Meloni: “Rispetto per Toti”. Quel “baco” nell’inchiesta. La promessa: “Presto in Cdm la riforma della giustizia”
Lunga intervista della premier alla Festa de La Verità. Nessun cenno ai grandi dossier europei. La maggioranza ha rischiato andare sotto sul Superbonus

“Poichè in questo paese il governo fa i decreti per avere più sicurezza, ad esempio Caivano, o per governare l’immigrazione e poi la magistratura li smonta, a breve porteremo la riforma della Giustizia in Consiglio dei ministri”. Un po’ imbeccata dal direttore Belpietro, un po’ perché forse parlava già da quasi un’ora nel silenzio di una platea attenta ma freddina, a Giorgia Meloni è scappata un po’ la frizione ieri nell’intervista pubblica nella giornata della Festa della Verità. E ha messo in una logica di causa-effetto la doverosa e attenta azione della magistratura rispetto alla costituzionalità delle leggi e di certi decreti e la tanto annunciata separazione delle carriere, da un parte i giudici e dall’altra i pm almeno per recuperare la totale parità con il terzo protagonista del processo: l’avvocatura. A qualcuno potrebbe suonare come una punizione. Ad altri il modo, finalmente, di costringere la magistratura al suo posto, basta invasioni di campo, basta guerra toghe-politica. Come se invece non fosse la politica a lasciare quei vuoti che inevitabilmente vengono occupati dalla magistratura.
Sei appuntamenti
L’intervista pubblica alla festa della Verità, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, è uno dei sei appuntamenti elettorali che la premier ha messo in calendario per la sua campagna elettorale da candidata per finta. Il primo è stato nel fine settimana la diretta social con Diletta Leotta, a scambiarsi consigli tra mamme “come veterane al fronte”. Ieri l’intervista con Belpietro. Seguiranno un’intervista ad un’agenzia di stampa nazionale, la manifestazione del Primo giugno, in concorrenza con la cerimonia al Quirinale con il Presidente della Repubblica e il consueto brindisi nei giardini del palazzo, il duello tv con Elly Schlein a Porta a Porta. Sono previste altre due date da qui all’8 giugno, tutte al di fuori degli impegni istituzionali. Aveva detto che la campagna elettorale non avrebbe in alcun modo condizionato l’attività della premier e della presidente di turno del G7 in calendario a metà giugno a Borgo Egnazia in Puglia. Sei impegni, per lo più senza trasferte, in meno di quaranta giorni non possono infatti togliere tempo al governo. E però nell’intervista in visto del voto per le Europee, l’Europa s’ è vista e sentita molto poco.
In “difesa” di Toti
Meloni ha difeso il governatore Toti: “Merita rispetto. In questi anni ha governato bene e credo che questo dovrebbe fare premio sul resto, su supposizioni e sospetti”. Poi però accetta come possibile l’ipotesi delle dimissioni: “Ha detto che vuole leggere le carte, capire di più e meglio e poi valuterà. Mi sembra un comportamento corretto e rispettoso. Quindi noi aspettiamo la sua versione dei fatti. Non dirò una parola di più”. Così è e Belpietro neppure ci prova. Sono parole chiare, che non hanno bisogno di essere interpretate: dopo l’interrogatorio davanti al gip il Presidente della Liguria deciderà il suo destino. Ieri alla Camera - voto di fiducia sul decreto sulla cyber sicurezza - i rumors di dimissioni imminenti di Toti e anche del sindaco di Genova Bucci erano l’argomento del giorno. Nei capannelli del centrosinistra si fanno già conti: “Si potrebbe andare a votare in ottobre”. C’è il solito clima da caccia alle streghe che si scatena ogni volta che la magistratura avvia un’indagine nell’imminenza di un turno elettorale. Un clima dove tutti i gatti sono bigi e non si distingue più nulla. Invece sono proprio questi i momenti in cui serve lucidità, soprattutto da parte di giornalisti e tv.
Neppure la notte i gatti son tutti bigi
Lucidità per vedere, come ad esempio ha fatto ieri Il Foglio, che ci potrebbe essere una falla procedurale nell’inchiesta di Genova tale da rendere inutilizzabili le intercettazioni. La prima ipotesi di reato dell’inchiesta nell’ormai lontano 2021 era di finanziamento illecito alla Fondazione Change e al Comitato Giovanni Toti. Erano arrivati infatti 195 mila euro dall’imprenditore Colucci (settore rifiuti) il quale avrebbe così finanziato direttamente l’attività di Toti e non quella del suo neonato partito “Cambiamo”. Le Fondazioni, come si sa, hanno meno limiti alle legittime liberalità concesse da privati. L’ ipotesi del finanziamento illecito però non autorizza le intercettazioni, il codice non lo consente. Proprio nel giugno dello stesso anno (2021) la procura di La Spezia invia a Genova atti relativi all’indagine gemella su Cozzani, capo di gabinetto di Toti, in cui si ipotizza la corruzione elettorale. Tra quegli atti c’è un’intercettazione Toti-Cozzani assai nebulosa ma sufficiente ad allargare l’ipotesi di reato a Toti e, soprattutto, a far intercettare anche il governatore. Da aggiungere che negli stessi mesi del 2021, un ufficiale della Guardia di Finanza, addetto alle banche dati della Procura nazionale antimafia, faceva decine di accessi sull’obiettivo Toti. Seguono oltre anni di intercettazioni ambientali e telefoniche, una mega pesca a strascico che finisce nelle oltre novemila pagine di atti depositati.
