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Il triste compleanno del governo Meloni. Tra i dubbi sul decreto Albania, le accuse alla polizia “razzista” e un nuovo caso Boccia

Tanti motivi per cui la premier ha rinunciato alla attesa conferenza stampa. Il testo sul decreto migranti non è ancora pronto, la tensione con i Quirinale, i tentativi di “costringere” i giudici ad applicare la nuova legge. Manca anche il testo della legge di bilancio. Indiscrezioni su un nuovo caso Boccia. Infine anche le accuse del Consiglio d’Europa. Almeno in questo la premier ha avuto tutti dalla sua

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Giorgia Meloni
Giorgia Meloni (Foto Ansa)

Buon compleanno governo Meloni. Due anni giusti ieri e già tra i governi più longevi dal secondo dopoguerra. Era tutto pronto: la conferenza stampa, le slide - ben 48 - che raccontano due anni di successi. Doveva essere un compleanno fastoso: la partenza dei centri immigrati in Albania, il riconoscimento del Consiglio europeo sulle “soluzioni innovative per gestire i flussi proprio come sta facendo l’Italia”, i sondaggi che danno la premier e la fiducia al suo governo ancora molti alti nonostante qualche piccola flessione della zero e virgola. E’ stato invece un disastro. E come sostiene Murphy e la sua legge, se qualcosa poteva andare male, è andata anche peggio. E a nulla è valso il video messaggio autrocelebrativo di tre minuti in cui Meloni elenca i successi rivendicando i “conti dello Stato messi in sicurezza e i record storici sull’occupazione”. “Se mi guardo indietro, penso soprattutto che non mi sono mai risparmiata - conclude - . Andiamo avanti. Se voi ci siete, noi ci siamo”. I canali Rai, tv e radio, hanno provato a lanciare il messaggio e ad indicare la rotta della narrazione di giornata tra alleluia e osanna. Ma la cronaca ha avuto il sopravvento.

In attesa della legge di bilancio

Alla Camera hanno atteso fino a mezzanotte che Palazzo Chigi inviasse il testo della legge di bilancio. Non sono in ritardo, questo gli va detto. Negli ultimi anni è capitato di vedere la legge arrivare a metà novembre. Dunque non è quello il problema. Piuttosto il ministro era convinto che il testo sarebbe stato pronto nel fine settimana. Non è andata così, segno che ci sono problemi nelle coperture. Dal Mef, pur in assenza di testo, fanno trapelare dettagli che sono importanti. Soprattutto buone notizie: il taglio del cuneo riguarderà oltre mille lavoratori in più dell’anno scorso.
L’altro grande problema è l’affaire Albania. Da venerdì la premier è furiosa con quella sessione del Tribunale di Roma che ha “osato” ridicolizzare il tanto decantato memorandum Italia-Albania sui migranti. E oramai quei sedici portati fin là è chiaro che resteranno in Italia. Il clamore ha provocato un’ondata di affetto per cui sono arrivate offerte di lavoro e di sistemazione. Il testo del decreto approvato lunedì e poi spiegato in conferenza stampa come “soluzione del problema tribunali” e rispetto al quale “non esiste un piano B” ieri sera non era ancora al Quirinale perchè il governo lo sta ancora modificando.

Torna il ricorso in Appello

L’interlocuzione con gli uffici della Presidenza non è stata delle migliori in questa occasione. Il Colle ha chiesto e non ha capito dove fossero i requisiti della necessità e dell’urgenza che sono indispensabili per ricorrere allo strumento del decreto. Si parla di “rapporti ormai ridotti al minimo sindacale”. Non piace, probabilmente, al governo, una Presidenza così presente e attenta nel richiamare le regole del gioco. Così popolare. Ieri sera si è riparlato della possibilità di inserire il ricorso in Corte d'Appello contro le ordinanze del Tribunale sul trattenimento dei migranti nei centri per il rimpatrio. Era uno dei punti chiave della “soluzione” che voleva Giorgia Meloni per evitare nuove ordinanze come quelle dei giudici di Roma sui migranti trattenuti e poi rilasciati dai cpr albanesi. Il Consilgio dei ministri ha però approvato solo un articolo, quello con la lista dei paesi sicuri (19 e non più 22) che diventa norma di primo grado. Rispetto alla quale il governo sostiene che i giudici potranno solo applicarla o, se non la condividono, applicarla facendo poi ricorso alla Consulta. Il punto è che così facendo, nessun migrante potrà essere rimpatriato mentre pende una decisione della Corte. E il memorandum è destinato a non funzionare. L’inserimento del ricorso in Appello, una sostanziale modifica procedurale (che non dovrebbe essere ostativa alla firma del Capo dello Stato) non blinderebbe il decreto ma sarebbe un punto in più per il Viminale: il ricorso in Appello (solo nei casi in cui il primo grado ha “liberato” i migranti) è un giudizio di merito, deve cioè entrare nei motivi della decisione, mentre quello della Cassazione è solo un giudizio di legittimità. “Inutile” dal punto di vista della sostanza. E qui è la sostanza che conta, stabilire il principio che chi arriva in modo illegale da un paese “sicuro” deve tornare al suo paese. Resta il fatto che anche così non c’è alcuna certezza che i giudici italiani debbano “obbedire” al decreto. Fino a giugno 2026, quando entrerà in vigore il nuovo Patto europeo per l’Immigrazione e per l’asilo che prevede di potenziare le espulsioni nei Paesi sicuri, non ci potrà essere certezza. Entro quella data, invece, tutta Europa dovrà avere una lista condivisa di paesi sicuri e dei criteri condivisi sulla base dei quali fare espulsioni. Ma fino ad allora nessuna legge dello Stato potrà essere superiore al diritto europeo e al diritto umanitario.

