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Nazioni Unite, la grande ipocrisia: “Unifil resta in Libano. Non possiamo cambiare le regole d’ingaggio”

Ma la missione non ha senso se le vengono attribuiti diversi poteri. Crosetto denuncia questa inadeguatezza da un anno e mezzo. Il generale Portolano: “I nostri soldati sono frustrati perché non possono operare come potrebbero e dovrebbero fare”.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Nazioni Unite, la grande ipocrisia: “Unifil resta in Libano. Non possiamo cambiare le regole d...
La missione Unifil in Libano (Ansa)

E’ sera in Italia, primo pomeriggio a New York quando finalmente parla Jean Pierre Locroix, capo delle missioni di pace dell’Onu. E’ stata l’ennesima giornata ad alta tensione lungo la Blu Line, il confine tra Israele e Libano in costruzione da trent’anni. Per dirne un paio. Il contingente italiano in mattinata ha anche scoperto una serie di ordigni esplosivi incendiari lungo la strada che conduce alla nostra base operativa UNP 1-32A. L’area è stata messa in sicurezza senza danni collaterali. Ma di chi sono quegli ordigni? Chi li ha piazzati lì? 

“Non ritiriamo la missione”

E’ sera in Italia e il primo pomeriggio nel palazzo di Vetro quando finalmente la Nazioni Unite parlano. Per dire che la missione è confermata, nessun arretramento. E però, anche nessuna modifica alle regole d’ingaggio. Gli incidenti in Libano “devono finire” dice Jean-Pierre Lacroix, capo delle operazioni di pace dell'Onu “chiediamo a tutte le parti di fare ogni cosa in loro potere per rispettare la sicurezza dei caschi blu. Attaccarli significa andare contro tutti gli obblighi internazionali”. Ma il tema è la richiesta di Netanyahu di ritirare i caschi blu che farebbero “da scudo a Hezbollah” - circostanza che se vera sarebbe insopportabile. “Noi abbiano un mandato in Libano - ripete Lacroix  - la sicurezza dei soldati è la priorità e valutiamo la situazione ogni giorno ma i quindici paesi del Consilgio di sicurezza sono d’accordo nel dire che la bandiera dell’Onu può e deve restare alta nel sud del Libano”. Sulle regole d’ingaggio, Lacroix la mette così:  “La missione è li per supportare le parti, ma sono le parti che devono attuare una soluzione politica. Unifil non è li' per attuare o far rispettare la risoluzione 1701, ma per supportare le parti nel dare seguito alla Risoluzione”. 

La replica di Netanyahu

Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Ciò che Lacroix omette di dire è che una delle due parti - l’esercito libanese, cioè l’unico che può operare in quel territorio, ad esempio sequestrando i depositi di armi - sia nella quasi totalità nelle mani di Hezbollah o gruppi di milizie vicine. E questo, visto che sta scritto nei report militari, lo sa anche chi abita il Palazzo di Vetro.

Alle parole di Lacroix fanno eco quale di Netanyahu che sa bene di giocarsi in queste ore quel residuo di credibilità e sostegno che gli resta tra le democrazie occidentali.  “L’ accusa secondo cui Israele avrebbe deliberatamente attaccato il personale Unifil è completamente falsa. E’ esattamente l’opposto. Israele ha ripetutamente chiesto a Unifil di togliersi dai guai e di lasciare temporaneamente la zona di combattimento che  è proprio accanto al confine di Israele con il Libano ed è anche da dove Hezbollah attacca Israele”.

Se si avanti così è chiaro che non se ne esce. La situazione diventa sempre più pericolosa, l’incidente è dietro l’angolo quando invece anche la soluzione è “dietro l’angolo”: cambiare regole d’ingaggio e dare subito alle forze Unifil il mandato di isolare e sequestrare tutte le santabarbare che Hezbollah, complice una polizia libanese assente, ha potuto accumulare in questi anni proprio nella striscia di competenza dei Caschi blu. 

“Onu scudo di Hebollah”

Nel pomeriggio aveva parlato chiaro un altro ministro israeliano,  Eli Cohen, titolare di Energia e Infrastrutture ma ex ministro dell’intelligence. “Lo Stato di Israele non è interessato a danneggiare le forze Unifil - è la premessa di Cohen - Tuttavia queste forze non hanno contribuito in alcun modo al mantenimento della stabilità e della sicurezza nella regione, non hanno garantito l’applicazione delle risoluzioni ONU e fungono da scudo per Hezbollah, un'organizzazione terroristica e un’agenzia dell’Iran”. Un’affermazione, questa, che ha precisi riscontri anche da parte delle forze Unifil, a cominciare da quella italiana. La frase finale è più una minaccia che un consiglio: “Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, ritiri l’Unifil dalle zone di conflitto e smetta di fare il gioco dell’Iran”. O almeno, si potrebbe aggiungere, Guterres dovrebbe - già da giorni -valutare un cambio repentino delle regole d’ingaggio della missione e togliere i Caschi blu da una situazione ipocrita che sta diventando  molto pericolosa. E farlo prima che sia troppo tardi. Il ministro della Difesa Guido Crosetto sottopone la questione “regole d’ingaggio” Unifil da giugno 2023, prima del pogrom di Hamas del 7 ottobre a sud del paese, quando ancora era Hezbollah e il nord di Israele il primo, e  in quella fase anche l’unico, problema di Tel Aviv. 

