Il caso Sgarbi, la prima vera crepa che alimenta le tensioni dentro al governo e riunisce tutta l'opposizione
L’affaire Sgarbi si porta con sé un ritorno di immagine negativa, perché si intuisce uno scontro all’interno dell’esecutivo
Che Vittorio Sgarbi si sarebbe prima o dimesso era nell’aria. Troppe le voci che correvano con una certa insistenza tra Camera e Senato. E troppa soprattutto la distanza tra il diretto interessato e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. La verità è però che questa, seppur piccola, è la prima vera crepa per l’esecutivo di Giorgia Meloni. La premier italiana è a Tokyo, ha trascorso gli ultimi giorni a Bruxelles a cercare di mediare tra i vertici europei e “l’alleato” Viktor Orban, e al suo ritorno si dovrà occupare di una faglia all’interno dell’esecutivo. È vero che sostituire un sottosegretario è successo in passato e chissà quanto volte potrebbe succedere. Ed è vero altresì che la premier non vorrà sentire di rimpasto, perché nulla c’entra con la questione. Semmai di verifica della squadra se ne potrà parlare dopo le elezioni europee. Sia come sia, l’affaire Sgarbi si porta con sé un ritorno di immagine negativa, perché si intuisce uno scontro all’interno dell’esecutivo, proprio in una fase in cui il ministero della Cultura sta rimodellando vertici e colore politico delle istituzioni culturali.
D’altro canto, non aiutano le molteplici accuse del sottosegretario dimissionario: «Sono stato destinatario di una molto complessa e confusa lettera che aveva accolto due lettere anonime inviate all’Antitrust dal ministro della Cultura». Tutto preannunciando che scriverà molto presto alla presidente del Consiglio. Le accuse, va da sé, sono tutte rivolte al ministro Sangiuliano: «Credo che il racconto dell'arte sia un'integrazione della funzione istituzionale: non mi pare che Sangiuliano abbia delle competenze legate all'arte che possano aiutare la funzione di ministro. Conoscere il patrimonio artistico italiano e raccontarlo è un elemento additivo alla funzione di sottosegretario. Ne ero convinto. Fino ad oggi».
Parole che lasciano intendere che più di qualcosa non stia funzionando ai vertice del governo. Sgarbi motiva la sua decisione dichiarando per tutto il pomeriggio di ieri che «l’Antitrust ha ritenuto credibili le indicazioni di lettere anonime e ha dichiarato l’incompatibilità. Ne ho avuto notizia verso le 14.30. Il tempo di meditare la mia scelta e ho pensato di partecipare a questa conferenza libero, non l’avrei potuto fare». Gioca, se si vuole a fare la vittima del sistema mediatica. Le attività di Sgarbi finite sotto osservazione dell’Antitrust riguardano una serie di partecipazioni a conferenze, inaugurazioni di mostre, vendita di libri, da cui avrebbe ottenuto un compenso.
Al netto della vicenda è singolare che l’unica voce che si leva a difesa di Sgarbi sia quella di Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati: «Vittorio Sgarbi è un visionario capace di vedere e spiegare connessioni straordinarie, irriducibile amante del nostro patrimonio culturale. Proprio per questo è stato nominato sottosegretario. L'Italia ha un immenso patrimonio artistico che Vittorio ha contribuito in questi decenni, ed anche nella sua esperienza da Sottosegretario, a far conoscere, a valorizzare, a promuovere. Ha scoperto e rivelato opere poi esposte in musei di prestigio mondiale. Alle opposizioni che ne hanno chiesto le dimissioni ritenendolo 'inadeguato' chiedo se davvero lo pensino. Le sue dimissioni rappresentano una perdita per la promozione e la valorizzazione del patrimonio artistico italiano perché il primo compito di un sottosegretario alla Cultura è esattamente questo».
Scorrendo il lungo elenco di agenzie stampa di ieri nessun altro esponente della maggioranza interviene a suo favore. Segno che la questione sia arrivata a forte e chiara ai vertici dell’esecutivo. Non a caso a sera un esponente della coalizione di governo sussurrava in questi termini: «Dobbiamo guardare avanti, sostituire Sgarbi, e non commettere più errori». Il problema è che l’affaire Sgarbi si inserisce in un contesto non favorevole per l’esecutivo, visto che ogni giorno si consuma una competizione tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E visto che dall’inizio dell’anno le questioni spinose sono stati più di uno: dal caso Pozzolo a quello che vede coinvolta Daniela Santanché. Nodi che potrebbero presentarsi nelle prossime settimane e che si sommeranno all’attivissimo di un Salvini che è diventato una scheggia impazzita.
Di tutto questo se ne approfitta l’opposizione che per una notte si riunisce. «Meloni e Sangiuliano spieghino al Parlamento per quali ragioni il governo ha fatto orecchie da mercante sul caso Sgarbi» sbottano i componenti Pd della commissione cultura della Camera. Rincara la dose la grillina Alessandra Maiorino: «le sue dimissioni potrebbero essere un esempio per altri. Abbiano un sussulto di dignità anche altri membri del governo e della maggioranza che con la loro condotta mettono in discussione la disciplina e l'onore che la costituzione prescrive a chi riveste un incarico pubblico. Mi riferisco ad Andrea Delmastro, Maurizio Gasparri, Daniela Santanchè e a tutti i protagonisti della questione morale del governo Meloni». In scia anche Matteo Renzi: «Era un atto dovuto, lo sappiamo, ma Vittorio Sgarbi almeno ha avuto la decenza di dimettersi. Quella decenza che - per ora - manca a Lollobrigida e Delmastro. Sgarbi ha capito che cosa fosse giusto fare e prima o poi lo capiranno anche loro. Meglio prima, possibilmente».