[Il retroscena] Il tribunale che processa Salvini ha sempre salvato Berlusconi. E ora torna l’asse con il Cavaliere
Ventisette procedimenti avviati, quasi tutti finiti in nulla. Il Tribunale dei ministri ha “assolto” per sei volte Berlusconi, una volta Tremonti e Lunardi e mandato a processo solo Altero Matteoli e Mario Tanassi. Ma il vicepremier ne approfitta per lanciare un amo a Fi: “Subito la riforma della giustizia”. Il Cav apprezza e torna a sperare in una crisi di governo. E garantisce il voto contrario in caso di richiesta di autorizzazione a procedere al Senato
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Sabato sera si è avuta notizia dell’indagine su Matteo Salvini, mercoledì mattina, quando il fascicolo dei pm di Agrigento sarà trasmesso alla Procura di Palermo e, di lì, subito inoltrato al Tribunale dei Ministri, avrà inizio il procedimento giudiziario vero e proprio. Decine di migliaia di simpatizzanti del vicepremier hanno manifestato solidarietà usando gli hastag #iostoconsalvini, lui, popolare come mai prima, ringrazia e promette di “tenere duro”, ma pochi sono andati a vedere come si è comportato sino ad oggi il Tribunale dei Ministri. E’ veramente un pericolo concreto quello che sta correndo il segretario della Lega? Su ventisette procedimenti noti, soltanto due si sono conclusi col ministro (o ex) consegnato alla magistratura ordinaria, la stragrande maggioranza sono finiti con una archiviazione o con le Camere che negano l’autorizzazione a procedere. Nessun ministro era stato finora indagato per reati come il sequestro di persona e l’arresto illegale come è capitato al segretario del Carroccio, mentre l’abuso d’ufficio, contestato al titolare dell’Interno e al suo capo di Gabinetto al Viminale, è stata la fattispecie a cui è stato fatto maggiore ricorso in passato. Un habituè della richiesta a indagare per un presunto “abuso d’ufficio” è stato Silvio Berlusconi. Il presidente di Forza Italia, “collega” segretario di un partito di centrodestra, si è visto contestato il reato di abuso d’ufficio quando era premier. Nel mirino dei magistrati, che avevano inviato le carte con le accuse proprio al Tribunale dei ministri, quattro voli blu atterrati ad Olbia, l’aeroporto che il Cavaliere utilizza per raggiungere Villa Certosa, il 23, 25, 31 maggio e il primo giugno 2008, a bordo dei quali ci sarebbero stati anche il cantante Mariano Apicella e altre persone estranee all’attività di governo. Un anno dopo, il Tribunale dei ministri, dopo avere acquisito le carte, sentenziò che non vi era stato alcun reato. Ma il Cavaliere è stato protagonista di ben sei procedimenti spediti ai magistrati che - a turno - si occupano di giudicare i possibili reati commessi dai membri del governo, ed è sempre riuscito ad uscirne immacolato. Fu archiviato dalle accuse di minaccia a un corpo amministrativo dello Stato e concussione sulle presunte pressioni per far chiudere la trasmissione Annozero di Michele Santoro. Gli è sempre andata così di lusso, che furono proprio gli avvocati difensori dell’allora premier a chiedere che fosse quella sezione e non la Procura di Milano a giudicare la “famosa” telefonata di Berlusconi alla Questura di Milano per chiedere notizie su Ruby.
Il segretario della Lega e il suo parigrado Luigi Di Maio conoscono bene l’esito del procedimento che i cinquestelle stessi avevano chiesto di avviare contro Angelino Alfano. L’allora ministro degli Esteri, del quale il capo politico pentastellato chiese le “dimissioni immediate”, fu archiviato dalle accuse che gli erano state rivolte da tre deputati M5s, l’attuale sottosegretario al Viminale Carlo Sibilia, Michele Dell’Orco e Niccolò Paolo Romano, sul presunto abuso nell’uso dei voli di Stato. La motivazione di accoglimento della richiesta di archiviazione per quei fatti risalenti al maggio 2017 chiariva che “il ministro è autorizzato a usufruire, per motivi di sicurezza, dei voli di Stato per gli spostamenti sul territorio nazionale e all’estero”.
