Draghi: "Ora basta". Il premier rifiuta il “gioco” di Conte sulle spese militari. "Viene meno la maggioranza"

Teso faccia a faccia di oltre un’ora con il leader 5 stelle a palazzo Chigi. Dopo una importante telefonata con Biden, Macron, Johnson e Scholtz sulla trattativa Russia-Ucraina. Poi Draghi è salito al Quirinale per informare e rafforzare l’asse con Mattarella

Draghi: 'Ora basta'. Il premier rifiuta il “gioco” di Conte sulle spese militari. 'Viene meno la maggioranza'
Draghi con Conte (Ansa)

Non è chiaro quando Mario Draghi ha deciso che la misura fosse colma. Comunque, pericolosamente vicino al colmo della sopportazione. Un bel contributo deve averlo dato quella claque organizzata in via del Corso che aspettava Giuseppe Conte per tributargli l’omaggio, come ai vecchi tempi. Ma questi sono dettagli. Anche perchè quando è uscito da palazzo Chigi,  Conte - che aveva capito che non era il momento di sceneggiate  - ha subito tacitato da lontano alzando una mano il tributo dei fedelissimi. No, ma non è stato questo.

La giornata era già stata pesante fino a quel momento. Prima la mattinata a Napoli che, come molti comuni del sud, è all’esame di maturità dei progetti del Pnrr. Tornato a Roma intorno alle 15, la lunga telefonata con Joe Biden, Emmanuel Macron, Boris Johnson e il cancelliere tedesco Olaf Scholtz: guerra, le trattative per il cessate il fuoco, gli spiragli di tregua da Istanbul,  il supporto all’Ucraina, un tavolo di mediazione, il pool di Paesi occidentali disponibili a garantire per Zelensky;  diversificazione energetica e recupero delle materie prime. Un mix di emergenze che metterebbe ko chiunque. Poi, come se non bastasse, alle 17 e 30 arriva Giuseppe Conte, fresco fresco di interviste e conferenza stampa dove ha ribadito ciò che va dicendo da domenica scorsa: non se ne parla di aumentare le spese militari fino al 2% del Pil come prevede il patto atlantico sottoscritto da tutti i trenta governi nel 2014; non se ne parla di farlo adesso perchè “ben altre sono le priorità del  nostro popolo. Quindi guai a Draghi se crede di forzare, ci deve ascoltare, siamo il primo partito di maggioranza”.  

Il momento esatto in cui Draghi ha perso la pazienza

Ecco, non si sa bene cosa di tutto questo. O se è stata la somma di tutto questo. Con l’aggiunta - non di poco conto -  di un’ora faccia a faccia con Conte che ha esordito, così ha raccontato l’ex premier, chiedendo conto di cosa fosse successo durante i vertici internazionali a Bruxelles. E l’aggravante che, non contento, Conte ha concionato in piazza davanti alle telecamere sotto il terrazzino di palazzo Chigi. Fatto sta che uscito Conte alle 19 e 10 da palazzo Chigi, Draghi ha preso l’auto ed è salito al Quirinale.  E da palazzo è filtrato un “vaffa” grosso come una casa. Non a Conte nello specifico. Anzi, nessun riferimento a cose o persone. Un “vaffa” generale a tutti coloro che nella maggioranza pensano oggi, domani così come ieri di giocare la campagna elettorale sulla pelle del governo. Ieri sono stati gli accordi Nato e le spese militari.

Al suo predecessore che, bis neoeletto Presidente con il 94% dei voti ma solo il 40% dei votanti, gli sventolava il dito sotto il naso dicendo che l’aumento della spesa militare andava rinviata “perchè altre sono adesso le priorità”,l’attuale Presidente del consiglio ha voluto ribadire un concetto semplice: “Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni NATO sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil”.  

