E alla fine rispunta il super bonus. Forza Italia gioisce, Giorgetti ingoia il male minore. Lotito perde il lodo
Tajani era stato chiaro: o mi date una proroga o salta il banco. Il ministro economico lo aveva definito “radioattivo”. Il compromesso finale è un decreto ad hoc che limita la proroga ai redditi più bassi e a casi eccezionali. Non si sa ancora quanti soldi saranno necessari. Lotito perde il lodo sugli sgravi fiscali per i calciatori stranieri che arrivano in Italia. Salvini ci prova con i balneari e l’ennesima proroga. Lo ferma, per ora, il ministro Fitto

L’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno consegna al paese un super contentino per Forza Italia, una battuta d’arresto - l’ennesima nelle ultime settimane - per il presidente della Lazio e senatore di Forza Italia Claudio Lotito, uno stop per Salvini e i “suoi” balneari e l’ennesimo passo di lato per il ministro economico Giancarlo Giorgetti. Per essere più chiari e uscire dall’orticello della politica, della serie tu-dai-una-cosa-a-me-e-io-do-una-cosa-a-te, Forza Italia porta a casa una preziosa - per il suo consenso - bandiera: una proroga, ma guai a chiamarla così, del superbonus edilizio al 110%. L’azzurro Lotito deve invece rimbalzare, e con lui le società calcistiche, sulla norma che il senatore-patron della Lazio era già riuscito a piazzare nel decreto Mille proroghe e che poi invece è saltata alla fine, intorno alle sette di sera, a Consiglio dei ministri arrivato alla fine. La norma avrebbe consentito lo sgravio fiscale del 50% per i calciatori stranieri che vengono a giocare in Italia. La Lega ha fatto muro, “norma inutile, un vero e proprio regalo alle società sportive e anche dannosa perchè nessuno investe più sui vivai di casa”. Per essere stato l’ultimo Cdm dell’anno, è stato senza dubbio “vivace”, per non dire agitato, come del resto tutto il quadro politico di queste ultime due settimane. Dal Consiglio europeo di metà mese molte cose infatti sono cambiate: Patto per l’immigrazione (e intanto sulle nostre coste continuano ad arrivare barche di ogni tipo), nuovo Patto di Stabilità, la bocciatura del Mes da parte dell’Italia.
Una giornata particolare
L’ultimo consiglio dei ministri dell’anno inizia con un’ora e mezzo di ritardo, alle 17 invece che alle 15 e 30. Giornata strana. La premier Meloni certifica con documentazione medica di soffrire di otolite (una forma di labirintite) e giustifica così il secondo rinvio della conferenza stampa di fine anno, appuntamento istituzionale rinviato al 4 gennaio, ancora un giovedì. Per la terza volta Ordine dei giornalisti, Stampa parlamentare e uffici della Camera devono ricalibrare l'organizzazione dell’appuntamento. Per la seconda volta, decine di persone torneranno da ferie già programmate. L’aula della Camera è dalle 9 del mattino riunita per la discussione generale e la votazione degli emendamenti della legge di bilancio. E’ la legge più importante dello Stato, la Camera l’ha vista solo di passaggio e in tutto il giorno non si è visto un solo ministro sui banchi del governo. I banchi della maggioranza si riempiono solo nel pomeriggio quando iniziano le votazioni. Allo svuotamento di funzioni si aggiunge l’umiliazione del disinteresse del governo. Eppure le opposizioni, con responsabilità e senso dello Stato, hanno tagliato gli emendamenti da mille a ottanta - che saranno discussi e votati, al momento nessuno approvato - per evitare l’esercizio provvisorio che sarebbe stato una vergogna per l’Italia. E per il governo. Nei vari interventi i deputati dell’opposizione rivendicano la scelta fatta (ridurre il numero degli emendamenti), denunciano i buchi della manovra (sanità, lavoro povero, lavoro femminile, tagli agli enti locali, inefficacia di misure che non sono strutturali) e sottolineano l’assenza e quindi il disinteresse del governo per l’aula. Sui banchi del governo si alternano i sottosegretari. Uno per volta. Nelle ore centrali un paio.
