Troppi "non possumus": Draghi no, Mattarella no, Berlusconi forse... Chi mai andrà al Colle?
Draghi non può diventare presidente della Repubblica perché deve restare dov’è. Lo dice pure l’"Economist", premiando l’Italia come "il Paese dell’anno", ma sostanzialmente "votando" perché l’attuale premier resti a guidare il governo
Draghi no, al Colle non ci può proprio andare, perché deve restare dov’è. Lo dice pure l’Economist, premiando l’Italia come “il Paese dell’anno”, ma sostanzialmente ‘votando’ perché l’attuale premier resti dov’è, a guidare il governo. Figurarsi i leader di partito che vogliono tutti (tranne Meloni) che Draghi resti a palazzo Chigi. E, poi, c’è la pandemia da affrontare e che rialza la testa, tra variante Omicron che impazza e risalita dei contagi, i quali sotto le Feste potrebbero pure esplodere, con conseguente ‘gelata’ sulla ripresa economica, ora a rischio.
Senza dire che nessuno degli attuali ministri (Franco, ma neppure la bipartisan Cartabia) è ritenuta capace di tenere in piedi la (già slabbrata di suo) maggioranza attuale o perché non ritenuti abbastanza ‘di polso’. O solo per il fatto ‘politico’ che, un minuto dopo l’ascesa di Draghi al Quirinale, la Lega mollerebbe il governo, Forza Italia chissà, Pd e M5s da soli non reggerebbero (e, d’altra parte, non ne avrebbero i numeri) e la maggioranza, puf!, svanirebbe come d’incanto.
Prospettiva che, come si sa, terrorizza i peones, gli oltre 700 parlamentari al loro primo incarico (il 65% degli eletti sono tutti ‘novizi’ ed eletti, quasi tutti, nelle fila di M5s e della Lega, solo il 34% è composto da parlamentari ‘riconfermati’) che, se il governo cadesse in via anticipata e si precipitasse ad elezioni politiche prima del – fatidico – 24 settembre 2022, non vedrebbero il bene di uno straccio di pensione, oltre a perdere quasi 12 mensilità di stipendio (e relativi mutui), ove la legislatura non arrivasse a morte naturale, cioè non rispettasse la scadenza dei cinque anni che terminano nell’assai lontano febbraio 2023.
In ogni caso, ieri, anche Matteo Salvini spezza, come il sole che spunta, d’inverno, all’improvviso, una lancia perché Draghi continui a svolgere i suoi ‘compiti’ nella posizione attuale: “Io faccio lo sforzo di stare in maggioranza con il Pd e lui se ne va? Abbiamo prolungato lo stato d'emergenza fino al 31 marzo e lui se ne va?” si chiede ironico, e con tono sfottente e saccente, rivolto a Draghi. “Se resta lo stato di emergenza – pontifica Salvini - resta pure Draghi. E’ giusto che il premier continui, non è facile che, se sposti una pedina, poi resta tutto co’'è”. “L'importante – insiste - è la tenuta dell’esecutivo” che ha ancora tanto da fare, agli occhi del ‘Capitano’.
"A gennaio – dice il leader della Lega mentre è impegnato, a Palermo, tecnicamente ‘alla sbarra’, in quanto in udienza nel processo Open Arms - non vorrei che gli italiani passassero le giornate davanti a un Parlamento che non riesce a decidere un Presidente della Repubblica. Il mio obiettivo è di decidere presto, bene e se non tutti insieme, infatti ho chiesto un tavolo dopo Natale, perché sarà difficile, a larga maggioranza senza escludere nessuno. A differenza di Letta che dice ‘si va bene tutti, però Berlusconi no’, io mi siedo al tavolo ascoltando tutti e se Berlusconi avesse i numeri...” (i puntini indicano che Salvini non esclude la possibilità che il Cav arrivi al Colle).
Luigi Di Maio, dal canto suo, dice e ridice, al Corsera come nei conversari con i suoi, che “Bisogna lasciare il premier fuori dai giochi politici e dal toto-nomi”, ma avverte anche che “i franchi tiratori crescono” (e qui il warning è per Conte, che non ne ha il vero polso delle truppe).
Il che, però, non vuol dire che Di Maio, parte attiva e propositiva del M5s, a differenza di Conte (di cui sono noti, ormai, solo i ‘no’) non voglia sedersi al tavolo con gli altri leader per trovare una “soluzione condivisa”, come dicono i suoi, che eviti l’ascesa al Colle di Silvio Berlusconi. Nome che ‘tenta’ anche una decina di grillini doc, oltre i tanti ex M5s che vegetano nel gruppo Misto, il quale ha raggiunto ormai i cento membri contando i due gruppi di entrambe le Camere.