“Avanti così ed è crisi di governo”

Per essere ancora più chiaro, Draghi avrebbe continuato spiegando perchè “non possono essere messi in discussione gli impegni assunti, in un momento così delicato alle porte dell’Europa. Se ciò avvenisse verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza”. Ha minacciato la crisi di governo. Top secret ovviamente il dettaglio dell’incontro con Mattarella. A cui certamente Draghi ha ribadito un concetto essenziale alla sua permanenza a palazzo Chigi: Caro Sergio (Mattarella, ndr) questi erano gli accordi e i punti cardinali, un governo europeista e atlantista. Se qualcuno della maggiorana si tira fuori, sono pronto a tirarne le consegue”. Mai si era arrivati così avanti nel tirare la corda. E infatti il segretario dem Enrico Letta ha subito dato voce alla sua “preoccupazione”. Draghi è “uno statista e Conte un populista” la sintesi di Matteo Renzi. E ieri sera non pochi parlamentari di centrosinistra, 5 Stelle compresi, si chiedevano cosa stesse succedendo. Fin dove potesse arrivare la “strumentalizzazione”, “il calcolo e il cinismo politico”.  

La spesa militare di Conte

Anche perchè Conte, uscito da palazzo Chigi palesemente nervoso e testo - varie fonti dicono che il colloquio stesso con Draghi, durato oltre un’ora,  è stato “molto teso” - si è subito seduto ospite nel salotto di Floris su La 7 per dire che “lui non ha mai minacciato la crisi di governo”, che il “Movimento 5 stelle voterà il decreto Ucraina, se ci saranno defezione vedere il dà farsi”, che “nessuno ha mai voluto mettere in discussione i trattati internazionali che io stesso ho sottoscritto” ma che un conto è la spesa militare che si intende sostenere “un altro conto è se questo impegno va rispettato nel 2024, un altro entro il il 2028, un altro ancora è rispettarlo entro il 2030. Con Draghi ci siamo lasciati dicendoci che ne discuteremo e che approfondiremo”. Ecco, Conte deve aver frainteso quest’ultimo punto: il tempo di approfondire non c’è o sta per scadere. L’asse con Mattarella è più forte che mai. Quindi il governo Draghi darà seguito agli impegni presi nel 2014 e ribaditi in sede Nato un paio di settimane fa quando è stata decisa anche la “Bussola strategica” (la Difesa europea): entro il 2024 anche l’Italia, come tutti gli altri paesi dell’Alleanza atlantica, porterà al 2% del Pil la spesa militare. Al momento l’Italia spende ogni anno 1,4. Si tratta di aumentarla dello 0,6% in tre anni. Può essere lo 0,1% quest’anno; lo 0,2 nel 2023 e lo 0,3 nel 2024. Parliamo in tutto di meno di dieci miliardi di spesa aggiuntiva in tre anni. Per essere ancora più chiaro Draghi ha ricordato a Conte, durante il colloquio, quanto fosse stato il budget nei tre anni dei suoi governi. Bene: in dicci anni, 2008-2018, la spesa militare è rimasta firma; dal 2018 al 2021 (quindi legge di bilancio del 2020, l’ultima di Conte), la spesa militare è cresciuta del 17%  passando da 21 a 25 miliardi. Nella prima legge di bilancio Draghi, la spesa è cresciuta di circa un miliardo.  

“Posizionamento elettorale”

