Tajani-Salvini, lo scontro e le ambizioni dei vice che agita la maggioranza e la legislatura
Entrambi sono ambiziosi, entrambi puntano a qualcosa di più grande, entrambi vogliono distinguersi l’uno dall’altro. Uno siede nel Partito popolare europeo ed è un leader, un riferimento per i democristiani d’Europa. L’altro rappresenta il sovranismo a Bruxelles al fianco di Viktor Orban
Ai piani alti dei palazzi della politica italiana si ragiona sul futuro della legislatura. Quanto può durare una maggioranza così litigiosa? Quanto può persistere una convivenza così difficile come quella tra Antonio Tajani e Matteo Salvini? Domande a cui in pochi sanno rispondere. Certo è che a un certo punto Giorgia Meloni potrebbe decidere di far saltare il tavolo scaricando la responsabilità della fine dell’esecutivo su uno dei due partner della compagine di governo. Uno spettro, quello delle elezioni anticipate, che alla fine potrebbe favorire l'inquilina di Palazzo Chigi. Nell’attesa Tajani e Salvini litigano ma poi fanno pace. Si scambiano frasi al mieli ma un attimo le rispettive truppe scazzottano, metaforicamente, in commissione. La Rai è l’annosa questione che li divide. Ma dietro questo c’è tutto il resto. Verrebbe da dire: è la dura vita dei numeri due, di chi sogna la vetta, di chi in fondo sottovoce si domanda: «Perché non potrei essere io il presidente del Consiglio?». Entrambi sono ambiziosi, entrambi puntano a qualcosa di più grande, entrambi vogliono distinguersi l’uno dall’altro. Uno siede nel Partito popolare europeo ed è un leader, un riferimento per i democristiani d’Europa. L’altro rappresenta il sovranismo a Bruxelles al fianco di Viktor Orban. Difficile viste queste premesse che i due possano trovare una sintesi sulla politica estera. Stessa cosa in materia diritti civili, visto che gli azzurri sposano da sempre una linea più aperturista, ad esempio, sulla cittadinanza.
Tajani dice così di Salvini: «Nessun problema personale. Non c’è e non voglio fare nessuna guerra, credo in questa coalizione e dobbiamo rinforzarla. Non sta succedendo assolutamente nulla, la coalizione di centrodestra è solida. Questo non significa non dire ciò che si pensa, e proprio perché voglio allargare i confini della coalizione, io vado a cercare i consensi tra coloro che stanno tra gli schieramenti di Meloni e Schlein. Questo è il mio obiettivo, la visione di Forza Italia è chiara».
E qual è invece l’obiettivo di Matteo Salvini? Il leader della Lega ha un obiettivo non dichiarato, far rifiorire la Lega, occupare lo spazio destro della coalizione, e dunque, dare del filo da torcere proprio a Giorgia Meloni. D’altro canto, proprio il vicepremier leghista è stato a un passo dal raggiungimento del traguardo. Correva l’anno 2019 quando fece il pieno di consensi in Europa, ottenendo il 34%. La richiesta di pieni poteri e l’innesco della crisi del governo con i 5Stelle fecero il resto. Ecco perché oggi più che mai - anche in virtù di un contesto internazionale favorevole dovuto all’ascesa di Donald Trump - il Capitano vorrebbe giocarsi le sue carte. Tornare a Palazzo Chigi è un sogno che oggi appartiene alla fantapolitica. Ma appunto in politica tutto può succedere. Ecco perché perché si agita e mette il bastone fra le ruote della coalizione. Ecco perché uno dei suoi colonnelli, Gianmarco Centinaio in un’intervista a Repubblica afferma: «Se loro si vedono e si chiariscono, la situazione è più serena e va meglio per tutti. Insomma, si vedano, litighino pure se è necessario, ma poi escano con un documento comune che indichi quali sono i passi da fare». E non è un certo un caso se sempre Centinaio aggiunge: «L’aria è frizzante, basta che non diventi irrespirabile, come nel 2019».
Tajani e Salvini convivono in una coalizione asimmetrica, dove l’azionista di maggioranza Fratelli d’Italia veleggia al 30 per cento, mentre Forza Italia e Lega si spartiscono più o meno un 20%. L’azzurro sogna che Fi ritorni ai fasti di metà anni 90 inizio 2000 quando Forza Italia era il primo partito italiano per distacco e Silvio Berlusconi primeggiava in lungo e largo. Il Cavaliere aveva il vento in poppa, aveva una leadership innata, e come direbbe lo stesso Tajani tutto questo succedeva perché «Berlusconi era Maradona». E Tajani, cosa è? «È un numero due che può diventare numero uno». La vetta è vicina ma è allo stesso tempo lontana. Invece può apparire ancora più vicino il Quirinale. Sergio Mattarella scade nel 2029. Ancora c’è tempo, si dirà. Sarà il prossimo Parlamento, sempre se non si tornerà a votare in anticipo, a decidere il successore dell’attuale inquilino del Colle. Meloni vorrebbe eleggere il suo capo dello Stato e nel gioco dei veti incrociati e degli equilibri parlamentari potrebbe alla fine essere costretta a bussare alla porta di Tajani. Che è stato tutto fin qui: commissario europeo, presidente dell’Europarlamento, ministro più volte. Insomma, chi meglio di “Tajani” potrebbe essere digerito anche da una parte delle forze di opposizione? Nell’attesa il leader azzurro preferisce prendere le distanze e duellare con Salvini, semmai cerca di smussare le distanze tra la destra e la sinistra. Certo, non romperà il patto di coalizione del centrodestra, alleanza che dura dal 1994, da quando Berlusconi ebbe l’intuizione di mettere attorno allo stesso tavolo leghisti, ex fascisti ed ex democristiani. Non a caso scolpisce in un’intervista con il direttore di Libero, Mario Sechi, che «Matteo sia una grande risorsa per il centrodestra e fa benissimo il ministro dei Trasporti».
Dall’altra Salvini continuerà a battere lo stesso tasto, il rapporto con Forza Italia e Tajani è sempre stato altalenante già con il Cavaliere, figurarsi adesso. Il leader della Lega non recita la parte del pompiere, ma ha un disegno ben definito: contare di più e, perché no, ri-conquistare la leadership. Ai sogni non si può dire di no. Nell’attesa si torna alla domanda di ripartenza: quanto può fare male questo logorio? Tanto. Non a caso un moderato come Maurizio Lupi invia questo messaggio ai due: «Io ricordo sempre a tutti che i governi non cadono mai per una spallata dell'opposizione, ma per le divisioni della maggioranza».