La Ue “processa” Giorgetti: “Ratificate il Mes”. Quel messaggio tutto politico nella bocciatura del Def
Giornate durissime per il ministro Giorgetti. “Riscaldate” solo dall’ottimo andamento dell’economia italiana. Ieri è stato approvato il Def. Ma l’incidente non è chiuso. Il titolare del Mef vola a Stoccolma con 24 ore di ritardo. Dove lo aspettano i colleghi Ue per fare i conti su Mes, Pnrr e nuove regole sulla Stabilità
“La lunga e solitaria impresa di un ministro della Repubblica”. Vedrete se prima o poi qualcuno non scriverà un saggio con questo titolo. Cioè su Giancarlo Giorgetti, il bocconiano di Cazzago Brabbia, da quasi trent’anni in Parlamento, ministro di Economia e Finanze del governo Meloni. Uno a cui piace parlare poco, tra i pochi che in politica conosce il valore della fedeltà (in questo caso a Bossi) e uno dei pochi, anche, se non l’unico del passato governo che ha mantenuto rapporti con Mario Draghi. Da quando ha giurato, Giorgetti ha accettato una sfida di rara difficoltà: accontentare in qualche modo una maggioranza che da anni fa promesse esose e populiste (a cominciare dal suo segretario e dalla sua premier) con un rigore nei conti che è necessario per avere agibilità in Europa. Chiarito questo, si può forse intuire la pressione che sta sopportando in questi giorni il titolare del ministero di via XX Settembre, il più delicato di ogni governo.
Docce fredde, gelate e un po’ di calore: in poche ore gli hanno bocciato il Def, una prima volta di cui non andare orgogliosi; con una piroetta carpiata, governo e Parlamento hanno recuperato entro le 24 ore successive, cioè entro ieri alle 16; nel frattempo l’Istat ha rivelato i dati del trimestre e sono ottimi (pil +0,5%, lo 0,4% in più del previsto, cresciamo più di Germania e Francia); nelle stesse ore Giorgetti si è dovuto sottoporre al processo di Stoccolma dove i ministri economici dei 27 paesi europei più la numero 1 della Bce Christine Lagarde lo hanno messo sotto processo. Per il Mes non ancora ratificato, per il Pnrr che nn va come dovrebbe. Per la solita Italia che gode sempre meno dell’affidabilità di quando c’era un signore che si chiama Mario Draghi.
Il “processo” di Stoccolma
Cominciamo dalla riunione dell’Ecofin e dell’Eurogruppo riunite a Stoccolma da giovedì e dove Giorgetti è potuto arrivare solo ieri sera una volta approvato di nuovo il Def. “Scusate il ritardo” si è giustificato Giorgetti che ha provveduto subito a rassicurare i colleghi “tutto a posto, i conti sono in ordine”. Ma in quelle 24 ore l’Italia ha ballato. E ha continuato a farlo una volta che il ministro ha raggiunto i colleghi nella capitale svedese. Al primo punto in agenda c’è stato il Mes, il meccanismo di stabilità bancaria (scudo contro le crisi bancarie) che tutti i paesi Ue hanno ratificato tranne l’Italia.
Giorgetti è stato a lungo a colloquio con Christine Lagarde. Con un messaggio di urgenza del tutto nuovo e ricondotto alle recenti turbolenze del comparto bancario, pur con garbo istituzionale e nel rispetto per le prerogative di Governo e Parlamento italiano, la presidente della Bce ha detto chiaramente che la ratifica dall'Italia del Mes “sarebbe positiva, perché avere un backstop (rete di protezione, ndr) in caso di difficoltà sarebbe effettivamente utile a tutti i membri che lo hanno ratificato”. Il commissario Ue all'Economia Paolo Gentiloni ha banalizzato il problema visto che “la ratifica italiana del Mes è già stata decisa più di due anni fa”. Decisa sì ma non votata. Giorgetti è stato, come spesso fa, di pochissime parole: “Sul Mes bisogna approfondire e lo faremo”. Una volta uscito dal colloquio con Lagarde non ha voluto dire altro. Se non compiacersi per l’andamento della nostra economia fotografati dall’Istat: “I fatti alla fine pagano e mettono a tacere le Cassandre”. Cioè i tanti analisti e società di rating che vedono sempre grigio quando parlano d’Italia. E’ chiaro che il dosier Mes è stato poi oggetto dei colloqui telefonici con la premier rimasta per il fine settimana a Londra con la famiglia.
