[Il retroscena] La tregua sul condono produce un buco da 2 miliardi. E Di Maio e Salvini zittiscono Tria

Conte mediatore tra i due vicepremier per un accordo. La consapevolezza: “Anche in caso di crisi non si andrebbe a votare”. Salvini costretto ad accettare la riscrittura del decreto fiscale, ottiene in cambio il via libera alla legittima difesa, ma non si fida. La cancellazione del condono penale disincentiva l’emersione del nero e lascia un “buco” di almeno due miliardi: dove troveranno quei soldi, chi rinuncerà a una delle promesse già fatte? Dopo le tensioni, i due vicepremier zittiscono insieme il ministro dell’Economia, che in Cdm torna a chiedere di fare la dieta alla manovra per ridurre al 2% il rapporto deficit pil tenendo buoni Ue e mercati

Di Maio, Conte e Salvini
Di Maio, Conte e Salvini

Luigi Di Maio era  arrivato a Palazzo Chigi alle 11, mentre Matteo Salvini due ore dopo, alle tredici, tenendo per mano la figlia Mirta. Si sono chiusi ciascuno nel proprio ufficio senza parlarsi. Intanto i minuti passavano e il consiglio dei ministri che avrebbe dovuto suggellare la pace e riscrivere la Manovra ritardava.  Il clima era così teso che il presidente del consiglio Giuseppe Conte li ha chiamati entrambi nel suo studio, per promuovere un chiarimento. E’ riuscito nel suo intento solo in parte, se è vero che la Manovra è stata riscritta senza il condono, ma ora mancano un paio di miliardi per finanziare le misure già previste, i vicepremier non si fidano più l’uno dell’altro e si sono trovati veramente d’accordo soltanto su una cosa: alzare la voce contro Giovanni Tria. Il vertice tra premier e i suoi due vice è servito a convenire che “anche in caso di crisi di governo non ci sarebbero le elezioni” e dunque è “meglio andare avanti”. Il prezzo è stata la resa della Lega che ha dovuto ingoiare la riscrittura dell’articolo nove del decreto fiscale che era già stata approvata e un file che il leader del Carroccio non avrebbe mai voluto riaprire, ottenendone in cambio la ritirata dei Cinquestelle sulla riforma della legittima difesa come architettata al Viminale, che i pentastellati avevano chiesto di modificare presentando 81 emendamenti per annacquarne il testo. “Abbiamo approvato il decreto fiscale nella sua stesura definitiva, abbiamo raggiunto un pieno accordo”, ha detto pomposamente  Conte in conferenza stampa con accanto Salvini e Di Maio. Nel corso del lunghissimo consiglio dei ministri, durato quasi tre ore, si è deciso di cancellare il condono penale. Chi aderirà allo scudo per far rientrare i capitali dall’estero non non avrà più “protezione” per i reati di dichiarazione infedele, omesso versamento di Iva e ritenute, e soprattutto per riciclaggio e autoriciclaggio e impiego di denaro o di proventi illeciti legati a quelle condotte che invece era prevista nella precedente versione.

