[L'analisi] La recessione continua: sono decimali ma quando si accumulano pesano. La crisi non nasce all'estero
La crisi nasce dentro i confini. Lo conferma l’Istat, che vede “difficoltà nella tenuta dei livelli di attività economica” e ne rintraccia l’origine in “una nuova flessione della domanda interna”
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Non è merito di Maurizio Landini, sbarcato da pochi giorni alla testa della Cgil, ma raramente una grande manifestazione sindacale è stata così tempestiva. Le tre Confederazioni scendono, infatti, in piazza oggi, reclamando lavoro, mentre l’orizzonte del paese si oscura bruscamente e già qualche pessimista rivede i fantasmi dell’ultima grande crisi. Il ministro del Tesoro, Tria, parla di una “pausa temporanea”, ma le statistiche di quello che è avvenuto e le previsioni di quello che potrà avvenire nei prossimi mesi convergono a indicare che la battuta d’arresto è secca e incisiva.
SVILUPPO ZERO?
Dimenticate che, solo due mesi fa, si discuteva se, nel 2019, l’economia italiana si sarebbe allargata dell’1,5, dell’1,2 o dell’1 per cento. Dimenticate anche che è passato meno di un mese da quando la Banca d’Italia pronosticava uno sviluppo – comunque – allo 0,6 per cento. Nel frattempo, si è scoperto che, a dicembre, mentre il governo varava in fretta e furia una Finanziaria pensata per tempi più propizi, l’Italia delle fabbriche si è fermata. La produzione industriale, in discesa da mesi, è risultata del 5,5 per cento inferiore a quella del dicembre 2017. E’ il primo fantasma: una discesa così brutale non si vedeva dal 2012. E, allora, quello 0,6 per cento di Bankitalia non è più realistico. Forse, neppure lo striminzito +0,2 per cento che, soltanto giovedì, era uscito dalle proiezioni di Bruxelles. Grandi banche di investimento come Barclays, centri studi come Ref prevedono, ormai, per il 2019, sviluppo zero. E’ un altro fantasma: l’Italia non cresce così poco dal 2014, quando stavamo uscendo dalla grande crisi.
LA RECESSIONE CONTINUA
La pausa di Tria, infatti, appare molto di più di una pennichella. Gli analisti dicono che, in questo primo trimestre, la frenata dell’economia, invece di allentarsi, si è fatta più stridente. La proiezione di un centro studi come il Cer diagnostica un ulteriore rallentamento dello 0,1 per cento rispetto all’ultimo trimestre 2018, che già era andato sotto zero. In un anno, dall’inverno 2018 all’inverno 2019, secondo il Cer, l’economia italiana si sarà ristretta dello 0,3 per cento.
Sono decimali. Ma, quando si accumulano, pesano. Per raddrizzare la barca come vorrebbe il governo, nella seconda metà dell’anno l’economia dovrebbe correre come un giovane paese in via di sviluppo e come, in ogni caso, non corre dagli anni ’90. Pare difficile. L’industria italiana paga, in particolare, le incertezze delle grandi case automobilistiche tedesche, con cui è strettamente integrata: il settore auto, a dicembre, è quello che è andato peggio, con un calo a due cifre. Se, fra dieci giorni, la Casa Bianca farà quello che molti si aspettano, alzando le dogane contro l’auto europea (e tedesca in particolare) l’impatto sarà ancora più pesante.
LA CRISI NON NASCE ALL’ESTERO.
Anche se questa è la tesi preferita del governo, tuttavia, la recessione che sta vivendo l’Italia non viene da fuori. Un calo dell’export, in seguito alle guerre commerciali, toglierebbe, al contrario, l’unica stampella che ha – finora – impedito che la crisi si avviti a spirale. Complessivamente, infatti, le esportazioni, in questi mesi, hanno tenuto. La crisi nasce dentro i confini. Lo conferma l’Istat, che vede “difficoltà nella tenuta dei livelli di attività economica” e ne rintraccia l’origine in “una nuova flessione della domanda interna”. Le misure appena varate dal governo – reddito di cittadinanza e pensionamenti anticipati – terranno un po’ su i consumi, ma gli esperti si aspettano un effetto limitato a qualche decimale e destinato ad esaurirsi presto. Il problema, sul lato della domanda interna, sono gli investimenti: sei mesi di incertezza politica ed economica li hanno congelati. Nell’ultimo scorcio del 2018, le banche sono tornate taccagne – diminuendo i prestiti e facendoli pagare di più – e le imprese hanno ridotto (l’ultimo dato disponibile è novembre: -0,1 per cento) gli investimenti.
L’INFERNALE GIROTONDO
Ripartiranno? In termini assoluti, i dati più recenti sull’economia, anche se deludenti e negativi, non segnalano una catastrofe. E’ un passaggio difficile, ma non un salto nel buio. Il problema è la fragilità intrinseca, ormai strutturale, dell’economia italiana, che vede banche, imprese e governo, tutti prigionieri di un girotondo infernale.
Le difficoltà delle imprese, sottolineata dal calo della produzione industriale, la recessione, certificata dai dati dell’Istat e intravista dagli analisti, il giro di vite della banche sui prestiti, registrato dagli uffici della Bce fanno temere un riallargarsi degli Npl, cioè dei crediti in sofferenza, tallone d’Achille storico delle banche italiane. Con i bilanci nuovamente appesantiti da prestiti che non è più possibile riscuotere, gli istituti di credito non potrebbero continuare a rastrellare i titoli di Stato che vendono gli investitori stranieri, come hanno fatto in massa durante la seconda parte del 2018. Senza la stampella delle banche, allora, i titoli italiani sul mercato potrebbero avere difficoltà a trovare abbastanza compratori, con il risultato di far cadere i prezzi e far salire i rendimenti. Ma tassi d’interesse più alti si ripercuoterebbero sullo spread (il differenziale di rendimento fra titoli italiani e tedeschi). Ieri era già risalito a quota 290. Uno spread più alto allarma i mercati, rendendo ancora più costoso piazzare i titoli italiani. Ma questo costo maggiore si scarica sui conti del Tesoro e, dunque, sul disavanzo pubblico, creando ulteriori tensioni sui mercati e bloccando qualsiasi iniziativa del governo per attenuare gli effetti della recessione. E’ un circolo vizioso, che si ripresenta ogni volta che una economia ormai cronicamente asfittica vede scendere l’indicatore dell’ossigeno sotto il livello di guardia. Spezzarlo è il vero compito difficile dei prossimi mesi.