[L’inchiesta] Tutte le trappole che attendono la manovra che ancora non esiste. Saranno 20 giorni da paura

A 36 ore dai festeggiamenti per la “Manovra del cambiamento” ancora non è stato diffuso nessun documento. Non è stato pubblicato dal ministero dell’Economia né è stato trasmesso a nessuna delle autorità che avrebbero dovuto vederlo. Una volta scritto, sarà depositato nelle due commissioni Bilancio, che potranno modificarlo e dovranno chiedere un parere ad Inps, Bankitalia e Corte dei conti. Tito Boeri ha già stroncato la manovra: “E’ iniqua”. Poi il voto in commissione, in Aula e il 20 la prova del nove in Ue. La Lega potrebbe chiedere modifiche

[L’inchiesta] Tutte le trappole che attendono la manovra che ancora non esiste. Saranno 20 giorni da paura

Arriveranno insieme a metà della prossima settimana. Diversamente da quanto accade per tutte le altre leggi dello Stato, il Def e la nota di Bilancio (con l’acronimo Nadef) saranno depositati contemporaneamente alla Camera e al Senato. Ma che cosa ci sarà scritto? A 36 ore dai festeggiamenti per la “Manovra del cambiamento” inscenati dai ministri pentastellati  sul balconcino di Palazzo Chigi,  ancora non è stato diffuso nessun documento. Non è stato pubblicato dal ministero dell’Economia né è stato trasmesso a nessuna delle autorità che avrebbero dovuto vederlo. “Non c’è nessun testo pubblicato, nè il ministro dell'Economia ha ancora detto una sola parola. Entrambi sono scomparsi. E’ un caso senza precedenti”, accusa il deputato democratico Ubaldo Pagano. Niente di scritto è arrivato nemmeno alle due commissioni competenti che dovranno esaminare il provvedimento e, se del caso, modificarlo.  

Il progetto approvato giovedì notte dal consiglio dei ministri per ora è infatti soltanto la proposta abbozzata dall’esecutivo: il punto di inizio di una lunga maratona fatta di studi, analisi, opinioni raccolte attraverso audizioni, che culminerà infine nei quattro voti parlamentari, due da parte delle Commissioni competenti e i due finali nelle Aule dei due rami del Parlamento. Non appena i tecnici avranno compilato il fascicolo, secondo gli accordi tra Matteo Salvini, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Giovanni Tria - che ieri scherzosamente ha definito il quartetto “una famiglia di fatto” -, la documentazione arriverà negli uffici di Claudio Borghi Aquilini e di Daniele Pesco, rispettivamente presidenti delle Commissioni Bilancio della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il primo leghista e il secondo pentastellato. E qui, con ogni probabilità, il balletto delle cifre è destinato a riprendere perché, come ha già chiarito il consigliere economico del leader leghista, “I numeri non sono scritti sulla pietra”. I partiti di maggioranza, come è già capitato per il decreto dignità e per tutti i testi scritti dal governo e arrivati in Parlamento, proveranno a stiracchiare il Def uno di qua e uno di là utilizzando lo strumento delle risoluzioni. L’opposizione, invece, cercherà i numeri per smontarla, tentando  magari di ridimensionare  i saldi annunciati, che comportano uno sforamento pesante dei parametri Ue e che hanno resi inquieti anche molti italiani.  