E’ lo stesso premier ad ammettere che la marcia indietro renderà molto meno appetibile il ricorso alla “pace fiscale”:  “L’inserimento di qualche causa di non punibilità, pur contenuta,  avrebbe  consentito da una parte di stimolare alla dichiarazione integrativa i contribuenti interessati, ma dall’altra avrebbe dato un segnale di fraintendimento”, ha sottolineato. Ecco perché “a scanso di equivoci” il nuovo testo approvato “non contiene alcuna causa di non punibilità”. Chi ha capitali all’estero e li fa rientrare potrà sì avere lo sconto, ma rischia di essere denunciato e addirittura arrestato. “Non ci interessa offrire alcuna sorta di scudi per capitali che si sono generati all’estero”, ha assicurato Conte, confermando, però, tutto il resto dell’impianto della cosiddetta “pace fiscale”. Resta in vigore la  possibilità per i contribuenti di correggere “errori o omissioni ed integrare” le dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2017 per cifre fino “al 30% in più di quanto dichiarato con un tetto massimo di 100 mila euro per ciascun anno di imposta”. Ridotte così le maglie, disincentivato il ricorso a questo condono, M5s e Lega dovranno dire addio ai 4 miliardi che avevano immaginato di incassare grazie alla pace fiscale. Ci finanziavano quasi metà del reddito di cittadinanza. Il decreto conterrà solo la “rottamazione ter” con una tipologia ampliata di debiti che si possono rottamare, la cancellazione delle mini-cartelle più vecchie nel magazzino di Equitalia, quelle tra il 2000 e il 2010 entro i mille euro.  Sono così sfumate le coperture di moltissimi provvedimenti già previsti nella Manovra e molti miliardi  dovranno essere trovati in Parlamento. “C'è un accordo politico per cui in sede di conversione di questo decreto legge noi troveremo una diversa formulazione tecnica adeguata”, dice Conte.

Dove andranno a tagliare Cinquestelle e Lega? Chi rinuncerà a qualcosa tra la riforma della Fornero, il reddito di cittadinanza e la flat tax per le partite iva? “Mancheranno almeno due miliardi”, ipotizza un sottosegretario padano.  Nel Carroccio non sembrano disponibili  a fare ulteriori passi indietro o rinunce.

Lo scontro tra Di Maio e Salvini visto fino a ieri mattina, sospeso ieri pomeriggio, è destinato a riaccendersi quando il testo, dopo la bollinatura della Ragioneria dello Stato prevista per lunedì, sarà depositato, discusso ed emendato alla Camera e al Senato. I capigruppo, che si erano affrontati a colpi di fioretto nei giorni scorsi, si preparano alla battaglia finale.  

Il ministro dell’Interno non ha vissuto bene la vicenda che lo ha costretto a riapprovare un decreto già discusso: “Per tre giorni hanno montato la panna”, si è lasciato scappare. Non lo consola l’avere ottenuto la promessa di un rapido via libera alla “sua” riforma della legittima difesa. Il ministro dello Sviluppo Economico ha segnato un punto a suo favore, ha potuto presentarsi alla piazza del Circo Massimo come “duro e puro”, acclamato dalla folla, ma sa bene che gli alleati di governo non gli potranno perdonare un altro errore, che la storia delle “manine” è irripetibile. Il governo resiste, ma per quanto non si sa. Ma il consiglio dei ministri della pace tra M5s e Lega non è stato affatto pacifico. Se la ragione per cui era stato convocato era la marcia indietro sul condono penale, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ne ha approfittato per parlare di altro. L’economista ha illustrato i contenuti della lettera mandata dall’Unione europea nella quale si accusa l’Italia di “scostamenti inaccettabili” e segnalato il rischio che alla riapertura dei mercati, lunedì, ci siano problemi. Il custode dei conti pubblici ha suggerito di “diminuire i saldi” e far scendere al rapporto deficit pil al 2%. Di Maio e Salvini, che avevano litigato fino a quel minuto su tutti, lo hanno gelato, in stereofonia: “Il deficit resta al 2,4%”. Malamente zittito, il solitamente pacato Tria avrebbe - secondo i presenti - anche alzato la voce.  Il titolare di via XX Settembre ha controproposto di abbassare il deficit, se non al 2,1% nel 2019, almeno nel 2020 e 2021, ma anche questa proposta è caduta nel vuoto, appoggiata dal solo ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Non c’è molto tempo per decidere: il termine ultimo per rispondere ai rilievi sulla manovra che la Commissione ha inviato al governo scade domani a  mezzogiorno. Gli uffici di Palazzo Chigi erano al lavoro anche ieri sera. Il ministro dell’Interno, invece, stava con la figlia: “Se non mi fate uscire chiama il Telefono Azzurro”, aveva scherzato, chiedendo ai giornalisti di finirla con le domande, nel pomeriggio di ieri.