Il guaio è che gli altri nomi sono tutti ‘unfit’… Il ‘problema dei problemi’ è che tranne Draghi, i leader dei principali partiti uno straccio di nome adatto su cui sedersi al tavolo, convergere e da mandare al Colle, proprio non ce l’hanno. Tutte le candidature che, finora, si sono affacciate sul proscenio di quello che sta per aprirsi e che va sotto il nome di ‘Gran Ballo del Quirinale’ sono tutti o troppo deboli o privi di truppe personali in Parlamento o ritenuti unfit. Si va, senza voler offendere nessuno, da Giuliano Amato (ancora ‘targato’ centrosinistra, nonostante faccia, da anni, il giudice della Consulta) a Pierferdinando Casini (che però ci crede, ci prova e ci lavora), dalla stessa ministra Marta Cartabia (che ci lavora, pare, in silenzio) alla ex ministra Letizia Moratti (oggi assessore alla Sanità in Lombardia, targata centrodestra) all’ex presidente del Senato, Marcello Pera (ci starebbe lavorando, però, nel suo eremo toscano, Denis Verdini per conto dello stesso Salvini…) all’attuale presidente, Maria Alberti Casellati (pure di centrodestra, ma figura istituzionale, che però non raccoglie simpatie neppure lì dentro…).
E Berlusconi? Lui ci crede, gli altri per nulla
Berlusconi, allora? No, non è il profilo adatto, scuotono la testa in tanti, specie nel Pd e nel M5s. “Ce lo vedi a presiedere il Csm?” dice preoccupato un dem, rispecchiando le parole di Enrico Letta, praticamente al millimetro. “E’ un leader di fazione, di partito, non è super partes” dice un altro dem (e, anche qui, ‘copia’ Letta). Il guaio è che se il leader dem, Letta in persona, è convinto che “faremo una scelta insieme, largamente supportata dalle forze politiche e sono convinto che sarà una buona scelta”, i parlamentari dem, nei loro conciliaboli, non sono mica così convinti che ‘andrà tutto bene’.
La preoccupazione maggiore, peraltro, che alligna tra i democrat come pure al Nazareno, è che le ‘truppe’ del M5s non reggano alla prova dell’aula, quando si aprirà lo scrutinio del Capo dello Stato. Il che dovrebbe avvenire tra il 19 e 24 gennaio se è vero come è vero che la ‘letterina’ di convocazione che il presidente della Camera, Roberto Fico, manderà ai 1009 Grandi elettori. Formalmente, ad oggi, sono ‘solo’ 1007 perché mancano due seggi: uno alla Camera, il collegio uninominale di Roma 1, dove si voterà il 16 gennaio, e un collegio senatoriale tra gli eletti all’Estero, dove è decaduto il senatore Cario, ma che sarà sostituito col primo dei non eletti, ma saranno riempiti, ergo il quorum risalirà a 1009. E ne hanno ben donde, i democrat, a preoccuparsi.
Persino tra i 5Stelle c’è chi tifa per ‘zio Silvio’
C'è, infatti, persino chi tifa per Silvio al Colle, nel Movimento 5 Stelle. Anche se la linea ufficiale indicata da Giuseppe Conte è un 'no' secco al nome di Berlusconi, si dice che vari parlamentari sarebbero tentati dalle sirene di Arcore e pronti a votare l’ex ‘nemico numero 1’ del Movimento. Secondo gli ultimi boatos di Palazzo, in quel grande magma rappresentato dai gruppi parlamentari, dove si annidano i franchi tiratori pronti a colpire nel momento decisivo, lo ‘scouting’ forzista starebbe dando i suoi primi frutti. Almeno stando agli umori e al clima preoccupato emerso nei recenti conciliaboli pentastellati. In particolare, scrive l'Adnkronos, un esponente M5S del governo Draghi avrebbe messo alcuni colleghi parlamentari al corrente del “rischio” che, nel segreto dell'urna, diversi eletti grillini possano votare in dissenso e a favore del Cav. Si tratterebbe di una piccola minoranza: l’esponente governativo parla di cinque deputati. Cifre che non si allontanano da quelle in possesso di Gregorio De Falco, senatore del Misto eletto nel M5S che ancora oggi conserva buoni rapporti con molti suoi ex compagni di partito: “Ho saputo che Berlusconi può contare sull'appoggio di almeno 7 grillini alla Camera” confida lui.
