile, soluzione per tutti.

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