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"Vi racconto il sogno di Silvio Berlusconi di entrare nei libri di storia"

Ecco come voleva essere ricordato l’uomo che ha rivoluzionato il mondo delle costruzioni la televisione italiana, sfidando il monopolio della Rai, e il calcio italiano con il Milan

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi ( Foto Ansa)

Da anni non condividevo quasi più nulla di Silvio Berlusconi, travolto politicamente dalla scelta di non volere un vero delfino, di non creare la successione, di essere prigioniero di un passato che l’età e la malattia non avrebbero mai più fatto tornare. Da una servitù al suo fianco con pochi uomini liberi. Eppure, l’odio social risputato da questa mattina, con gli ossessionati di ieri che sono anche gli ossessionati di oggi, è forse la sua più grande vittoria, l’immortalità anche nell’odio di chi non ha altra ragione di vita che l’antiberlusconismo, tristemente fuori ogni tempo massimo, una condanna più forte di tutto perché segna l’ennesima vittoria del Cavaliere, quella preconizzata da Nanni Moretti nel Caimano, film che – esattamente come i due “Loro” di Paolo Sorrentino – ha una grandissima onestà intellettuale:

“Berlusconi ha già vinto, venti, trent’anni fa, con le sue televisioni ci ha cambiato la testa. Capito?” E, in qualche modo, erano le parole di Giorgio Gaber, peraltro sposato con Ombretta Colli, che fu contemporaneamente eurodeputata, deputata e presidente della provincia di Milano per Forza Italia: “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”. Insomma, credo che l’odio odierno dei soliti noti, che festeggiano per una morte, che probabilmente fanno fatica ad elaborare un pensiero che non sia contro – Craxi, Berlusconi, Renzi, anche Draghi - sia l’ultima e definitiva consacrazione di Berlusconi.

Un leader che, davvero, anche tanti che l’hanno convintamente votato, non capivano più. Eppure, indomito. Anche in imprese palesemente impossibili, come il tentativo di diventare presidente della Repubblica lo scorso anno, che sarebbe stata una barzelletta se lui non ci avesse creduto sul serio, o con errori che il vero Berlusconi non avrebbe mai commesso, come il video dall’ospedale in cui, davvero, c’era un uomo solo e sofferente, come non a caso hanno notato due fra gli uomini che più gli sono stati vicini, da amici veri come Gianfranco Miccichè e Roberto Gasparotti.

E credo che quella di oggi sia la notizia della fine di un’era che però era già finita il 4 dicembre 2016 quando il Cavaliere si schierò contro il referendum costituzionale di Matteo Renzi e, nella foga di cancellare l’allora presidente del Consiglio e segretario del Pd, cancellò anche se stesso e ventidue anni della sua storia politica. Eppure, amici come Marcello Pera e Giuliano Urbani, due degli intellettuali che più gli erano stati vicini, provarono a dirglielo in ogni modo. Senza successo.

E proprio da qui voglio partire per parlare invece del “mio” Berlusconi, che ho avuto la sorte di seguire per tre anni per “il Giornale”, non un organo neutro, attraverso tre vittorie elettorali: Europee 1999, Regionali 2000 (un trionfo con la “nave blu”, talmente ampio, contro ogni sondaggio, che costrinse l’allora segretario del Consiglio Massimo D’Alema – il primo post-comunista a Palazzo Chigi – alle dimissioni) e politiche 2001, in un successo contro Francesco Rutelli che, se la campagna elettorale fosse andata avanti ancora un paio di settimane, probabilmente non sarebbe stato tale.

Eppure, nonostante tutto questo sono a raccontare un gigante assoluto. Anche nei rapporti personali. E’ chiaro che stiamo parlando di un signore che ha fatto la storia delle costruzioni edilizie e di un concetto di urbanistica che poteva piacere o meno, ma che comunque è stato rivoluzionario. E che poi ha rivoluzionato la televisione italiana, sfidando il monopolio della Rai.

E che poi ha rivoluzionato il calcio italiano con il Milan che ha vinto tutto, contro ogni previsione altrui. E che poi ha rivoluzionato la politica, inventandosi un partito in tre mesi che l’ha portato quattro volte alla presidenza del Consiglio. Può piacere o non piacere, ma questa è storia. L’ha spiegato bene Paolo Mieli nell’edizione straordinaria del Tg1 di Gian Marco Chiocci: “Io nella vita mi sono trovato più volte contro di lui, che al suo fianco. Ma non posso non dire, da storico, che credo che sarà uno dei presidenti del Consiglio che fra trent’anni più resterà nei libri di storia”. Mieli ha detto come Alcide De Gasperi, probabilmente dimenticando uno statista come Bettino Craxi. E proprio questo è ciò che lui sognava e che mi confidò un giorno.

Eravamo a Stoccolma in un vertice del Partito Popolare Europeo, partito in cui Forza Italia stava entrando e che ha definitivamente sdoganato il profilo europeista e moderato del centrodestra italiano – avvolto a livello europeo da mille dubbi per la presenza in coalizione degli eredi del Movimento Sociale e del secessionismo, poco compresi a Strasburgo e a Bruxelles – e quindi stavamo raccontando un pezzo di storia. In quei giorni c’era uno sciopero dell’Alitalia ed era difficile tornare in Italia, quindi il Cavaliere mi offrì un passaggio sul suo areo privato, dove eravamo in cinque o sei persone più i piloti. In quel viaggio mi raccontò proprio questo sogno.

“Vedi, Massimiliano, nella vita mi sono riproposto vari obiettivi, raggiungendoli sempre. E spero di entrare nei libri di storia proprio per questo: come colui che ha cambiato la storia delle città italiane, creando dei comprensori, dove la vivibilità vince su tutto. E poi ha cambiato la storia della televisione, dove c’erano due canali. E poi ha preso una squadra di calcio, sbeffeggiato da tutti, e ha portato quella squadra ad essere la prima al mondo come numero di trofei vinti e come gioco espresso…”. Qui, berlusconiano in tutto e per tutto, si lasciava andare all’elogio dello schema “della nostra squadra di Edilnord, con mio fratello Paolo davanti, che è una punta straordinaria, Marcello in panchina….”. E lui lo diceva convintissimo, convinto davvero che quella squadra fosse un modello da adottare per il Milan di Sacchi allora e per il City di Pep oggi. Epperò il suo essere visionario davvero andava in questa direzione, nel capire prima che si poteva prendere un tecnico dalla serie B, solo perché aveva giocato benissimo contro il Milan in Coppa Italia col Parma e di farne l’allenatore numero uno al mondo. Poi, certo, c’è stato anche Capello, che però aveva un gioco incompatibile con la bellezza che piaceva a Berlusconi e anche Zaccheroni, “il sarto” mai amato nonostante lo scudetto.

E poi, in questo racconto dei libri di storia che sognava, Berlusconi mi rivelò: “Vedi, Massimiliano, spero che il maggior numero di pagine sia dedicato al mio ingresso in politica. In tre mesi abbiamo fondato il primo partito italiano e cambiato la storia d’Italia. Ecco gli storici dovrebbero occuparsi di questo”. Poi mi regalò l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam che Marcello Dell’Utri, raffinato bibliofilo, gli aveva fatto amare e che era stato il primo titolo dei classici di “Silvio Berlusconi Editore”. Ecco, in quella follia, nel bene e nel male, c’era tutto Silvio.

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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