Sgarbi sfida Meloni: “Ce n’è qualche decina, tra governo e parlamento, incompatibili come me”
La premier in visita istituzionale in Giappone liquida il caso Sgarbi: “Ci sono fatti, accetto le sue dimissioni”. Ma il critico e storico dell’arte frena: “Le mie? Dimissioni in due tempi. Devo fare ricorso al Tar”. E chiede che la premier avvii analoga indagine nella sua squadra di governo
La “buona” notizia è che Giorgia Meloni e il suo governo sono riusciti a trovare la quadra sulla riforma costituzionale: litigavano sul secondo premier, quello subentrante, poi ieri la fumata bianca. La “brutta” notizia è che il caso Sgarbi sembra lontano dall’essere chiuso e, anzi, portatore di altri guai. “Se l’Antitrust fa fuori me per conflitto di interessi, allora è legittimo che io chieda alla stessa Authority di estendere l’indagine ad altri membri del governo e della maggioranza” ha spiegato con qualche ragione il sottosegretario. Al che nonostante l’accoglienza imperiale in Giappone, tra visite ai templi e nevicate incantate, i bilaterali con il primo ministro Fumio Kishida e i briefing con i ceo di grandi aziende, insomma nonostante Giorgia Meloni fosse in tutt’altre faccende affaccendata, la testa e la parola sono dovute tornare a parlare di Sgarbi, dei trattori e dei tormenti della sua maggioranza. Meloni è attesa di ritorno a palazzo Chigi tra il 7 e l’8 febbraio. E l’agenda è già piena: l’incontro con Sgarbi e la sua “idea” che assomiglia molto a una sfida di verificare tutti i conflitti di interessi tra Parlamento e governo; i trattori fuori il palazzo del governo. Altro che fondi per l’agricoltura portati da 5 a 8 miliardi nell’ambito del Pnrr: è l’aumento dell’Irpef, per dirne, una, che non va giù alla categoria.
Quale ruolo?
Sgarbi, dunque. Difficile dire che ruolo occupi ora e adesso nel governo il critico d’arte Vittorio Sgarbi. Da sabato, quando l’Antitrust ha reso note le sue conclusioni in ben 60 pagine decretando “l’incompatibilità” con il suo ruolo di sottosegretario alla Cultura, Sgarbi è stato tutto e il suo contrario: dimesso, dimissionario, autosospeso, ex sottosegretario del primo governo Meloni, dimissionario in due tempi. Lui, a cui certo non difetta l’eloquio, ha usato vari giri di parole: “Sto scrivendo la lettera di dimissioni alla premier Meloni (domenica pomeriggio)”, “sì l’ho scritta ma non l’ho ancora consegnata”, “forse è meglio aspettare il ricorso al Tar perchè le dimissioni potrebbe ostacolarne l’iter”, “dimissioni certe ma al termine di una negoziazione”. Che trova a sua volta forma nella lettera alla premier, su carta intestata Ministero della Cultura, pubblicata ieri mattina dal Corriere della sera, in cui Sgarbi punta il dito contro i tanti che nel governo e nella maggioranza vivono come minimo il suo stesso conflitto di interessi.
Rilancio doppio. E inatteso
Nella lettera al Corriere infatti Sgarbi, stupito per i pronunciamento dell’Antitrust circa la sua incompatibilità nel doppio ruolo di critico-storico dell’arte- divulgatore e sottosegretario per evidente conflitto di interessi (“impedire a me di parlare di arte e cultura e pittura è come negarmi l’articolo 21 della Carta, il diritto di parola e di pensiero” ma qui Sgarbi “dimentica” i ricchi compensi da lui percepiti nel fare questa opera di divulgazione pur sedendo al ministero) informa la premier della sua duplice intenzione: ricorrere al Tar (cosa che potrebbe congelare l’incompatibilità dell’Antitrust); promuovere lui stesso una nuova indagine presso l’Antitrust per sapere quanti altri tra parlamentari e uomini e donne di governo sono nelle sue stesse condizioni. Rispetto a questo doppio contropiede del sottosegretario, Giorgia Meloni ha però detto stop. E a Tokyo, tra il bilaterale, le dichiarazioni congiunte alla stampa, il passaggio di consegne della presidenza G7, la condivisone per l’agenda dell’anno appena iniziato e che sarà a guida Meloni, la premier ha sibilato ai giornalisti parole chiare: “Accetto le dimissioni del sottosegretario Sgarbi. Io stessa, come lui del resto, abbiamo atteso motivazioni oggettive (le 60 pagine della pronuncia dell’Antitrust, ndr) per decidere e oggi la sua decisione mi sembra corretta. Aspetto di incontrarlo a Roma per accogliere quindi le sue dimissioni”.
