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Che sarà di noi? Il vertice europeo e le profezie sull’Italia

Il 23 aprile i leader europei si riuniranno in videoconferenza per decidere quali saranno le misure che l’Unione Europea metterà in campo per impedire che la crisi indotta dal lockdown continentale si tramuti in una depressione di epiche proporzioni

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Che sarà di noi? Il vertice europeo e le profezie sull’Italia

Il 23 aprile i leader europei si riuniranno, o meglio si videoriuniranno, per decidere quali saranno alla fine le misure che l’Unione Europea metterà in campo per impedire che la crisi indotta dal lockdown continentale si tramuti in una depressione di epiche proporzioni e dalla durata prolungata.

Il Great Lockdown

Che il 2020 sarà segnato da una forte recessione è fuor di dubbio. Le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale rese note lo scorso 14 aprile prevedono per quest’anno a seguito del Great Lockdown un calo del Pil mondiale del 3%, ovvero la peggiore recessione dai tempi della Grande Depressione seguita alla crisi del 1929 e molto peggio della Grande Crisi del 2009.

La nota positiva è che nel 2021, posto che il grosso della pandemia si esaurisca entro giugno, l’economia dovrebbe registrare un rimbalzo consistente con una crescita del 5,8%. È quella che viene chiamata una crisi a V, drastico calo e gagliardo rimbalzo. Il problema è che non tutti rimbalzeranno allo stesso modo, alcuni lo faranno come una pallina da tennis appena uscita dal tubo, altri come un pallone da calcio sgonfio.

È con questo scenario sullo sfondo che i leader europei si riuniranno. L’obiettivo è trovare misure che non solo limitino nel brevissimo e breve periodo i danni provocati dalle misure adottate per arrestare il contagio, ma anche aiutino la ripresa nella seconda parte dell’anno e in quello successivo. Fare in modo insomma che la recessione sia appunto a V e non a U e che il rimbalzo non sia quello di un pallone sgonfio.

Gli schieramenti in campo

L’Italia si presenterà battagliera. L’obiettivo è ottenere un qualche meccanismo che consenta di emettere titoli garantiti dall’Unione Europea o comunque di ottenere finanziamenti rilevanti, l’ordine è quello delle centinaia di miliardi di euro, senza gravare sul nostro già enorme debito pubblico.

Nelle scorse settimane tra i due schieramenti c’è stata prima battaglia, poi guerriglia. Semplificando si potrebbe dire che si tratta di Europa del Nord contro quella del Sud, di Germanici e Vichinghi contro Latini, di Baltico contro Mediterraneo, oppure, ripescando antiche fratture, di Protestanti contro Cattolici o addirittura di Barbari contro Romani.

Un po’ troppo forse, anche se c’è da esser sicuri che i toni da crociata non mancheranno nel dibattito italiano. Fatto sta che da una parte ci sono i paesi del nord guidati dalla Germania e dall’altra Italia e Spagna guidate dalla Francia. Le posizioni estreme sono rappresentate da una parte dall’Olanda e dall’altra dal nostro governo.

Le nubi si diradano. Forse

Le tempestose nubi che aleggiavano sul vertice, tuttavia, pare si stiano diradando. La Germania sta aprendo al cosiddetto Recovery Fund,  la soluzione proposta dalla Commissione di Van Der Leyen che prevederebbe la possibilità di emettere titoli di debito garantiti dal bilancio UE. La Francia, perno dell’altro schieramento, non parrebbe intenzionata ad andare alle barricate ritenendo tutto sommato la soluzione interessante. Magari con qualche escamotage che consenta di anticipare già all’autunno di quest’anno l’emissione dei bond, in teoria possibile solo a partire dal 2021.

Per arrivare a quello che rappresenterebbe un punto di svolta notevole nella storia della UE però potrebbe esserci bisogno di più tempo e la decisione potrebbe slittare a un successivo vertice. Ma non è detto.

