L'aiuto dell'Italia all'Ucraina vale quasi un miliardo di euro. L'Osservatorio militare: "Perché Meloni non dice il vero"
Non solo le scorte in surplus inviate a Zelensky che "vanno ripianate" ma anche le contribuzioni al fondo del Consiglio Ue, Epf: quanto realmente viene sottratto al bilanio dello Stato secondo i calcoli di Mil€X

"L'invio di armi in Ucraina da parte dell'Italia non costituisce un costo per le casse dello Stato". Parole queste pronunciate dalla presideente del Consiglio, Giorgia Meloni, che, durante un intervento al Parlamento di qualche giorno fa, ha voluto rassicurare sul fatto che il Paese non sottrae fondi ad altri capitoli di spesa per finanziare il riarmo chiesto da Volodomir Zelensky. Eppure non sembra essere così, stando all'analisi effeettuata dall'osservatorio militare indipendente Mil€X, il quale ha stimato in circa un miliardo di euro aggiuntivo il costo delle armi inviate a supporto della resistenza ucraina cosa che porterebbe Meloni sul piano delle dichiarazioni menzognere. In effetti l'analisi non è facile perché tutta la documentazione relativa agli armamenti movimentati in questo contesto è secretata, si tratta cioè di "documenti classificati", per ragioni di sicurezza nazionale.
Il calcolo fatto dai tecnici dell'osservatorio si basano sugli annunci relativi all'impegno italiano nei confronti dell'European peace facility (Epf), lo strumento finanziario "fuori bilancio" a supporto delle iniziative militari internazionali europee, che vanno ad aggiungersi agli impegni di spesa contenuti nel decreto legge, poi convertito in legge, approvato alla fine di febbraio 2022 (su cui si basano 5 decreti attuativi emanati dal governo Draghi) che ha consentito l'invio di armi fino alla fine dello scorso anno e un decreto legge emanato da Meloni - sulla falsariga di quello del predecessore - convertito il 27 gennaio 2023. Il primo invio di munizioni dell'anno poggia su questa norma che rende possibile simili operazioni fino al prosismo dicembre.
Cosa dicono i decreti sull'Ucraina
Questi decreti consentono di individuare "materiali di armamento in surplus, non più utilizzati dalle Forze Armate italiane, che vengono quindi spediti verso l’area del conflitto ucraino", scrive Mil€X, con l'unica spesa apparente di quelle di spedizione. Una spedizione senza costi dichiarati che però, inevitabilmente, crea un ammanco nelle disponibilità del Paese. Ragion per cui le scorte di armi devono essere rimpinguate, come del resto ha detto lo stesso ministro della Difesa, Guido Crosetto, durante un'audizione parlamentare lo scorso 25 gennaio. "L’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina è un aiuto che in qualche modo ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale", ha sottolineato il ministro.
E questo nonostante un dossier del Senato di fine 2022 riportasse letteralmente come non ci fosse "corrispondenza diretta tra il materiale ceduto e l’esigenza di ripianamento delle scorte, la cui programmazione, così come l’acquisizione di nuovi equipaggiamenti, è indipendente dalle cessioni".
Quantificare la spesa per reintegrare le scorte della Difesa non è semplice, dato che solo il governo e i membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) - che controlla l’operato dei servizi di intelligence italiani - sono a conoscenza dell'esatto investimento. Il primo decreto legge emanato da Draghi autorizzava la spesa di 12 milioni di euro per "mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali". E una parte di questa cifra riguardava le spese del trasporto.
Un miliardo di euro il costo delle armi inviate da Draghi
Il ricorso a fonti di stampa e alcuni esponenti della maggioranza, tra cui l'allora titolare della Difesa, Lorenzo Guerini, sostenevano che "saranno inviati sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici leggere e pesanti e mortai, per un valore stimato tra i 100 e 150 milioni". Era il 1 marzo 2022 e ne dava conto La Repubblica. In una dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera il 1 marzo del 2023, un anno dopo, è il ministro degli Esteri Antonio Tajani a rivelare che il costo dell'invio di armi all'Ucraina contenute nei cinque pacchetti a firma Draghi ammontava a un miliardo di euro.
Il fondo Epf e l'impegno italiano per la Difesa europea
Ma è la partecipazione all'Epf, i fondi europei istituiti presso il Consiglio dell'Ue - e non la Commissione -, oggi tutti rivolti verso l'Ucraina, a determinare il reale impegno di spesa dell'Italia nei confronti della Difesa. L'insieme di fondi, che viene alimentato dalla contribuzione degli Stati Membri - all'Italia spetta una quota del 12,8% dell'intero ammontare - partiva da una dotazione di 5.692 milioni di euro alla sua istituzione, nel marzo del 2021. Che gradualmente è stata aumentata fino a un impegno di spesa per 3,6 miliardi di euro nel marzo 2023. La restituzione nei confronti dei membri è del 50% rispetto alle spedizioni verso l'Ucraina. Ma la quota, nota Mil€X, potrebbe scendere ulteriormente perché molti Stati starebbero gonfiando le loro rendicontazioni per ottenere più rimborsi.
E' dunque qui che bisogna guardare per capire quanto l'Italia stia spendendo per gli armamenti diretti all'Ucraina, spesa che non è direttamente derivante dal ripristino delle scorte statali. Il calcolo è fatto nel modo seguente: 1 milione di euro spesi nel '22 (secondo Tajani), e 350 milioni di euro sostenuti nel calcolo fatto dal think tank tedesco, Kiel Institute. L'osservatorio si attesta dunque su 500 milioni come dato dal quale partire per il nostro calcolo. "Tale elemento di partenza è fondamentale perché è su tale cifra che si basano le richieste di rimborso avanzate dagli Stati membri all’Unione europea", precisa Mil€X.
Il risultato sono ben 966 milioni di euro dovuti dall'Italia. Dati questi che provano la non veritiera dichiarazione di Meloni sul "mancato costo per le casse italiane" della spesa militare per l'Ucraina.

"Governo schieNato"
"Non c'è nulla di fisiologico nell'invio delle armi. Questo governo è schieNato alla Nato. Fate gli sceriffi di Nottingham contro gli italiani. I quali hanno bisogno di altre tutele", ha detto in un intervento al Parlamento il presidente del M5S, Giuseppe Conte. Un gioco di parole per porre l'accento su un sempre più gravoso impegno dell'Italia verso le dotazioni militari per Zelensky, ma anche con riferimento a quel 2% del Pil di spesa militare che la Nato impose agli Stati membri nel 2014, nell’arco temporale di 10 anni (al 2024), e che l'Italia non ha mai onorato. L'ex premier Draghi anzi, con un decreto, aveva posticipato il raggiungimento della quota al 2028.
Ma se Gran Bretagna e Polonia sono già oltre la soglia individuata, sono le parole di Crosetto a indicare la strada nostrana: "C'è un precedente impegno per il 2028 ma la Nato ci chiede di anticiparlo al 2024. Ne discuterò con il premier e il governo". Risorse, inutile dirlo, sottratte inevitabilmente ad altri capitoli di spesa, come quello della Sanità o dell'Istruzione, per citare i più penalizzati dai tagli degli ultimi decenni.