Perché il vaccino sconfigga il virus ci vorrà un anno. E intanto?
La strada è ancora lunga, impervia e faticosa, meglio equipaggiarsi di conseguenza senza sperare in improbabili scorciatoie
Eccoci di nuovo nel mezzo della pandemia, se mai ne siamo stati ai margini. I contagi crescono a ritmo serrato, gli ospedali faticano, le terapie intensive si riempiono. La linearità è un ricordo, le curve sono diventate nuovamente esponenziali. Il dibattito politico e nel paese va di conseguenza: si discute di quel che sarà da qui a una settimana, delle misure da adottare nell’immediato, si perde prospettiva. E tutti speriamo nel vaccino, vero deus ex machina di tutta questa tragedia.
Entro fine anno!
Proprio la tempistica del vaccino, tuttavia, dovrebbe aiutarci a recuperare un senso del tempo e del futuro che non guardi solo alle settimane che verranno. In Italia e nel mondo i governi, ansiosi di iniettare un po’ di ottimismo nelle loro opinioni pubbliche spaesate, intimorite e rumoreggianti, promettono che uno o più rimedi saranno disponibili già a fine anno, se non prima, senza però null’altro precisare. Il che è vero, o quanto meno estremamente probabile, di questo ormai dubitano in pochi. Tuttavia, da qui a lasciarci il Covid-19 alle spalle ce ne passa, e molto. Ma questo viene ricordato meno e più sommessamente.
Eppure…
Eppure, se occorre vaccinare una fetta consistente della popolazione, se occorre fare una prima inoculazione e un successivo richiamo a distanza di qualche settimana e se a chiedere il vaccino è più o meno l’intera popolazione europea, per tacer del resto del mondo, va da sé che i tempi perché il tutto abbia effetto non saranno brevissimi. Se non altro perché le dosi occorre produrle, trasportarle, distribuirle e la vaccinazione va organizzata. Non è roba da poco, soprattutto nel nostro paese, basti pensare a come sta andando con il vaccino contro l’influenza.
Il pessimismo della ragione
L’immunologo statunitense Anthony Fauci ipotizza che ci vorrà più o meno un altro anno prima di uscire effettivamente dalla pandemia. Natale 2021, forse qualche settimana prima. Si potrà anche pensare, come fa Trump, che sia un menagramo pessimista, ma la previsione appare sensata. Naturalmente, nel frattempo la progressiva vaccinazione della popolazione produrrà i suoi effetti, riducendo la circolazione del virus e fornendo comunque un cambio di prospettiva. Ma ci vorrà tempo per tornare alla normalità, qualunque essa sarà, ed è meglio prenderne atto.
Tre quinte sullo sfondo
La tempistica del vaccino disegna una prospettiva, traccia un percorso, non solo dal punto di vista sanitario ed epidemiologico, ma anche da quello economico e sociale. Come se ci fossero tre quinte sullo sfondo: l’orizzonte immediato, l’attuale emergenza; quello un po’ più lontano, la campagna di vaccinazione; la quinta sullo fondo, il dopo-pandemia. È la stessa prospettiva che dovrebbe avere la politica economica e sociale nel nostro paese, ma che sembra invece mancare.
Il tempo di mezzo, negletto ed ignorato
Ragionamenti, provvedimenti e considerazioni del governo nazionale, così come delle regioni, sembrano invece concentrati su due soli orizzonti: la fatidica data del 31 gennaio 2021 e il luminoso futuro del Recovery Plan, o più correttamente della Recovery and Resilience Facility. E nel mezzo?
Se è vero, come appare, che ci vorrà un anno per mettersi alle spalle la pandemia e che tutto ciò avverrà gradualmente e probabilmente con il riesplodere di qualche crisi, sarebbe saggio, una volta tanto, cominciare a immaginare che anno sarà e muoversi di conseguenza, pianificando in anticipo e non rincorrendo gli avvenimenti. E non solo dal punto di vista sanitario, ma anche e soprattutto dal punto di vista economico e sociale.
“Quelli del Covid”
Molti dei problemi che ci si troverà ad affrontare saranno gli stessi di questi giorni. Ad essi però, visto l’orizzonte di medio termine, andrebbe offerta una risposta diversa. O meglio una risposta tout court.
Il problema dei trasporti pubblici nelle aree metropolitane, ad esempio, non scomparirà come per incanto il 31 gennaio, così come non scomparirà quello della scuola. E soprattutto per quest’ultimo non è immaginabile che si possa continuare come si è fatto sinora. Si rischia di privare gran parte di una generazione delle opportunità avute da quella precedente e da quella che seguirà. “Quelli del Covid”, quelli che hanno imparato meno, sanno meno e possono fare meno.
Settori in crisi
Ci sono poi i settori in crisi che tali sono destinati a rimanere nel prossimo futuro: industria dello spettacolo e dell’intrattenimento, trasporto aereo e ferroviario, fiere e convegni, turismo, ristorazione, sport amatoriale e dilettantistico. E l’elenco è lungo. Soffriranno ancora per un anno, forse converrebbe attrezzarsi in anticipo.
I nodi irrisolti
Ci sono infine altri due nodi irrisolti. Il primo è come uscire dal blocco dei licenziamenti, soprattutto con un’economia che tutto sarà tranne che vigorosa e nella quale quindi il ricollocamento non sarà cosa facile. Il secondo è quello di tutta quella parte di sanità che è stata sommersa dalla marea montante del coronavirus: operazione chirurgiche, terapie oncologiche, interventi la cui tempestività o meno condiziona le possibilità e la qualità della guarigione.
Pierluigi Marini, presidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani e primario all’Ospedale San Camillo di Roma a giugno ha stimato in 600mila gli interventi saltati a causa dell’emergenza Covid-19, dei quali 50mila di sola chirurgica oncologica. A febbraio prossimo la cifra sarà inevitabilmente di molto superiore.
Illusione e realtà
Di come affrontare tutto ciò, di elaborare una strategia e un piano per il prossimo anno però non si discute. Sembra quasi che allo scadere della mezzanotte del 31 gennaio tutto come per magia si aggiusterà. Anzi si mormora che il prodigio accadrà entro Natale, senza neanche aspettare i Re Magi e i loro doni dall’Oriente.
Ma non sarà così. La strada è ancora lunga, impervia e faticosa, meglio equipaggiarsi di conseguenza senza sperare in improbabili scorciatoie.