Alla fine, la figuraccia sul Def alla Camera che ha trattenuto il ministro a Roma un giorno in più, gli ha evitato l'attesa interrogazione da parte dei ministri dell'Eurozona proprio sul tema Mes. Il messaggio all’Italia è comunque arrivato con chiarezza. Tutti, dalla ministra delle Finanze spagnola Nadia Calvino all'omologo francese Bruno Le Maire, al presidente dell'Eurogruppo Paschal Donohoe, allo stesso direttore del Mes Pierre Gramegna, hanno sottolineato l’utilità che avrà il Mes riformato: la potenza di fuoco dei miliardi del fondo 'salva stati' a supporto anche del Comitato unico di risoluzione bancaria per evitare contagi nel caso di crisi tra grandi banche.
Tra i dossier sul tavolo dei ministri economici anche le nuove regole del patto di stabilità Ue che contengono la “fregatura”, per l’Italia, che anche gli investimenti vengono computati nel debito. Si è parlato incidentalmente anche di Pnrr perchè per l’Italia può entrare come partita di scambio tanto con le nuove regole di bilancio che con la ratifica del Mes.
“Approvato” il Def
In realtà Giorgetti è partito furioso e affatto tranquillo. Per il suo ruolo nel governo, nel senso che tutta questa vicenda gli puzza e non poco. Per la credibilità dell’Italia sui mercati nonostante. “I colleghi non sanno o non si rendono conto” aveva sibilato velenoso giovedì mentre lasciava l’aula e cercava una soluzione. Che è arrivata tra giovedì sera con il nuovo Cdm e ieri mattina con l’aggiunta di sette parole nella relazione del Def. Con questa modifica ieri il Documento e relativo scostamento di bilancio sono stati approvati con 221 voti alla Camera (giovedì si erano fermati a 195 con maggioranza assoluta a 201) e 112 al Senato, due in più del giorno prima (maggioranza assoluta 101). Il dibattito generale, nell’una e nell’altra Camera, è diventato in fretta una sentina di accuse reciproche. Le opposizioni hanno accusato di incompetenza la maggioranza deridendo lo slogan della campagna elettorale “siamo pronti” come uno dei più funesti di sempre. La maggioranza ha accusato le opposizioni di essere “irresponsabili” visto che il Def, come la Nadef, sono voti tecnici su cui è vietato fare politica e consumare vendette. Lasciando intendere che tutto sommato si aspettavano un aiutino delle opposizioni.
Certo, la maggioranza ha tentato anche di chiedere scusa all’Italia e alla premier Meloni promettendo: “Mai più un scivolone del genere”. Maurizio Lupi di Noi moderati ha voluto cogliere un messaggio positivo in tutto questo cinema: “La centralità del Parlamento” che però alla prima e attesa prova ha fatto acqua da tutte le parti. I capogruppo Molinari (Lega) e Foti (Fdi) hanno dato la colpa “al forsennato taglio dei Parlamentari a cui però non è seguito un adeguamento dei quorum”. Qualcuno, della maggioranza, sempre a margine ha lasciato intendere che “insomma, con il taglio dei seggi e i banchi vuoti nelle ultime due file è anche più difficile avere il colpo d’occhio giusto sulle presenze”. Pronta la replica del terzopolista Roberto Giachetti: “La matematica non è un'opinione o, come disse Totò ‘la somma fa il totale’. La maggioranza assoluta, con il taglio dei parlamentari, non c’entra nulla. La maggioranza assoluta è in funzione del numero dei parlamentari, in percentuale: prima era di 316, ora di 201”.
“Abbiamo i numeri?”