Meloni chiude il caso. Forse
Nelle intenzioni della premier il dossier Sgarbi è quindi chiuso. Almeno quello, visto che ne restano aperti tanti altri. Solo per restare alla squadra di governo: le indagini sulla ministra Santanchè per il fallimento di alcune sue società tra cui Visibilia e il rinvio a giudizio del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per violazione di segreto, con l’aggravante di essere un membro del governo, sul caso Cospito. Delmastro, che poi deve ancora chiarire la faccenda dell’ultimo dell’anno, il colpo di arma da fuoco partito dal collega Pozzollo (sospeso dal partito) e il ruolo del suo caposcorta (trasferito di recente). Quaranta giorni e ancora non si sa chi ha sparato quella notte a una festa in cui erano presenti un sottosegretario, un deputato, un paio di uomini di scorta e anche bambini.
Ma così non è. Sgarbi non è amichetto di questo governo e non è arrivato per logiche di amichettismo. A parte Berlusconi, che più di tutti ha spinto a volerlo in squadra, Sgarbi è nei fatti e da sempre un one man show. Uno che dà lustro al governo (al netto delle inchieste penali) ma che non è organico a nessun governo. In questo momento tra indagini già avviate ed altre in arrivo, Sgarbi non può rischiare di restare senza immunità. Da qui la parola “trattativa”, le dimissioni “in due tempi”, l’allusione molto esplicita ai colleghi e la sfida. “ Se il governo - scrive lo storico dell’arte - per mano di un suo ministro ha promosso un’indagine sul conflitto di interessi all’interno del governo sulla base di una lettera anonima, allora è giusto che io chieda di estendere l’indagine a tutte le istituzioni”. Governo e Parlamento compresi.
Il rapporto di Transparency international
E allora, in tal caso, sarebbero guai per l’esecutivo Meloni. Il 30 gennaio Transparency, think tank internazionale contro la corruzione che ogni anno misura l’indice di percezione della corruzione in ogni paese (Italia a 56, circa a metà strada e 42 su 186 paesi), ha pubblicato il report annuale e ha indicato cento parlamentari qualificandoli come “portatori di interessi”. Gente cioè che pur stando in Parlamento e al governo mantiene quote e incarichi in società in nome delle quali presenta interrogazioni e proposte di legge. In quella lista ci sono anche ministri e sottosegretari. Soprattutto in quota Fratelli d’Italia che ne conta quaranta. Segue la Lega con 19 e Forza Italia con 15. Il Pd ne ha 8 e i Cinque stelle quattro.
E’ questa la lista che Sgarbi intende sventolare sotto il naso della premier appena si vedranno?
Il fatto è che il quadro generale in cui si muove il sottosegretario “congelato” va ben al di là delle sessanta pagine dell’Antitrust. Sgarbi è indagato a Macerata per il possesso di un quadro di Manetti. L’Antitrust gli contesta compensi per 300 mila euro da quando è al governo per lezioni e conferenze. Alcuni suoi ex collaboratori lo accusano di aver ricevuto soldi in contanti, di aver acquistato per 10 mila euro un quadro che poi è stato valutato 5 milioni. Un crocevia di palate di fango mosse da ventilatori potenti. Accuse che vanno avanti ormai da un mese. E il primo a denunciarlo è stato proprio il suo ministro, quel Sangiuliano con cui i rapporti sono sempre stati tesi.
In pole Ilaria Cavo
L’unica certezza è che mentre il caso diventa un giallo e una guerra di carte bollate, al posto del critico d’arte negli uffici di piazza del Collegio romano è è pronta ad entrare Ilaria Cavo, deputata in quota Lupi (Noi Moderati) così come anche Sgarbi era in quota ai centristi. Segnale chiaro: la premier Meloni liquida Sgarbi in diretta streaming da Tokyo ma non intende in alcun modo spostare i pesi specifici nella maggioranza. Sfruttare il caso Sgarbi per indebolire qualcuno o rafforzare altri. Saggia decisone che tanto gli scossoni certo non mancano. Soprattutto quando la premier è in missione all’estero.