[Il ritratto] Toninelli, bravo e onesto come un carabiniere. Ma quant’è difficile fare il ministro tra gaffe ed errori
Lui è il fedelissimo di Luigi Di Maio e si è distinto nella precedente legislatura per alcuni interventi dagli scranni del Parlamento molto duri contro Renzi. Oggi che sta dall’altra parte della barricata, però si è reso protagonista di una serie di defaillance

Quando il governo del cambiamento lo nominò fra i ministri, qualche giornale titolò subito: «Il carabiniere Toninelli alle Infrastrutture». Danilo Toninelli è stato ufficiale di complemento nell’Arma per tre anni, dal 1999 al 2002, appena dopo aver preso la laurea in giurisprudenza a pieni voti. E dei carabinieri ha indiscutibilmente alcuni pregi: è fedelissimo e molto onesto, tutto lavoro e famiglia. In politica può servire, ma non basta. Come tutte le persone oneste s’è trovato nei tortuosi meandri della politica senza saper bene che pesce prendere, se dar retta al cuore, alla base o alle convenienze di partito e alle regole di un’alleanza, come durante il caso Aquarius, con la chiusura dei porti, quando alla fine confessò ai giornalisti le sue angosce: «Stiamo parlando di un problema che mi tocca profondamente come uomo e come padre. L’Italia continuerà a salvare vite umane. Però, siamo stati chiari, bisogna condividere le responsabilità».
Un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Solo che Salvini ha tirato diritto per la sua strada e Toninelli ha dovuto fare un po’ come Maurizio Ferrini, in Quelli della notte: non capisco ma mi adeguo. In quei giorni di salviniana battaglia, alcuni suoi compagni di partito sussurravano ai cronisti che non c’era tanto da stupirsi, «perché in realtà Toninelli è quasi un leghista che milita nei Cinque Stelle». Calunnie, perlopiù. La politica è anche questo. In realtà, l’ex carabiniere Danilo Toninelli è un grillino della prima ora, fondatore del gruppo pentastellato di Crema, quando erano appena quattro gatti, e l’aruspice Piero Fassino li derideva sarcastico: «Che Grillo fondi un partito e si presenti alle elezioni, poi vediamo come va».
Nella pratica, lui è il fedelissimo di Luigi Di Maio, che si è distinto nella precedente legislatura per alcuni interventi dagli scranni del Parlamento molto duri contro Renzi. Oggi che sta dall’altra parte della barricata, però, qualche defaillance l’ha mostrata proprio quando si è trattato di attaccare, come nel caso della tragedia di Genova. E’ lui il ministro competente e tocca a lui a segnare la linea, partendo da una verità abbastanza inconfutabile sullo scandalo delle autostrade. Lui e Di Maio hanno annunciato che avrebbero tolto la concessione ai Benetton, già motivo di qualche blando dissidio con Salvini che ha fatto presente come lo Stato sarebbe stato poi costretto a versare penali miliardarie.
Questa volta è stato Toninelli a tirare diritto. Non prima di aver acceso una polemica con l’opposizione che durante i primi giorni del grande caos della nave Diciotti, l’aveva invitato a venire in Parlamento a relazionare su Genova e lui aveva chiesto qualche giorno di tempo per raccogliere informazioni e conoscere meglio i documenti. Poi aveva postato una foto di lui al mare sorridente in compagnia della moglie. Apriti cielo. Giorgio Mulé, ex direttore di Panorama, ora deputato e portavoce di Forza Italia, aveva tuonato subito contro di lui: «Forse, vista la scenografia della foto, il tempo gli occorreva per raccogliere conchiglie. Siamo davanti a un oltraggio delle vittime e della verità.
Il ministro Toninelli, anziché stare spaparanzato al mare, rimuova immediatamente, come gli abbiamo chiesto da due giorni, i componenti della commissione da lui nominata in aperto conflitto di interessi. Chiediamo scusa per lui poi agli italiani. In quella foto non c’è l’Italia, ma un politico ridicolo che non si rende nemmeno conto di quanto sia inopportuno abbandonare la nave del suo Paese. Risalga a bordo! Lo faccia e si vergogni». Il forzista Diego Sozzani, capogruppo in Commissione Trasporti, aveva rincarato la dose: «Toninelli dimentica di essere un ministro della Repubblica e si presta a un selfie patetico e vergognoso sulla spiaggia».
Toninelli aveva risposto in serata: «Mi fa ridere chi mi accusa di essere al mare con la mia famiglia. Sono fisso al telefono. Seguo ogni cosa che riguarda il ministero e sono felice di farlo stando vicino a chi mi ama di più e da cui sono quasi sempre lontano. Si chiama amore, ma forse per certa gente è solo un’utopia». Perché l’altra grande passione di Toninelli assieme alla politica è proprio la famiglia, i due figli, Soleste e Leonida, e la moglie Maruska a cui una volta ha dedicato questo post da marito innamoratissimo: «365 grazie a mia moglie. Lo dico a me stesso per dirlo a tutti i mariti: l’Italia la ribaltiamo come un calzino, partendo dalle nostre famiglie e dalle donne, madri o mogli che siano, che le tengono in piedi». Passata la buriana, però i problemi non sono finiti. A cominciare dal ponte e dalla ricostruzione. Perché lui ha tirato diritto, ma anche i Benetton hanno fatto lo stesso. E a casa del governatore della Liguria Giovanni Toti hanno presentato il progetto di Renzo Piano. Toninelli e Di Maio hanno fatto subito presente che il ponte non lo rifaranno loro. Ed è partita l’immancabile disputa. Prima Toti: «E’ una questione di priorità, nonché di conoscenza dei documenti. Nella concessione c’è scritto che Autostrade per l’Italia è tenuta al ripristino dell’infrastruttura nel minor tempo possibile, concetto per altro ripreso nella risoluzione fatta dal governo pochi giorni fa, a riprova del fatto che quando scrivono dimostrano maggior senso pratico di quando parlano». Poi Toninelli: «Non faccia politica sul ponte di Genova. Autostrade sborserà il danaro, come suo dovere, ma non ricostruirà il ponte che ha fatto crollare. Il presidente Toti si preoccupi di far rientrare gli sfollati per riprendersi gli effetti personali e di dar loro un nuovo alloggio».
Nel frattempo, Toninelli inciampa altre due volte. Su un post pubblicato sul blog delle Stelle scrive: «La famiglia benetton era ed è azionista di punta dei gruppi che controllano quotidiani come La Repubblica, l’Espresso, il Messaggero. Ecco il motivo per il quakle i media attaccano il governo del cambiamento e il Movimento 5 Stelle». Ma i Benetton non sono mai stati soci del Gruppo Espresso, e hanno ceduto lo scorso anno le quote che detenevano nel Sole24ore e in Caltagirone, e nel 2014 in Rcs. Il direttore di Repubblica Mario Calabresi l’ha bacchettato duramente: «Ha perso lucidità e ormai straparla». Come se non bastasse, l’ingegner Bruno Santoro, da lui nominato nella commissione che indaga sul crollo del ponte Morandi, si è appena dimesso, perchè è fra i venti indagati dalla Procura per omicidio colposo plurimo. Il conflitto d’interessi ha colpito indirettamente anche Toninelli. Che è bravo e onesto come un carabiniere. Ma fare il ministro è un'altra cosa, una bella gatta da pelare.