Il colpo d’occhio “giusto”, ovverosia il dubbio che in aula alla Camera non ci fossero i numeri sufficienti per approvare il Def a maggioranza assoluta, lo aveva avuto invece il ministro Giorgetti. Il titolare del Mef giovedì osservava l’aula e non gli tornavano quei banchi vuoti. Ha condiviso il suo timore con una deputata di Fratelli d’Italia: “Sicuri che abbiamo i numeri?” le ha chiesto via whatsapp. La deputata non ha letto il messaggio e quando il vicepresidente Rampelli (Fdi) che presiedeva l’aula ha chiamato la votazione elettronica era troppo tardi per inventare una scusa e prendere tempo. Quello necessario per fare qualche telefonata e richiamare in aula almeno sei assenti. Si tratta dell’abc della prassi parlamentare: in ogni gruppo ci dovrebbe essere chi conta i presenti, chi simula il voto, i butta-dentro che li vanno a richiamare alla buvette e persino nei bagni. Abbiamo visto scene di ogni tipo a questo proposito. Giovedì non è successo nulla di tutto questo.
E allora, insipienti, arroganti o superficiali. Oppure c’è anche dell’altro? Raffaella Paita, capogruppo del Terzo Polo al Senato, ieri in aula ha messo in fila qualche indizio e alla fine, tirata la riga, non resta “solo” il grave incidente di percorso. “C'è anche qualcosa di politico nell'incapacità dimostrata. C'è una crescente insoddisfazione, un imbarazzo, perché la maggioranza complessa, rissosa, non è in grado di mantenere nessuna delle promesse elettorali. Un Def insufficiente, senza visione e senza soluzioni strutturali comincia a stare stretto. I partiti di governo cominciano a rendersi conto che con Draghi il paese cresceva, con voi sta fermo, immobile”.
Quella bocciatura è un fatto politico
Un “problema politico”. E questioni “interne ai partiti”. Dietro questo due locuzioni, che la premier Meloni non a caso ha subito voluto allontanare, ci sono tutti i mal di pancia interni alla maggioranza: la Lega contro lo strapotere di Meloni; Forza Italia che cerca di sopravvivere con dignità; la Lega che osserva con sospetto l’ultimo maquillage governista degli azzurri. Tutti preoccupati per il rigorismo draghiano di Giorgetti che giorno dopo giorno tanto viene apprezzato dai mercati e tanto irrita la sua stessa maggioranza che non potrà realizzare nessuna delle promesse fatte in campagna elettorale e anche dopo. Dalle pensioni al Ponte sullo Stretto, la dottrina Giorgetti è l’antitesi dei vari proclami.
Gli indizi del malcontento sono vari. Giorgetti è della Lega e il suo capogruppo al Senato, fedelissimo di Salvini, Massimiliano Romeo giovedì aveva inserito nella risoluzione votata e approvata tre punti non concordati con il ministro. Il Def stesso, con i 3,4 miliardi destinati al taglio del cuneo fiscale, chiude le porte – almeno per ora – a riforme e aumenti di pensioni. Così come nella delega fiscale che dovrà riformare il fisco è evidente come sia saltata un’altra leggenda leghista: la flat tax.
Quindici assenti nella Lega, quattordici in Forza Italia, sette di Fratelli d’Italia. Tra loro deputati che sono stati visti in aula e in Transatlantico fino alle tre, quattro del pomeriggio. E alle 17 erano assenti.
Messaggi anche per la premier?
Gli avvertimenti sono stati solo per Giorgetti o anche per Meloni? O per entrambi? Qui la faccenda si complica. Sicuramente il ministro da mesi chiede alla premier di ratificare il Mes (che non vuol dire attivarlo) “per dare almeno un segnale all’Europa”. Un segnale che poi può essere speso anche in altre partite, la Stabilità e il Pnrr, tanto per dirne due. Più in generale ci stiamo giocando l’affidabilità conquistata a fatica con il governo Draghi. D’altro canto non ha fatto piacere a Giorgetti e alla potente e competente struttura della Ragioneria dello Stato vedersi scippare tutta la governance del Pnrr per portarla a Chigi e consegnarla nelle mani del ministro Fitto. Così come non fu gradevole per Giorgetti dover rinunciare al Direttore del Tesoro Alessandro Rivera. La premier volle la sua testa e il ministro dovette obbedire.
Come si vede, è un intreccio complesso di progetti disattesi e diktat perentori che indeboliscono il ministero ma anche palazzo Chigi. Se è stato imbarazzante per Giorgetti dover comunicare ai colleghi “il ritardo perché non siamo riusciti a votare il Def”, ancora di più lo è stato per Giorgia Meloni andare a Londra per rassicurare i mercati e sul più bello, uscita dal numero 10 di Downing street, dover dire: “Non ho trovato i numeri per il Def”.