Dunque Conte capofila dei guerrafondai e dei mercanti di armi? Non possono, come è ovvio, essere questi i termini della discussione. Eppure è su questo piano, sbagliando, che l’ha portata il leader 5 Stelle facendo un evidente calcolo politico: di posizionamento esterno, perchè questa sua alzata di scudi punta ad intercettare il pacifismo e il neneismo (nè con Putin nè con la Nato) delle piazze italiane   mentre Letta ha schierato il Pd senza se e senza ma dalla parte della Ue e della Nato; e anche di posizionamento interno perchè è evidente che in questo balletto di sofismi linguistici che dicono tutto e il contrario di tutto Conte ha voluto distaccarsi da Luigi di Maio che è invece perfettamente allineato con Draghi e si sta dando molto da fare, come ministro degli Esteri, sul triplo fronte diplomatico degli aiuti umanitari, della mediazione e della diversificazione energetica. Difficile dire se e quanto questi quattro giorni (l’alzata di scudi di Conte è iniziata domenica con un’intervista in cui diceva: “Draghi faccia attenzione e non tiri toppo la corda”) produrranno in termini di consenso a Conte. La bis elezione col 94% dei consensi (ma solo il 40% dei votanti, il 10% meno delle ultime consultazioni) come unico concorrente non può essere un termometro valido. Di sicuro la cosa è un po’ scappata di mano. E l’ammuina politica ora rischia di diventare un cappio per Conte e il Movimento. “Non abbiamo alcuna intenzione di provocare una crisi di governo” si è affrettato  a dire l’ex premier appena uscito da palazzo Chigi. “Così come non abbiamo alcuna intenzione di non rispettare i patti internazionali sottoscritti”. E allora, di cosa stiamo parlando? “Del fatto che ora il Movimento 5 Stelle che rappresenta il popolo italiano sa che in questo momento i soldi devono essere spesi in altre cose perchè i cittadini hanno altro problemi e non capirebbero un aumento massivo delle risorse per le spese militari”. Tutto vero. Ma infatti Draghi, che ha ben chiara la profondità della crisi ed è arrivato a tassare gli extraprofitti del comparto energia pur di trovar risorse, non intende fare “aumenti massivi”. Parliamo di uno 0,6 di Pil in tre anni.  

Il Documento di economia e finanza

Draghi non ha inteso condividere ieri con Conte cosa ci sarà nel Def, il documento di economia e finanza che la prossima settimana (il 5 o il 6 aprile) indicherà i nuovi numeri macroeconomici del sistema Italia alla luce di un gennaio pesante per la pandemia e poi della guerra. Le stime sul Pil 2022 dovrebbero scendere intorno all’uno per cento. La certezza è che vedremo nel Def come intende procedere Draghi che ha a disposizione una certa gradualità da spalmare in due-tre anni. Una soluzione questa che potrebbe andare benissimo anche a Conte. Come ben sa e da molto prima che iniziasse a fare questo balletto. Pensare che dieci giorni fa quanto Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri del Senato, ha annunciato il suo voto contrario al decreto Ucraina dicendo che i 5 stelle “devono a questo punto lasciare il governo interventista Draghi”, Giuseppe Conte lo aveva quasi messo alla porta.  

La “trappola” in Commissione

Che la giornata sarebbe scappata di mano, lo si è visto in Commissione Difesa-Esteri del Senato dove ieri alle 14 è arrivato il decreto Ucraina. Qui Fratelli d’Italia ha presentato un ordine del giorno in cui impegna il governo a rispettare l’impegno con la Nato del 2%. Non ci sono date ed è lo stesso presentato alla Camera dove è stato votato da tutti la scorsa settimana, M5s compresi. Fdi lo presenta perchè sa bene che al Senato il Movimento è pro Conte e anti Di Maio e quindi ci sono i margini per la solita speculazione politica ai danni della maggioranza. La sera prima il governo aveva tentato una mediazione con le forze di maggioranza per scrivere un ordine del giorno condiviso che avrebbe superato quello di Fratelli d’Italia. Ma 5 Stelle e Leu non hanno voluto l’accordo. E ieri hanno chisto di mettere in votazione l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia per arrivare alla conta. Ma il governo, per mano del sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova e quindi con l’ok dello stesso di Maio, ha fatto suo l’emendamento di Fratelli d’Italia che a quel punto non lo ha più voluto mettere ai voti. Lasciando 5 Stelle e Leu col cerino in mano. “Ho saputo che i senatori 5 Stelle avevano chiesto di mettere in votazione un ordine del giorno ma non poi si è deciso di non votarlo…”. Veramente è stato il governo, facendolo proprio, a disinnescare la miccia dell’odg.

Comunque, ha assicurato Conte, il Movimento voterà il decreto Ucraina. Il Def non si vota adesso, se ne riparla a dicembre con la legge di bilancio. E allora, a tre mesi dalla fine della legislatura, potrà anche cadere il governo. Nel frattempo Conte è stato quattro giorni tra prime pagine e prima serate tv.