Il fallimento della zona cuscinetto

Sono circa 70 mila le persone evacuate dalla regione nord, stretta tra Haifa e le alture del Golan, costrette a lasciare case e abitazioni sotto la pioggia di razzi che Hezbollah lancia con diligente costanza proprio da quella “fascia di sicurezza” o “zona cuscinetto” di circa 60 km che, in base alla Risoluzione 1701 del 2006 deve essere di esclusiva pertinenza delle forze libanesi e di quelle Unifil.  La zona cuscinetto è diventata una piattaforma di lancio assai privilegiata ad uso esclusivo di Hezbollah. Non erano questi gli accordi.

Non si sta giustificando Israele. Se ne capisce però la rabbia e la determinazione. Specie nel giorno, ieri, in cui un razzo velocissimo di Hezbollah lanciato dalla “fascia di sicurezza” è riuscito a perforare il sistema di difesa aereo (air dome) e ha colpito Haifa. La città universitaria è sotto attacco da più di una settimana.

Israele ha torto a metà. Ma ha anche ragione a metà. Come sempre in questa maledetta guerra dove, scrive l’arabista  Gilles Kepel, “Nethanyahu sta in realtà facendo il lavoro sporco nella regione anche per altri”. Ad esempio i paesi arabi. E non solo sunniti. 

Le regole d’ingaggio

Le regole d’ingaggio, la grande e pericolosa ipocrisia di questa crisi.  Il ministro Crosetto, che ovviamente sa molto più di quello che può dire,  ha denunciato con forza l’inadeguatezza delle regole d’ingaggio della missione. Ieri anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani è andato l dunque. Se l’obiettivo è disarmare Hezbollah, “le attuali regole di ingaggio Unifil non vanno bene. Sono le Nazioni unite che devono scegliere”. Ed ecco che - come è giusto che sia - la palla torna sulla scrivania di Guterres ed esce in parte da quella di Netanyahu.  Anche se nella notte italiana abbiamo visto come questa partita non faccia mezzo passo avanti.

Se in nostri soldati potessero parlare senza essere vincolati al segreto militare avrebbero parecchio da dire sulla deriva assunta dalla missione Unifil, acronimo di United Nations Interim Force in Lebanon. Potrebbero ad esempio dire di aver potuto monitorare con costanza la consegna di armi a Hezbollah; la costruzione di tunnel e basi sotto terra nei pressi anche delle basi Unifil (realtà documentata bene ieri da un’inchiesta del Corriere della sera). Potrebbero denunciare che sono nei fatti disarmati perchè le regole d’ingaggio impediscono ai Caschi blu di svolgere “attività operative” (come il sequestro delle armi e la bonifica della striscia di competenza). Possono difendersi se attaccati, ovvio. Ma è difficile organizzare una difesa quando la minaccia arriva dal fuoco “amico". 

Quello che nostri soldati sanno e non possono dire

Il generale Luciano Portolano, da poche settimane Capo di stato maggiore della Difesa e fino ad allora alla guida della missione Unifil, lascia intendere nelle sue dichiarazioni che i “nostri soldati, pur frustrati per non poter fare quello che servirebbe fare, con grande professionalità stanno evitando escalation che potrebbero coinvolgere tanti altri Paesi presenti nella missione Onu”. Militari e soldati con “coraggio morale” perchè “si assumono la responsabilità dei compiti”. Diversamente da quello che stanno facendo Guterres e le Nazioni Unite. Il generale ha detto chiaramente che la missione, per come l’ha vissuta da comandante in campo, “manca di un quadro giuridico-legale relativo alle regole di ingaggio che consenta l’assolvimento dei compiti”. Ha detto anche che Unifil “non ha potuto eseguire  le ricerche e i controlli per verificare la presenza di armi, anche all’interno di proprietà private individuate dall’intelligence o dall’attività di raccolta informazioni sul terreno, per impedire che ci fossero minacce che avrebbero potuto sfidare Israele e provocare una reazione contro il Libano”. E’ la descrizione di un fallimento.

Se potessero parlare, i nostri militari, a cui certo non difetta l’invettiva e l’iniziativa, direbbero anche cosa è successo quando hanno provato a forzare l’ipocrisia della situazione e hanno indicato alle forze di polizia libanesi, le uniche che possono operare nell’area, i depositi di armi.

Sono stati scritti numerosi report su questo. Destinati a New York e alle Nazioni Unite. In copia al nostro ministero della Difesa.  Sarebbe anche l’ora che diventassero pubblici.  Prima che sia troppo tardi.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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