Più che le risoluzioni di maggioranza e opposizione, Conte e i suoi ministri temono però l’effetto che potranno avere le audizioni. La prassi infatti prevede che le commissioni sui provvedimenti questa natura ascoltino alcuni organismi preposti al controllo dei conti pubblici: Inps, Corte dei Conti, Banca d’Italia, Istat e chissà chi altro, oltre ai rappresentanti delle forze economiche. Già, per dire, l’istituto previdenziale ha chiarito il suo punto di vista sulla manovra. “C’è una grande iniquità nelle scelte del governo sulle pensioni e questo è un pericolo molto serio”, ha detto in mattinata Tito Boeri. Il numero uno dell’Inps, che già in passato si era scontrato con i due vicepremier, è stato giusto ieri invitato nuovamente a dimettersi da Roberto Calderoli, ma non ci va ugualmente leggero: “Ammesso e non concesso che per ogni pensionato creato per scelta politica ci sia un lavoratore giovane, bisogna tenere conto che chi va in pensione oggi in media ha una retribuzione di 36.000 euro lordi, mentre un giovane assunto con contratto a tempo indeterminato, cosa molto rara, avrà una retribuzione di 18.000 euro. Quindi ci vorrebbe la retribuzione di almeno due giovani lavoratori per pagare una pensione”, ha puntualizzato. Ripeterà le stesse cose in Parlamento e quelle dichiarazioni andranno a verbale. Anche il governatore di Bankitalia, nell’ultima relazione, aveva sollevato qualche dubbio sul reddito di cittadinanza immaginato come “misura universale” e in quanto tale ritenuto poco efficace per creare sviluppo, perché privo del cosiddetto “moltiplicatore”.  

Superato quel primo scoglio, una volta terminato l’esame delle due Commissioni, toccherà poi all’Aula pronunciarsi con un voto che i tecnici immaginano possa avvenire mercoledì 19 ottobre. Niente emendamenti: anche qui si procederà per risoluzioni, cioè esprimendo inviti più o meno vincolanti al governo  a compiere o non compiere certi atti, spostando le risorse già individuate su questo o su quel provvedimento. Solo allora si capirà quanti dei miliardi “mossi” dal documento - e finanziati in deficit - saranno destinati a investimenti e quanti alla spesa corrente; quanti, secondo la gran parte degli economisti producono un risultato in termini di pil, e quanti invece no. In tutto questo lasso di tempo, la proposta di portare al 2,4% il rapporto tra deficit e pil sarà stressata dal mercato. Ieri Piazza Affari è scesa fino a meno quattro per cento e lo spread con i Bund è salito fino a 260 punti. Ed entro fine ottobre sono attesi i giudizi delle agenzie di rating Standard&Poor’s e Moody’s, che influiranno non poco sugli equilibri dei nostri conti, stabilendo indirettamente la quota del  bilancio destinata a far fronte al “servizio del debito” per remunerare gli investitori italiani e stranieri in rapporto al livello di rischio che sarà indicato e percepito.  

L’indomani, dopo il via libera del Parlamento italiano, Palazzo Chigi dovrà spedire una copia del Def a Bruxelles per affrontare il difficile passaggio della valutazione da parte della Commissione europea. Il premier ostenta però sicurezza: “Non temo il giudizio dell’Unione europea. Sono fiero di questa manovra. Ci tengo assolutamente a illustrarla nei dettagli e interloquirò anche con gli altri leader europei, perché voglio il massimo coinvolgimento. L’Italia è nell’Europa, non è un problema per l’Europa. L’Italia vuole essere una risorsa per l’Europa”. Conte si dice “ovviamente” “per il massimo dialogo”,  ma prova anche lui a mostrare “il viso dell’arme”. Così, davanti alle obiezioni anticipate dal commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, Pierre Moscovici, non rinuncia a usare la sciabola: “Quando ho assunto la responsabilità di governo, non ho mai pensato che dovessi fare una manovra sulla base di quello che si potesse aspettare un commissario delle istituzioni europee”. Più o meno è lo stesso argomento col quale il capo politico dei Cinquestelle giovedì sera, nel corso del Consiglio dei ministri, ha piegato il ministro dell’Economia: “Io rappresento undici milioni di elettori”. Sarà proprio Tria, però, a dover passare sotto le forche caudine delle autorità Ue già a partire da lunedì. A Lussemburgo è prevista la riunione mensile dei ministri finanziari dell’Eurogruppo e martedì quella dei 28 ministri Ue. L’economista italiano si porterà appresso una bella mole di documenti ed avrà tempo per convincere i colleghi fino a fine novembre. Forse, però, considerate le riserve manifestate nelle settimane scorse, dovrà prima di tutto convincere sé stesso.