Se la difesa riuscirà a dimostrare che l’incipit dell’inchiesta è viziata da vizi di forma, tutto quello che è venuto dopo e fino ad adesso, deve essere considerato carta straccia. Sarebbe un colpo ferale all’inchiesta. Il che non risolverebbe certo la questione più importante: il governatore ha messo la propria funzione al servizio dell’interesse privato? Una domanda al momento senza risposte certe.
A un passo dalla crisi sul Superbonus
Per il resto la premier ha toccato tutti i temi: no al rimpasto e alle accuse su Tele-Meloni, sì alla riforma della giustizia e avanti sul premierato. Tutti tranne un paio rigorosamente taciuti: il decreto superbonus, in genere un suo grande cavallo di battaglia, che, proprio in concomitanza con l’intervista, vedeva la maggioranza spaccarsi in Commissione al Senato (respinti gli emendamenti di Forza Italia) e salvarsi solo per aver recuperato un senatore da un’altra Commissione e grazie ai voti di Italia viva; la “fuga”, lunedì, di Ursula von der Leyen che ha passato la giornata a Roma ma non ha neppure incrociato l’amica e supporter - ma forse non più - Giorgia Meloni.
La premier non ha mostrato dubbi: le Europee non andranno a incidere sugli equilibri della maggioranza di governo. Tiene l’asticella bassa, così sarà tutto più facile: “Il mio obiettivo è confermare il consenso di settembre 2022, sarebbe la prima volta che un governo in carica conferma il consenso dopo quasi due anni in cui sono state fatte scelte difficili e non tutto è andato come doveva”. I rimpasti sono una fissazione dei giornali: “Non ho mai pensato di farne uno, è una delle tantissime ricostruzioni forzate che leggo spesso. La mia squadra resterà la stessa per cinque anni. Non credo sia mai accaduto prima”. Di Europa si parla solo della futura Commissione: “Bisogna vedere qual è la delega che l’Italia riesce a spuntare. A me piacerebbe - ha detto Meloni - quella sull'economia piena, la competitività, il mercato interno, la coesione e la delega al Green deal”. Possiamo dire che in questi anni “qualcosa non ha funzionato e vogliamo correggere”. Questo vorrebbe dire che Fdi e i Conservatori contano di essere in maggioranza a Bruxelles. Ma con chi? Con i Popolari, ok, qualche singolo qua e la senza gruppo ma non basterebbe. Servono i Socialisti, o i Liberali di Renew Europe. I sondaggi dicono che Popolari e destre non hanno la maggioranza.
“Non sarà un referendum su di me”
Avanti tutta anche sul premierato “la madre di tutte le riforme” per cui Meloni auspica grandi convergenze. “Ma se non dovessero arrivare, ci rivolgeremo ai cittadini. Non sarà un referendum su di me, perché questa riforma riguarderebbe la prossima legislatura. Riguarda il futuro, e non tocca neanche l’attuale presidente della Repubblica”. Ripete quello che ormai è un mantra: “Io non ho bisogno di queste riforma, il mio è un governo stabile, la faccio perchè i cittadini ci hanno votato per farla”. Lo schema è chiaro, dice: “Si sta cercando di personalizzare lo scontro sul referendum sperando in un revival della situazione di Renzi. Qui ogni giorno si parla delle mie dimissioni, pensate un po’ che la sinistra aveva già una lista per il governo tecnico quando lo spread era salito un po’ . Non sarà un referendum su di me, perché questa riforma riguarderebbe la prossima legislatura. Riguarda il futuro, e non tocca neanche l'attuale presidente della Repubblica”.
“TelePd”
La premier arriva preparatissima al passaggio sulla tv di Stato e sul duello con Schlein a Porta a Porta “rispetto al quale vedo molti movimenti per impedirlo. Non capisco proprio perchè. O meglio capisco che ci sia nervosismo perchè invece di TeleMeloni non abbiamo più Tele Pd”. S’è portata dietro alcuni fogli per dimostrare che TeleMeloni non esiste “visto che in base alla media della presenze dei vari leader nei vari Tg nei primi 14 mesi sono drammaticamente ultima con 15 minuti”. Giuseppe Conte ne ha avuti in media 42 minuti. Matteo Renzi ben 37. Ciò che la premier si scorda di dire è che questo conteggio riguarda solo i telegiornali. Restano fuori le dirette e i talk show serali. “E dove erano le anime belle del pluralismo quando accadeva questo? Non accetto queste accuse anche perchè non ho bisogno di mettere gli altri a tacere. Sono storicamente quelli che non hanno niente da dire” che provano a farlo, “queste cose le fa solo la sinistra”.
I veri temi silenziati
Nessun cenno all’economia, agli stipendi troppi bassi, al potere d’acquisto delle famiglie tra i più bassi d’Europa, al debito, ai problemi legati al Pnrr. Nulla di nulla sui grandi dossier europei: guerre, difesa comune, dumping fiscale. Sul finale arriva però una carezza ai no vax. La premier elogia La Verità per il “coraggio” in questi anni nel pubblicare verbali e cifre. “Quello che non si è capito è che la scienza non è una fede. La scienza ha bisogno di riscontri ed evidenze. Ecco perchè io non ho vaccinato mia figlia”. I no vax ringraziano.