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I tormenti di Salvini tra europee, regionali, vittoria di Trump e sconfitta di Zaia sul fine vita

Il leader della Lega ha subito una serie di sconfitte negli ultimi giorni. Quando ha deciso di non candidarsi si aspettava una risposta diversa da Palazzo Chigi

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
Matteo Salvini (Ansa)
Matteo Salvini (Ansa)

A margine del consiglio dei ministri Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani fanno un mini punto sulle regionali con un passaggio sulle elezioni europee. Bocche cucite sull’esito del confronto. Probabile che i tre si rivedranno presto per stringere i bulloni e per iniziare una lunga campagna elettorale. Anche perché la fumata sembra essere stata ancora una volta nera. Certo è che chi ha partecipato al consiglio dei ministri ha trovato un Salvini «tormentato». Il leader della Lega ha subito una serie di sconfitte negli ultimi giorni. Quando ha deciso di non candidarsi si aspettava una risposta diversa dall’entourage di Palazzo Chigi. E invece appare chiaro che molto presto Meloni scioglierà la riserva e correrà in tutte le circoscrizioni come capolista. Uno scenario preoccupante per la Lega di Salvini perché con Meloni alla testa di Fd’I il partito di via della Scrofa potrebbe superare il 30%, cannibalizzando Lega e Forza Italia.

Leadership di Salvini a rischio?

D’altro canto, le ultime rilevazioni sui partiti fotografano via Bellerio all’8,7%. E addirittura ci sono altri studi in cui Lega sarebbe sotto l’8%. Se fosse così la leadership di Salvini rischierebbe. Ecco perché il ministro dei Trasporti vorrebbe cambiare spartito. Prima ha provato a convincere i governatori del Nord a candidarsi alle europee. L’operazione di moral suasion nei confronti di Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana, non ha portato nulla di buono. I tre presidenti di Regioni preferiscono non rischiare.

Il caso Vannacci

Sanno che ci sarà l’onda meloniana e di conseguenza vorrebbero tenersi lontano da una eventuale sconfitta elettorale. Da qui Salvini ha iniziato ad accarezzare l’idea di puntare tutte le fiches su Roberto Vannacci, il generale autore de “il Mondo alla rovescia”, un libro che ha spopolato. Un profilo che non scalda gli animi leghisti, da sempre convinti che alle europee i candidati debbano essere espressione dei territori. «La candidatura di Vannacci va contro la nostra storia» confidano alcuni parlamentari della Lega. Oltretutto l’atteggiamento del generale non aiuta: un giorno ammicca e l’altro si allontana. Come, del resto, non aiutano uscite di Vannacci come quella al Corriere della Sera: «Se mi chiamasse Elly Schlein o qualcun altro del Pd, cosa però che ritengo improbabile, io ascolterei anche loro e poi prenderei le mie decisioni».

Dirigenti di via Bellerio dubbiosi

Insomma, le controindicazioni sono diverse. Su tutte le perplessità della gran parte dei dirigenti di via Bellerio. Da quelle parti osservano le mosse del vicepremier con grande attenzione. Il ministro dei Trasporti non può sbagliare questa volta. Un risultato al di sotto delle aspettative riaprirebbe dunque i giochi della leadership di via Bellerio. Certo al momento non c’è un segretario alternativa. Ma la Lega è abituata a rinascere dalle ceneri. È già successo due volte, dopo la lunghissima segreteria di Umberto Bossi e dopo l’esperienza di Roberto Maroni.

La grana dell’autonomia differenziata

In questo contesto un peso potrebbe averlo l’approvazione in almeno un ramo del Parlamento del disegno di legge dell’autonomia differenziata. Incassare questa riforma può essere utile a salvarsi. Ieri è iniziata la discussione generale in Senato. Non a caso un salviniano doc come Alberto Stefani ha scolpito questa frase: «Giornata storica per la Lega: parte al Senato l'iter della riforma per l'Autonomia regionale. Grazie al ministro Calderoli che, con il suo costante impegno, sta portando avanti celermente una riforma essenziale che i Veneti hanno chiesto a gran voce con il referendum del 2017. Avanti così». E un altro salviniano doc, come il sottosegretario Massimo Bitonci, si è espresso in questi termini: «Grazie all'incessante lavoro del Ministro Calderoli e della Lega, oggi siamo qui in aula Senato per discutere le pregiudiziali sulle disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a Statuto Ordinario. Una riforma improcrastinabile ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione. Attuazione chiesta a viva voce da Veneti e Lombardi, grazie al referendum voluto dalle regioni nel 2017, che porterà alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni Lep, già inseriti nella legge di bilancio, con benefici, nuovo sviluppo e tutele per tutte le Regioni. Un iter che vuole porre fine ai danni del centralismo statale, che ha portato ad una nazione a doppia velocità. Una riforma che mira alla responsabilizzazione degli amministratori con l'assunzione di nuove deleghe e competenze».

Zaia e il fine vita

Eppure l’iter è ancora lungo. Anche perché tra Senato e Camera può sempre succedere qualcosa. Basterà approvarla in un ramo del Parlamento per salvarsi? Non è dato sapere come andrà a finire. La Lega non attraversa un bel periodo. Mezza Lega in Veneto ha votato contro la legge regionale sul fine vita propugnata da Luca Zaia. Non è un passaggio da sottovalutare. L’impressione è che la linea politica ondeggi e che ci siano troppe tensioni all’interno del gruppo parlamentare e nei territori. Un contesto complicato, dunque. Cui poi si aggiungono certe uscite di Matteo Salvini. Ieri mattina si è complimentata con l’ex presidente degli Stati Uniti, per il risultato dei repubblica in Iowa: «Congratulazioni a Donald Trump per la sua vittoria schiacciante al caucus dell’Iowa!». Raccontano che la war room di Palazzo Chigi abbia storto il naso. Giorgia Meloni è allineata alle posizioni di Joe Biden, è schierata con Kiev ed è dunque anti-putiniana. Insomma, l’esatto contrario dell’ex presidente degli States. Ecco perché in Transatlantico la voce che ricorre con più frequenza rimanda a questo ragionamento: «Da ora in avanti Matteo e Giorgia se le daranno di santa ragione anche sulla politica estera». Uno scenario che preoccupa Palazzo Chigi perché Meloni si ritroverà da presidente del G7 a dover rispondere alle domande che le porranno sulle uscite dell’alleato di governo. Anche perché un alleato che flirta con Trump potrebbe danneggiare l’esecutivo italiano nei rapporti con Biden e con l’intera Europa.

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
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