[Il caso] Per decidere il destino del sottosegretario leghista serve più tempo. La procura di Roma a caccia delle tangenti dell’eolico lungo la pista americana
In preparazione rogatorie per gli Stati Uniti. Il sottosegretario sospettato (Procura di Milano) di aver spostato soldi nel Delawere. E’ la storia della vecchia indagine per cui nel 2014 Siri patteggiò 20 mesi. La decisione di Conte potrebbe slittare
C’è poco da fare: oltre al “dacci oggi il nostro litigio quotidiano” che ormai è la cifra del governo, Luigi Di Maio s’è infilato in un angolo da cui sarà difficile uscire indenne. Rischia infatti di diventare un boomerang la pretesa di “allontanare” perchè “non può più stare al suo posto” il sottosegretario della Lega Armando Siri indagato per corruzione. Di sicuro è l’ennesima fonte di imbarazzo per il premier Conte che, tornato stamani dalla Cina dove è stato ospite d’onore alla corte di Xi, dovrebbe, secondo le intenzioni di Di Maio, “convincere in giornata, con le buone o con le cattive, il sottosegretario a fare subito un passo indietro”.
Rinviare e prendere tempo
Ma i piani del leader 5 Stelle e dei suoi più stretti consiglieri non fanno i conti con i tempi, e le ragioni, dell’alleato di governo. Nè con quelli della giustizia e della procura di Roma. Ieri per tutto il giorno fonti pentastellate hanno fatto filtrare l’ipotesi di “un passo indietro spontaneo” del sottosegretario, un “sacrificio” per non indebolire ulteriormente il governo. Con ugual forza fonti leghiste hanno smentito questa circostanza. E se fino a ieri pomeriggio il faccia a faccia tra il premier e il sottosegretario era previsto nella tarda mattinata di oggi, ieri in serata proprio palazzo Chigi ha fatto filtrare la possibilità di un rinvio per “prendere tempo in attesa di qualche novità dalla procura”.
Etica pubblica
Benché ognuno abbia diritto di essere considerato innocente fino a sentenza definitiva, “non c’è dubbio - ha ragionato Conte - che esiste un piano dell’etica pubblica rispetto al quale non ci devono mai essere dubbi su come ci si debba comportare in queste circostanze”. Ma poiché è chiaro a tutti ormai che il caso Siri è diventato uno strumento di lotta politica utile a strappare consensi, ecco che “l’etica pubblica” diventa un lusso che questo governo non può permettersi.
Preferibile, per tutti, aspettare almeno questa settimana per vedere se la procura potrà e vorrà sentire l’indagato Siri ( come da sua richiesta), se ci sarà (già oggi probabilmente nel Riesame) nel deposito di una parte degli atti qualche elemento o indizio in più per poter veramente pretendere le dimissioni del sottosegretario.
Quando Di Maio indicò Siri come ministro
E insomma, la “fretta” di Di Maio è stata piegata a tempi e modi più opportuni. anche perché il leader 5 Stelle, che ieri ha citato Gianroberto Casaleggio per ricordare che “quando c’è un dubbio non c’è alcun dubbio, specie se ci sono di mezzo mafia e corruzione”, non ha invece avuto alcun dubbio a dare il via libera a Siri nella squadra di governo quando nacque l’esecutivo. Non solo: in un’intervista tv il 18 maggio 2018 il leader 5 Stelle indicò proprio il consigliere economico di Salvini come possibile ministro economico (“per me al Mef può andare Bagnai o Siri”). Eppure già era noto il curriculum giudiziario del teorico della flat tax e quella condanna a un anno e 8 mesi patteggiata per l’accusa di bancarotta fraudolenta. Non un buon viatico per il rigore giustizialista del Movimento. Un precedente che fa suonare ipocrita, quanto meno strumentale, la fretta di oggi.
La vecchia inchiesta
E’ proprio quella vecchia inchiesta che doveva accendere, un anno fa, più di un dubbio nel Movimento. Ed è quella vecchia inchiesta che potrebbe contenere indizi utili anche oggi.