Un nuovo caso Boccia?

Una giornata non facile, insomma. Saltata la conferenza stampa con tutte le ironie del caso (è stata data la colpa all’agenda del viceministro Tajani che però non c’entra nulla) sulle domande scomode che avrebbero occupato la scena al posto del “compleanno del governo”, la premier ha passato la giornata con un occhio alle interlocuzioni sul decreto e l’altro sulla politica estera. Fra la telefonata con il presidente della Tunisia Kais Saied (con cui ha parlato anche di cooperazione migratoria) e quella con il turco Recep Tayyip Erdogan (invitato nel 2025 per un vertice intergovernativo Italia-Turchia), si è trovata però a dover fare i conti con le anticipazioni di Report su un “nuovo caso Boccia” al ministero della Cultura ora guidato da Alessandro Giuli, a cui Meloni potrebbe aver già chiesto lumi sulle rivelazioni in arrivo.

Il ricorso del Viminale

Intanto il ministero dell’Interno ha fatto ricorso in Cassazione (per ora si può fare solo questo) contro la sentenza del tribunale di Roma che ha messo in “libertà” i dodici migranti Il sottosegretario Mantovano ha cercato in tutti i modi di abbassare i toni del conflitto con la magistratura. E ha cercato di evitare forzature insormontabili da parte del Quirinale. Il risultato non sembra dare dà però le “garanzie” sperate. In attesa della firma del Capo dello Stato, il governo sta valutando di mettere il decreto sotto forma di emendamento nel decreto sui flussi migratori ora all'esame dell'Aula della Camera. Merita ricordare che i giudici delle Corti d’Appello sono contrari a questa modifica perchè dicono di “non potere sostenere il nuovo carico di lavoro in considerazione dell’arretrato che già hanno”.

“Polizia e politica razzista”

L’amaro compleanno del governo Meloni ieri ha dovuto affrontare anche un’altra grana. L’Ecri, l'organo anti-razzismo e intolleranza del Consiglio d’Europa nel suo ultimo rapporto dedicato all’Italia e aggiornato ad aprile 2024, sostiene che le forze dell’ordine in Italia “fanno profilazione razziale durante le attività di controllo, sorveglianza e indagine, soprattutto nei confronti della comunità rom e delle persone di origine africana”. Il rapporto evidenzia che “le autorità non sembrano essere consapevoli della portata del problema e non hanno considerato l'esistenza della profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale” chiedendo quindi all'Italia uno studio completo e indipendente. Lo studio ha “l'obiettivo di individuare e affrontare qualsiasi pratica di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine”. Tempo di indagine: due anni. Tre considerazioni. La prima: il Consiglio d’Europa non c’era nulla con il Consiglio e la Commissione europea, è un organismo autonomo e indipendente a cui aderiscono una quarantina di paesi ed è da sempre molto attento all’etnia rom. La seconda: tutta Italia, dal Capo dello stato in giù, ha difeso compatta le nostre forze dell’ordine che non sono assolutamente razziste. Giorgia Meloni non è stata “sola” in questo, anzi. La terza: questo giudizio è un brutto colpo per una premier che tiene molto all’immagine internazionale e fa di tutto per levarsi di dosso gli stereotipi tipici della destra.

Agenti indagati

Però i suoi hanno trovato modo di fare polemica con le opposizioni e comunque con la magistratura perchè nel pomeriggio è arrivata la notizia che sono stati indagati dodici agenti presenti in piazza a Pisa negli scontri con gli studenti. Era febbraio scorso. E Mattarella, sempre lui, ricordò che “guai ad alzare i manganelli contro ragazzi e studenti”. Meglio mettere via in fretta questo compleanno. A ben pensare, poi, certe ricorrenze non portano bene. Le 49 slide sulle magnifiche sorti progressive del governo Meloni sono finite sul sito del governo. Chi vuole, le trova lì.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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