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[Il ritratto] Una perla rara ma voltagabbana. Tutte le giravolte di Emma Bonino. Al potere grazie a Berlusconi, Prodi e Letta

E’ una donna molto coraggiosa, con una bella storia di battaglie civili alle spalle. Ha un solo difetto: cambia casacca troppo spesso. In un Paese come il nostro, reduce da 50 anni di vischiosa inclusione democristiana e da cinque lustri di conflitti personali e di debiti incombenti. Lei sta da una parte e dall’altra con il mantra dei diritti civili come grande stella polare. Bersani la adora, Vendola la detesta

[Il ritratto] Una perla rara ma voltagabbana. Tutte le giravolte di Emma Bonino. Al potere grazie a...

Emma Bonino, «la monella di Montecitorio», come la chiamava affettuosamente Sandro Pertini, è brava e onesta, una perla rara nel nostro Parlamento di furbi e mentitori. E’ anche una donna molto coraggiosa, con una bella storia di battaglie civili alle spalle. Ha un solo difetto: cambia casacca troppo spesso. Che è una anomalia molto italiana, a onor del vero. Il web ha cominciato ad attaccarla appena i sondaggi l’hanno data in rimonta sopra il 3 per cento: si sa dove comincia, ma non si sa dove finisce. In pratica, una Scilipoti che non fa ridere. Berlusconi ci ha messo del suo, facendo circolare la voce che penserebbe a lei come Presidente del Senato, per ammorbidire il suo drappello di eletti, nel caso avesse bisogno di voti per il governo. Giorgia Meloni è andata velenosamente oltre, dicendo che il Cavaliere penserebbe addirittura a lei come premier. Berlusconi è una lenza. E il web è pericoloso. Per adesso Emma ha smentito invano, anche se con durezza: «Pura fantascienza. Questa cosa non esiste. Evidentemente, Berlusconi se la suona e se la canta tutto da solo». Aggiungendo, per maggior chiarezza: «I saldi sono già finiti e io non sono in vendita».

Resta il suo curriculum. Che lascia adito a qualche dubbio. In passato, è stata eletta nel centrodestra, ma ha fatto il ministro nel centrosinistra. Ha condotto centinaia di battaglie e di polemiche, è stata anche arrestata ed è andata a cercarsi grane pure in America. Ha sempre seguito le sue idee: «In politica mi sono giocata la salute, sette denti, persi dopo uno sciopero della fame, e decine di anni di vita. Ma rifarei tutto». Bene. Mettiamo solo un po’ d’ordine su tutto quello che ha fatto. Lei che attacca tanto la Lega, secondo un post che gira nel web sarebbe stata eletta proprio con la Lega Nord nel 1994. Uno che se ne intende, come Matteo Salvini, dice che cambiare idea è lecito: lui che con il tricolore diceva di pulirsi il culo e insultava i terroni e cantava «Napoli colera» ora chiede il voto ai terroni e ai napoletani in nome dell’italianità e dello slogan «prima gli italiani». Per fortuna della Bonino, per lei le cose sembrerebbero un po’ diverse. Nel 1994 faceva parte della lista Pannella-Riformatori, uno dei numerosi partiti messi in piedi fra gli Anni 90 e 2000 dai radicali. Ai tempi, temevano di non avere un consenso sufficiente per eleggere dei parlamentari - e infatti non riuscirono a superare la soglia del 4 per cento -: per questo fecero un accordo con la neonata Forza Italia ed entrarono nel centrodestra. Per la serie "cosa non si fa per un seggio in Parlamento".

La Bonino venne candidata alla Camera nel sistema uninomale, in un seggio sicuro. Due mesi prima delle elezioni in un’intervista al Messaggero lei chiarì di non sentirsi né leghista né berlusconiana. Però i loro voti li prese lo stesso: fu eletta con il 39,5 per cento, sostenuta da tutto il centrodestra. Entrò in Forza Italia, ma pochi mesi dopo fu nominata Commissario Europeo e lasciò il suo seggio alla Camera. Alla resa dei conti, non è giusto dire che è stata eletta nella Lega Nord. Ma è vero che fece un lungo cammino con i berlusconiani, anche se lontana dal cuore di Roma, in giro per l’Europa e per il mondo. Nella capitale rientrò in tempo per le elezioni del 2006. Sull’altra sponda. Fu eletta e divenne ministro del commercio internazionale e delle politiche europee con il governo Prodi, 2006-2008. Da allora non ha mai cambiato. E’ stata solo una delle più convinte sostenitrici di Monti, uno che all’inizio piaceva tanto all’Europa e pure agli italiani che contano, prima di affossarsi con le sue mani. E poi è entrata nel ministero Letta, agli Affari esteri. Quando è arrivato Renzi, l’ha tolta dal governo e le ha preferito la Mogherini in Europa, relegandola un po’ in disparte. Non è che fra i due ci sia un gran feeling. Però, è rimasta lì, anche per queste elezioni, con una lista in appoggio al pd.