Eppure alle 14 il Presidente della Camera Lorenzo Fontana, negli auguri alla stampa parlamentare, nega che il suo “ufficio”, di cui dovrebbe custodire integrità, funzioni e prerogative, cioè la Camera, sia a rischio svuotamento. I numeri - ore di sedute d’aula, le stesse fiduce, il numero di eventi extra aula che Montecitorio ha ospitato in questo anno, ben 661, quasi un nuovo spazio eventi aperto nella Capitale - dimostrano “la vitalità” di questo ramo del Parlamento.
Il Consiglio dei ministri è quindi convocato in questo clima, alle 15.30. Dall’ordine del giorno – decreto Mille proroghe e quattro decreti attuativi della delega fiscale - si capisce che si tratta di una riunione appendice su misure economiche a cui è stata negata la cittadinanza nella legge di bilancio nonostante abbiano cercato fino alla fine di trovare spazio. S’intuisce che molto di quello che era rimasto fuori dalla legge di bilancio con tanto di accompagnamento pubblico e plateale alla porta, sta per rientrare dalla finestra. Almeno un po’. Almeno in parte. Presiede Antonio Tajani perché Giorgia Meloni è a casa, con un problema agli otoliti, ora “in via di risoluzione” ha assicurato lo staff. Al momento indossa un collare per alzarsi e non avere vertigini.
Il Superbonus, ancora lui
Il primo punto all’ordine del giorno + il Superbonus. Forza Italia non può permettersi passi falsi, soprattutto dopo il voto sul Mes: deve ottenere qualcosa, è la sua battaglia da sempre, e i mal di pancia nel partito è forte per come Tajani “non avrebbe gestito” il voto sul Mes accettando l’astensione quando gli azzurri avrebbero dovuto votare a favore. Per un'ora e mezza Tajani si confronta con il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che apre solo a proposte a “costo zero” e che non fa che ribadire il messaggio ripetuto anche il giorno prima in audizione alla Camera per la Bilancio: “Con il 2023 il Superbonus è finito”; “E’ una misura radioattiva”; “Basta vivere in questa perenne allucinazione in cui viviamo da quattro anni in cui è saltato ogni vincolo al debito e al deficit”; “stop ai bonus che sono come pasticche di Lsd”; “abbiamo un problema grosso come una casa che rischia di schiacciarci e si chiama debito”. Un Giorgetti pieno di belle intenzioni. Che devono però cedere il passo, almeno un po’, di fronte alla realpolitik e alle ragioni della coalizione.
La strada scelta è quella del decreto, così che nessuno possa dire neppure per sbaglio che si tratta di una proroga che passa con il decreto Mille proroghe. Il lessico è importante e un suo uso sapiente può fare miracoli. Dunque, chiamatelo come volete, norma ad hoc, estensione, proroga, si tratta della possibilità per i redditi sotto i 15mila euro, di mantenere l’agevolazione del 110% per intero attraverso un fondo per la povertà. Finanziato dallo Stato. Il decreto mette al riparo da penali anche chi non completerà i lavori entro il 2023. Gli unici che potranno usufruire ancora dell’agevolazione in una cifra superiore al 70% saranno infatti i contribuenti con reddito fino a 15mila euro. Per questa fascia di cittadini viene infatti istituito un Fondo, le cui modalità di accesso saranno stabilite dal Mef, e che servirà a ottenere un contributo per le spese sostenute dal primo gennaio 2024 e fino a ottobre. Antonio Tajani ha avuto ieri la sua bandierina da alzare. E lo ha fatto di persona uscendo davanti a palazzo Chigi alle 19.30, una volta concluso il Consiglio dei ministri. “Lo Stato - ha spiegato il leader azzurro - pagherà la differenza tra il 70% e il 110%”. Inoltre, i contribuenti che non hanno completato i lavori entro fine anno potranno non restituire i benefici maturati a tale data. Salvi - dunque - tutti i lavori che sono stati certificati entro la fine del 2023. Dal primo gennaio 2024 si passa al sistema del credito d’imposta che può essere richiesto sul 70% delle spese sostenute. In mancanza del doppio salto energetico si entra nel regime ordinario al 50%. Nello steso decreto sono inserite una stretta sul Sismabonus (“verifiche puntuali per riparare solo gli edifici danneggiati da eventi sismici”) e sul bonus barriere.