La procura di Roma sta analizzando i conti bancari dell’indagato Siri alla ricerca della tangente di 30 mila euro promessa o pagata da parte di Paolo Arata, il professore esperto di energie rinnovabili, a sua volta consigliere di Salvini e della Lega in materia di energia, dall’eolico al biometano. In cambio Siri avrebbe dovuto spingere, cosa poi avvenuta ma senza successo, alcuni emendamenti per favorire gli imprenditori del settore tra cui quel Vito Nicastri accusato di aver finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro. Arata parla del prezzo politico dell’operazione col figlio Francesco in alcune intercettazioni. Altre intercettazioni (tutte ambientali e sempre indirette) della Dia di Trapani sono possono essere al momento utilizzate perché Siri è un senatore ed è necessario prima il via libera della camera di appartenenza.
Paradisi americani
Cercare la presunta tangete è la prima cosa che possono fare gli inquirenti. Al momento non ce n’è traccia. Ma i percorsi bancari possono essere complessi specie se portano su conti esteri attivi in stati che sono paradisi fiscali. Gli investigatori non escludono la necessità di chiedere rogatorie. Ad esempio negli Stati Uniti, nello stato del Delawere. Dove Siri potrebbe gestire alcuni conti correnti che la procura di Milano sospetta essere stati attivati anni fa (tra il 2010 e il 2012) per mettere in salvo circa un milione di euro, il tesoretto della società Media Italia per la cui bancarotta Siri ha già patteggiato un anno e 8 mesi.
Media Italia
La società nasce nel 2002 a Milano. Con il giovane Siri, all’epoca trentenne, già folgorato dal craxismo e poi autore tv, due soci genovesi, Ciro Pesce e Andrea Iannuzzi. La vicenda giudiziaria è raccontata per la prima vota ne “Il libro nero della Lega” (Laterza). Secondo i giudici, Siri e Iannuzzi (Pesce non è coinvolto) hanno spolpato l'azienda e omesso di pagare allo Stato 162mila euro fra tasse contributi previdenziali. Con l'aiuto di alcuni commercialisti complici avrebbero poi spostato tutti gli asset di MediaItalia in una nuova società, la “Mafea”, con sede legale nel paradiso fiscale del Delaware. Il condizionale è d’obbligo perchè i due, entrambi incensurati, decidono di patteggiare e di chiudere lì le indagini ed anche eventuali ed ulteriori scoperte. Siri dirà poi di averlo fatto per non pagare ulteriori spese processuali.
Media Italia si occupava di produrre contenuti editoriali (il giornale di bordo della AirOne) e eventi nel mondo della moda e dello spettacolo (Miss Muretto). Un successo andato di pari passo con l’aumento dei debiti che nel 2005 superano già il milione di euro. Il patteggiamento risale al 2014 e nel dispositivo della sentenza i magistrati hanno scritto che “prima del crack Siri e soci hanno svuotato l’azienda, trasferendo il patrimonio a un’altra impresa la cui sede legale è stata poco dopo spostata nel Delaware, paradiso fiscale americano”.
La pista americana
Come minimo si può dir che il giovane imprenditore poi diventato teorico della flat tax, tra i principali consiglieri di Salvini e infine senatore, ha una certa abilità e dimestichezza con conti correnti e trasferimenti di danari. Quell’indagine che all’epoca non fu chiusa causa patteggiamento, potrebbe essere portata a termine adesso partendo da Roma e dalla caccia alle presunte tangenti dell’affaire eolico.
Ma per tutto questo occorre tempo. Molto. E finché non sarà percorso questo sentiero investigativo, potrebbe essere difficile trovare altri indizi o riscontri. E quindi accusare Siri di qualcosa che vada oltre il sospetto. Poco per costringere adesso una persona a rinunciare all’incarico. Molto, un anno fa, per ritenere inopportuno il suo ingresso al governo. Ecco perchè la fretta di Di Maio- “non può più stare lì, deve lasciare” fino alla minaccia di un atto di forza perchè “in cdm abbiamo la maggioranza” - e lo zelo di Conte che si propone come problem solver, rischiano di essere stonate e fuori luogo. Un boomerang.