[L’analisi] La voglia matta di statalizzare tutto, anche autostrade. Ma bastava non far durare i contratti d’oro in eterno
Abbiamo vissuto gli ultimi 20-30 anni con i miti delle liberalizzazioni, della globalizzazione, dell’ortodossia finanziaria. La rivoluzione grillo-leghista consiste nello scegliere, ogni volta, la sponda opposta. Le autostrade? Allo Stato. Il vicolo cieco dell’Ilva? Largo al pubblico, attraverso il risparmio postale gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’ennesima implosione Alitalia? Mai rinunciare alla compagnia di bandiera, si provveda con soldi pubblici (sempre Cassa Depositi e Prestiti, presumibilmente). E’ una scelta ripetuta, sistematica, non occasionale, il segno di una nuova ideologia del potere
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2015: frana il viadotto Himera, sulla Palermo-Catania. Ancora 2015: cede il viadotto Scorciavacche, sulla Palermo-Agrigento. 2016: crolla il cavalcavia di Annone Brianza, vicino Lecco. Sempre 2016: la magistratura sequestra la galleria di S.Rocco, sulla Salerno-Reggio Calabria, per “difetti strutturali”. 2017: si rompe il cavalcavia della tangenziale di Fossano, vicino Cuneo. L’ennesima lista delle malefatte di Autostrade, prima che a Genova cedesse il ponte sul Polcevera? No. Queste opere sono tutte dell’Anas, l’azienda statale delle strade. Nessuno di questi disastri si avvicina alla catastrofe del ponte Morandi, ma sono anche strutture più piccole e meno trafficate. Comunque, non è un problema di classifica. Il punto è che la differenza fra sicuro e insicuro non coincide con quella fra pubblico e privato. “Torni lo Stato”, come ripetono in questi giorni i massimi esponenti del governo giallo-verde, è una ricetta molto drastica e anche assai comoda. E, come succede spesso con le cose molto drastiche e quasi sempre con quelle comode, anche troppo semplice. La tragedia di Genova impone che i responsabili siano individuati, paghino ciò che devono, siano adeguatamente puniti, anche negli affari. Ma poco dice del sistema.
Non solo autostrade
Non la vedono così i leader della coalizione Lega-5Stelle. E questa logica non si limita alle autostrade. A mettere in fila le scelte e le indicazioni di questi mesi, il Governo del Cambiamento segna un passaggio d’epoca non solo nel personale e nello stile, ma anche nei totem della cultura politica dominante. Abbiamo vissuto gli ultimi 20-30 anni con i miti delle liberalizzazioni, della globalizzazione, dell’ortodossia finanziaria. La rivoluzione grillo-leghista consiste nello scegliere, ogni volta, la sponda opposta. Le autostrade? Allo Stato. Il vicolo cieco dell’Ilva? Largo al pubblico, attraverso il risparmio postale gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’ennesima implosione Alitalia? Mai rinunciare alla compagnia di bandiera, si provveda con soldi pubblici (sempre Cassa Depositi e Prestiti, presumibilmente).
E’ una scelta ripetuta, sistematica, non occasionale, il segno di una nuova ideologia del potere. Trova, infatti, riscontro in un quadro di politica economica, finora esplicitato solo a mezza bocca, soprattutto a livello di tentazione, di velleità, di frustrazione. Ma che emerge con grande regolarità, ad ogni frangente, ad indicare un orizzonte mentale preciso, un orientamento culturale ben definito, mal contenuto dai vincoli nazionali e internazionali del paese. Ed ecco la spinta ad una spesa pubblica in disavanzo, una scarsa sensibilità al debito, l’istinto di stampar moneta o di farla stampare alla Bce, l’idea che una svalutazione potrebbe moltiplicare le esportazioni e con l’inflazione conseguente ce la vedremo dopo. Sono suggestioni, finora tenute a freno dall’ala istituzionale del governo – il ministro del Tesoro, Tria, in testa – ma che sono il complemento, probabilmente necessario, alla voglia di impresa pubblica. Lo statalismo, infatti, va alimentato con molti soldi.