Giorgetti, tre passi di lato e uno in avanti
Se politicamente Forza Italia può dire “ho vinto”, inevitabilmente anche ieri il ministro Giorgetti deve registrare il terzo passo di lato in due settimane. Sul Patto di stabilità e crescita che lui stesso ha definito “misura a rischio di prociclicità”, cioè recessione, “misura compromesso” e “un caos totale di norme”. Sul Mes che, “come ministro dell’Ecomomia avrei voluto fosse approvato perchè sarebbe convenuto così” e invece il Parlamento ha bocciato. E ieri sul Superbonus: non sarà tecnicamente una proroga e però è una misura che avrà un costo (“ancora non sappiamo, dipende dalle richieste” ha tagliato corto Tajani) e un impatto sui conti pubblici. Sul nostro debito. Come minimo si parla di un altro miliardo sottratto ad altre voci del bilancio, dalle accise della benzina alla sanità.
La Lega e i balneari
L’ultima riunione dell’anno si chiude con un classico di questa maggioranza: ancora nulla di fatto sui balneari. La pressione della campagna elettorale per le Europee si fa sentire sempre di più. Matteo Salvini, e figurarsi se non doveva alzare una bandierina anche lui, si presenta con una informativa sui balneari, suo antico cavallo di battaglia e suo bacino di voti. Il vicepremier leghista cerca di convincere il Cdm ad approvare nei fatti un nuovo rinvio delle concessioni: altri sei mesi al tavolo tecnico per completare i criteri per la definizione della “scarsità” delle spiagge (un falso plateale), nei fatti un’altra estate con un nulla di fatto. Ma sul dossier pende una procedura di infrazione europea. Roma aveva due mesi per rispondere, che scadono a breve. Se ne riparla a gennaio perchè un nuovo rinvio sarebbe una provocazione rispetto a Bruxelles. E l’Italia non ha bisogno di provocare viste le nuove regole del Patto di stabilità che ci impongono un rigore assoluto. Altrimenti interviene la Commissione, una sorta di tronca light. Altro che Salvini, i balneari e le proroghe.
Tutti contro Lotito
Tensione pure sul “rientro” o sull’arrivo dei calciatori dall’estero con gli incentivi fiscali come se Messi, giusto per fare un esempio, fosse un accademico o un premio Nobel che viene a lavorare in Italia, Nelle bozze del decreto Milleproroghe era prevista una proroga. “Immorale” ha detto Matteo Salvini che era pronto a votare contro. Anche Giorgetti e Santanché erano d’accordo a bloccare il “lodo Lotito”. Giorgia Meloni, da casa, ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Sono mesi che il senatore azzurro patron della Lazio insiste con questa norma, c’ha provato in vari decreti e anche nella legge di bilancio. E’ come se avesse perso il Magic touch. Tutto bene infine sui quattro decreti legislativi attuativi della delega fiscale. C’è l’accorpamento delle due aliquote più basse dell’Irpef. Palazzo Chigi può gioire: “Il Governo procede speditamente sull'attuazione della Delega e chiude il 2023 rispettando tutti gli obiettivi che si era prefissato. Nel 2024 verrà, quindi, definitivamente completata la rivoluzione fiscale che l'Italia aspetta da più di 50 anni con importanti novità a favore di cittadini, famiglie e imprese”.