I “magistrati dei ministri”
E’ finito in nulla anche un procedimento aperto a carico di Giulio Tremonti. L’ex ministro dell’Economia dei governi di centrodestra era stato “salvato” dal fatto che il reato contestato sarebbe stato commesso, per i “magistrati dei ministri” come privato cittadino e non in quanto carica dello Stato. Sono diciannove in totale le archiviazioni. Sempre di centrodestra è stato indagato e poi archiviato dal Tribunale dei ministri della Sardegna Maurizio Lupi. Ex ministro dei Trasporti si era vista contestare la nomina a commissario straordinario della Port-Authority di Cagliari di Piergiorgio Massidda. Anche lui ex collaboratore di Berlusconi, Pietro Lunardi è stato trascinato al Tribunale dei ministri e poi assolto nel 2010. Finì nel mirino della magistratura per avere acquistato un palazzo a un prezzo che era stato giudicato basso. Anche quando i procedimenti non hanno ricevuto lo stop del Tribunale dei ministri, ci ha pensato il Parlamento a non concedere le autorizzazioni a procedere.
Non è sempre andata bene a tutti
Il capo degli Interni potrebbe sempre fare la fine di Mario Tanassi, pluriministro del Psdi, che nel lontano marzo del 1979, fu condannato per corruzione nello scandalo Lockheed per fatti commessi quando era numero uno della Difesa. Non era andata bene ad Altero Matteoli. Già colonnello di An, poi ministro delle Infrastrutture del Pdl, recentemente scomparso, era stato “condannato” da quello stesso tribunale “speciale” a finire in un Aula di Tribunale “normale” che indagava sul Mose di Venezia anche perché la Camera aveva votato l’autorizzazione a procedere il 2 aprile 2015. Non ha avuto tempo di conoscere l’esito del procedimento a suo carico.
Ora tocca a Salvini, che potrebbe essere interrogato in tempi piuttosto brevi. Il Tribunale dei ministri dovrà esaminare le carte entro quindici giorni dalla ricezione del plico dalla Sicilia e poi l’organo collegiale ad hoc composto dai gip Fabio Pilato e Filippo Serio e dal giudice del tribunale fallimentare Giuseppe Sidoti, estratti a sorte come prevede la legge, ha 90 giorni di tempo per decidere se archiviare o se trasmettere gli atti alla Procura. Nel secondo caso toccherebbe alla Procura chiedere al Senato che voti l’autorizzazione a procedere contro il vicepremier, che è senatore eletto in Calabria.
Anche in questo caso - estremo ? - il leader del Carroccio non rischia niente. La Lega lo difende compatta e anche i Cinquestelle hanno chiarito da che parte stanno: “Rispettiamo la magistratura, ma stiamo con Matteo Salvini”, ha chiarito Di Maio, seguito a ruota da tutto lo stato maggiore del suo partito, Guardasigilli compreso. I numeri per “salvare” il segretario leghista già ci sarebbero: Lega e M5s hanno 7 voti in più rispetto alle opposizioni. In aggiunta però, sono già stati offerti pure quelli di Forza Italia.
Gli azzurri, che sono il secondo gruppo a Palazzo Madama, non hanno mai votato per l’arresto di nessuno e, nonostante tutto, ieri hanno chiarito che non lo faranno nemmeno questa volta, magari per far cadere il governo. “Esprimo la mia vicinanza a Matteo Salvini la cui assurda ed inconsistente vicenda giudiziaria, non potrà che avere un esito a lui favorevole. Ancora una volta l’autorità giudiziaria è intervenuta su una vicenda esclusivamente politica su cui non dovrebbe minimamente interferire”, ha scritto in una nota Berlusconi. “Il Presidente Berlusconi, i suoi collaboratori, e moltissimi esponenti del centrodestra sono stati oggetto di innumerevoli, infondate e pretestuose indagini che hanno modificato profondamente la situazione politica italiana, favorendo altre forze politiche. Tutto ciò era ed è inaccettabile. Il procedimento a carico del ministro Salvini, al quale va la nostra solidarietà per essere incappato nel cortocircuito politica-giustizia, sarà certamente archiviato, ma la riforma della giustizia non può attendere oltre”, gli hanno fatto eco in una nota congiunta le capigruppo azzurre di Camera e Senato, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini. Il segretario della Lega, che continua a tenere aperto il “forno” col centrodestra, ne approfitta: “Serve la riforma della giustizia. Fuori le correnti dalla magistratura”, tuona. Musica per le orecchie del Cavaliere e dei suoi, che da oltre venti anni promettono di intervenire sul difficile rapporto politica-giustizia. Intanto, con una sola dichiarazione, il ministro dell’Interno si è garantito il risultato in caso di voto in Aula. Ma possono reggere i Cinquestelle, già stressati dalle divisioni tra il capo politico e Roberto Fico, presidente della Camera, sul tema dell’immigrazione, a uno scivolamento di questo tipo del governo, a un atteggiamento antigiustizialista? Dentro Fi e Fdi sperano di no e si tengono pronti ad un doppio scenario: elezioni anticipate o governo “allargato” al centrodestra.