Eppure, molti, nel M5S, al solo sentire nominare Berlusconi scatta una sorta di riflesso pavloviano: “E' inutile che si parli di consenso largo per il Quirinale se la destra continua a tirare in ballo Berlusconi. Il nostro è un vero e proprio veto sul suo nome e su tutto ciò che rappresenta” attacca in una nota Mario Perantoni, presidente della Commissione Giustizia della Camera, del M5s. Ma un giovane deputato 5S dice: “Non credo che qualcuno dei nostri possa votare Berlusconi, ma penso che alcuni, dovendo scegliere tra Pera e Berlusconi, o Casini e Berlusconi, diranno: meglio zio Silvio a ‘sto punto”. Parole concrete. Nulla trapela in casa Forza Italia sull'interesse del loro leader ai voti pentastellati in vista del Colle. Anzi, dalle parti di Arcore ogni voce di 'campagna acquisti' viene smentita, ma che Berlusconi coltivi in cuor suo il sogno di diventare il successore di Sergio Mattarella non è più un segreto per nessuno. Tant'è che si continua a parlare con insistenza di uno scouting azzurro asfissiante soprattutto nella ‘terra di mezzo’ del Misto e tra i più ‘attenzionati’, nonostante le smentite, ci sarebbero soprattutto gli ex 5S.
Certo è che, più si avvicina il voto per il nuovo Capo dello Stato e più continuano le avances di Berlusconi e dei suoi (attivissimi, con lui, Confalonieri e Gianni Letta, Dell’Utri e Verdini) a tutto l'arco parlamentare, a cominciare proprio dai Cinque stelle, scommettendo sulla loro paura di non essere ricandidati in caso di voto anticipato. Non a caso, l'ex premier, a sorpresa, ha già strizzato l'occhio più volte ai grillini sul reddito di cittadinanza e poi sul ruolo svolto dal Movimento nella politica nostrana. Insomma, mentre tutti gli altri restano ‘fermi’, immaginando ‘tavoli’ da cui far uscire il nome ‘giusto’ per il Colle o delineandone il profilo (“patriota” per la Meloni, “super partes” per Letta e “dall’alto profilo morale” per Conte, etc. etc.), Berlusconi continua la sua campagna acquisti e le sue quotazioni, se si arrivasse al IV scrutinio (dove basta la maggioranza assoluta, 505 voti), superando i primi tre, dove serve la maggioranza assoluta (675 voti), salgono ogni giorno di più.
Resterebbe, al solito, il bis di Mattarella, ma il Presidente va avanti tra ‘congedi’ e commiati. Resterebbe, come ultima speranza, ultima Thule, il ritorno, per disperazione, di Sergio Mattarella. Lui ha detto di no, ma di fronte a una conclamata indisponibilità (non voluta né cercata, ma reale) di Draghi ad ascendere al Colle, chissà che, magari, non ci ripensi e non si realizzi il binomio perfetto: Draghi a Chigi e Mattarella bis. Mattarella, però, prosegue la sua strategia, all’insegna di due parole, congedo e commiato. Due termini che non ammettono fraintendimenti e che hanno caratterizzato tutte le sue ultime uscite. Prima da papa Francesco in Vaticano (una visita definita in origine “di congedo”, ma poi non chiamata tale nei comunicati successivi) e poi al Quirinale per gli auguri al corpo diplomatico.
Due incontri serviti a confermare, se fosse ancora necessario, l'intenzione di Mattarella di escludere eventuali bis (pieno o a termine). In sintonia, peraltro, con lo spirito che ha caratterizzato il suo settennato: assoluta indipendenza dalle forze politiche, rispetto delle prerogative che la Costituzione assegna al capo dello Stato, riconoscimento non formale ma sostanziale del ruolo del Parlamento.
La visita dal papa con i sei nipoti, il sorriso e la pacatezza con cui Mattarella si è rivolto, pur trattando argomenti seri, alle feluche del mondo dimostrano la consapevolezza di una strada intrapresa senza voglia di ritorno. Mattarella, dunquew, continua per la sua strada. Lunedì prossimo ci sarà il consueto scambio di auguri natalizi con le più alte cariche dello Stato. Un appuntamento che spesso ha riservato messaggi, indicazioni, sollecitazioni al Paese ben più del messaggio di fine anno, che sarà il suo ultimo di Capodanno. Il 20 dicembre è lecito aspettarsi un ‘nuovo passo’ nella strada presa da Mattarella, anche se nei Palazzi si continua a tifare per il bis.