In mezzo a questa storia di lotta e di potere, ci sono tutto il suo impegno e il suo coraggio, e i suoi successi personali. Nel giugno del 1999 alle elezioni europee prese uno storico 8,5 per cento tutto da sola, diventando il quarto partito italiano con una lista che non aveva nient’altro che il suo nome. Prima, nel 1987, aveva manifestato a Varsavia contro la dittatura del generale Jaruzelski e in favore di Solidarnosc: arrestata ed espulsa. Nel 95 se n’era andata senza paura a Mostar e Sarajevo, nel cuore della guerra civile che infuriava. Negli States era stata cacciata via. Ha sempre goduto di un grande consenso popolare, come dimostrarono tutti i sondaggi del 2013, quando il suo nome riemerse alla scadenza del primo mandato di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica: era quella più votata dalla gente. Al punto che persino i Cinque Stelle la infilarono nel loro elenco. Nel 2011 è l’unica italiana inserita dalla rivista Newsweek nell’elenco delle «150 donne che muovono il mondo». Piace in maniera trasversale.

A sinistra c’è chi la ama, come Bersani: «E’ una donna fuori dagli stereotipi. E’ una fuoriclasse. Questo è come la penso». E chi la odia, come Nichi Vendola: «Ragiona come un funzionario modello della Cia. Predica la non violenza degli aerei Mirage e B52. Le piacciono  le carneficine umanitarie. E’ un sacerdote dell’idillio atomico». E nel centrodestra uguale. Se Berlusconi la stima moltissimo, Giorgia Meloni dice che «rappresenta tutto quello che io combatto. Siamo assolutamente incompatibili». Ma anche lei ha simpatie trasversali, e sopra e prima di tutto non si capisce mai bene come collocarla. Così adesso, in queste elezioni, è finita con Bruno Tabacci, ai vertici di +Europa, due leader così diversi e così lontani, da sembrare destinati alla guerra dei Roses: lei radicale, lui ex democristiano, lei di piazza, lui di istituzione, lei sempre all’attacco e lui sempre pronto ad ascoltare, lei aggressiva e sbrigativa, lui diplomatico, lei stimata dalla sinistra dei diritti civili, e lui dal centro liberista. Li unisce soltanto l’idea dell’Europa, una particolare enfasi sui temi economici e il sogno irrealizzabile di un leader alla Macron. Eppure è bastato per tenerli insieme senza liti nel grande spettacolo dello svontro fratricida che divide tutte le coalizioni. 

Per questo, alla fine, più che essere lei una banderuola sono le sue idee a risultare difficilmente collocabili, in un Paese come il nostro, reduce da 50 anni di vischiosa inclusione democristiana e da cinque lustri di conflitti personali e di debiti incombenti. Lei sta da una parte e dall’altra con il mantra dei diritti civili come grande stella polare. Adesso, con questa crisi, chissà quanto contano i diritti civili. E chissà quanto lei unisce o divide. Un tempo le piaceva andare contro. Ma quel tempo dev’essere finito. Nel 1978 era in prima fila nella campagna per far dimettere il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Nel 1998 volle incontrarlo personalmente per chiedergli scusa. Vent’anni dopo non serviva più a niente. Ma quando si invecchia la vita ha un altro sapore. Oggi combatte un cancro, ha un turbante in testa, ereditato dalle chemioterapie, con cui si presenta nei dibattiti televisivi e ripete sempre: «Io non sono il tumore che mi ha colpito». E’ un mucchio di altre cose, lo sappiamo.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, giornalista e scrittore   
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