Il segnale politico necessario

Non sono pochi, compresa la Commissione, coloro che ritengono che vi sia bisogno di un forte e chiaro segnale politico di assunzione di responsabilità da parte dei 27 capi di governo europei. Se dal punto di vista meramente pratico il rinvio non sarebbe un problema, da quello politico rischia di essere un suicidio, consegnando all’opinione pubblica di tre dei paesi più popolosi dell’Europa l’immagine di un’Europa inutile e la sensazione di essere stati abbandonati nel momento del bisogno, di trovarsi da soli a dover affrontare i marosi di una crisi di cui non hanno responsabilità. Molto retorico, ma di sicura presa. In pratica equivarrebbe a seppellire la classe politica europeista spalancando le porte a populisti e nazionalisti.

Sono preoccupazioni che trovano ascolto sia presso la Commissione, nata da un patto anti-sovran/populista, sia presso la cancelleria tedesca e che danno un qualche spazio di manovra al governo italiano purché sappia giocare intelligentemente la sua partita e non sia ostaggio di niet pregiudiziali della sua maggioranza, che pure paiono esserci.

La profezia sull’Italia

Per capire quale sia la posta in gioco può essere utile ricordare quel che ha scritto sul Financial Times lo scorso 20 aprile Wolfgang Münchau, uno dei più autorevoli editorialisti del quotidiano britannico. Münchau sostiene che nel prossimo futuro l’Italia, colpita alla recessione e col debito alle stelle, si troverà di fronte solo tre alternative possibili.

La prima è quella di approfittare dell’“arma fine di mondo” della Banca Centrale Europea, messa a punto da Mario Draghi nel 2012, che consente a quest’ultima di comprare senza limite titoli di stato dei paesi dell’area euro (le cosiddette Outright, Monetary Transactions o OMT). Il problema è che per accedere alle OMT, posto che la BCE attivi l’arma fine di mondo, toccherebbe prima passare dal temutissimo e detestatissimo Meccanismo Europeo di Stabilità (il MES), non proprio il passo più facile da fare per il governo italiano.

La seconda alternativa è il default o la ristrutturazione del debito, entrambi perseguibili però solo con il coinvolgimento della BCE, a meno che non si voglia uscire dall’euro tout court. Ci sarebbe il problema delle banche italiane, che avendo in pancia la maggior parte dei titoli di stato subirebbero ingenti perdite, ma c’è chi sostiene che potrebbero essere nazionalizzate con i risparmi ottenuti attraverso la ristrutturazione. Almeno i depositi dei correntisti sarebbero salvi.

Infine, c’è la terza alternativa, l’uscita dall’euro. Improbabile, ma possibile, soprattutto se un fallimento europeo ridesse nuovo fiato non solo a leghisti e nazionalisti, ma anche all’ala euroscettica dei cinque stelle. Un primo assaggio di tale schieramento si è avuto lo scorso 18 aprile con il voto al Parlamento Europeo sulle misure per contrastare la crisi, proprio quelle oggetto del prossimo vertice del Consiglio Europeo.

Raggiungere un accordo per smentire la profezia

Per Münchau quindi non ci sarebbe da stare allegri, il futuro ci riserverebbe la scelta tra MES, ristrutturazione del debito o default, uscita dall’euro. È probabile che alla fine la profezia si riveli sbagliata e che le tinte saranno meno fosche di quelle dipinte dall’editorialista del Financial Times. Ma ciò dipende dal tipo di accordo che si riuscirà a raggiungere in sede europea e in primis dall’effettivo raggiungimento di un accordo.

Fare la voce grossa va bene, ma al momento giusto bisognerà dimostrare intelligenza, flessibilità e un po’ di opportunismo. Vale per il governo italiano, ma anche per le sue controparti europee, per le quali una tragedia italica potrebbe essere il masso finale sul sogno europeo. Posto che ancora desiderino sognare.

Dimenticavo, oggi lo spread veleggia intorno ai 250.

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
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