Il grande balzo all'indietro
Come lo sappiamo? Perché ci siamo già passati. La rivoluzione grillo-leghista, infatti, come è stato scritto, appare sempre più come il Grande Balzo all’Indietro. Il Cambiamento sembra essere la riscoperta dei decenni ’50-’80, quelli della egemonia democristiana, delle Partecipazioni Statali, della Gepi, della Cassa del Mezzogiorno. Sono anche gli anni delle svalutazioni competitive a catena della lira, dell’inflazione galoppante, dei tassi di interesse alle stelle. E l’intervento pubblico onnipresente, spesso spinto dalle convenienze politiche, più che di mercato, è costato molto, in termini di disavanzo e poi di debito pubblico.
Sfidando il paradosso: chi va da Roma alla costa abruzzese, può scegliere fra due diverse autostrade, parallele, distanti una ventina di chilometri in linea d’aria, spiegabili solo con gli interessi elettorali di due diversi ras democristiani. Non c’è niente di male nel riscoprire i tempi antichi. In questo caso, però, sappiamo che non funzionano. Come raccontano gli anni ’90, quando l’Italia andò a sbattere contro il muro inscalabile del debito pubblico accumulato negli anni ’80 e che, ancora oggi, è la zavorra che impedisce all’economia italiana di decollare.
Negli stessi anni è emerso il carico di incompetenza, inefficienza (vedere per credere il caso Alitalia), in più di un caso anche di corruzione che appesantiva l’impresa pubblica. Grillini e leghisti possono sostenere che, con loro, tutto sarà diverso. Ma, in realtà, è l’ottica del bianco o nero, insita in questa operazione nostalgia,che offusca il risultato. Ci sono casi in cui il pubblico funziona e casi in cui è meglio il privato. La rete telefonica, rimasta in casa del privato Telecom, dovrebbe essere pubblica per assicurare la neutralità che favorisca la concorrenza fra le diverse compagnie. Al contrario, la rete autostradale in concessione ha una sua logica: i privati possono anticipare capitali da investire che lo Stato non ha o non vuole spendere. Il problema è come queste concessioni vengono applicate e gestite. Le autostrade sono un monopolio e bisogna evitare che il concessionario le sfrutti in questo modo. Ecco perché è cruciale che le concessioni – dei Benetton come dei Gavio e degli altri – arrivino in effetti a scadenza e vengano nuovamente bandite all’asta fra diversi concorrenti. Cosa che, praticamente, non è mai avvenuta, nonostante l’Europa l’abbia ripetutamente sollecitata.
La rivoluzione Grillo-leghista
E’ qui che la rivoluzione della nuova politica gialloverde avrebbe modo di manifestarsi con maggiore efficacia. L’obiettivo più immediato è ridare trasparenza e agibilità alle concessioni. L’opzione pubblica è niente più di questo: un’opzione. Di Maio ha ragione a tuonare contro le probabili collusioni fra controllore e controllato. Ma si illude se pensa che le cose andrebbero meglio se, con la nazionalizzazione delle autostrade, controllore e controllato coincidessero. Lo sforzo dovrebbe essere, piuttosto, la creazione di una struttura di controllo della rete autostradale - dalla gestione alla manutenzione alla sicurezza - dotata di mezzi adeguati e competenze riconosciute (costi a carico dei concessionari, perché no?) e soprattutto assolutamente indipendente, dai concessionari, come dallo Stato. Il resto, compresa l’alternativa pubblico-privato, conta assai meno. In fondo, “non importa se il gatto sia bianco o nero, importa che prenda il topo”. Lo ha detto un vero rivoluzionario, quello che ha ribaltato la Cina di Mao: Deng Xiaoping.