La sfida di Papa Francesco: meno autonomia all'Opus Dei e stop alle attività speculative
In vista dell’incontro con il collegio cardinalizio di fine agosto e prima della partenza per il Canada, il Santo Padre accelera la spinta riformatrice nella Chiesa

Questi ultimi giorni giorni hanno registrato un’improvvisa accelerazione di Papa Francesco per chiudere il cerchio riformatore nella Curia Romana e nel Vaticano ma anche di altre realtà considerate importanti per la loro influenza nella Chiesa come l’Opus Dei. L’ultimo dei provvedimenti del Papa riguarda proprio la prelatura personale dell’Opus Dei, nata nel 1982 per volere di Giovanni Paolo II, vista sempre troppo autonoma e privilegiata rispetto ad altre realtà di vita consacrata nella Chiesa.
Il provvedimento sull'Opus Dei, troppo autonomo e privilegiato
A seguito della Riforma della Curia, Francesco, con l’intento di tutelare il carisma religioso della prelatura, dispone che l’Opus Dei dipenderà dal Dicastero del Clero e che il prelato alla guida dell’Opus non dovrà più essere un vescovo che le conferiva in qualche modo una certa autonomia quasi paragonabile a una diocesi. La disposizione di Francesco sarà vista con favore poiché rimuove diversi motivi di conflittualità con cui nella Chiesa si è vissuta la storia dell’Opus Dei segnata da diversi privilegi.
La riforma economica della Santa Sede
Ma la più importante riforma degli ultimi giorni riguarda l’economia della Santa Sede, oggetto di molti scandali negli ultimi decenni. La Riforma della Curia in vigore dallo scorso 5 giugno è stata in qualche modo resa operativa sul versante economico finanziario con un Comunicato della Segreteria per l’Economia. Semplice come strumento, ma importante come contenuto, il Comunicato del 19 luglio passerà alla storia. Infatti si rende noto che dal prossimo 1 settembre “si avvierà una nuova politica unitaria per gli investimenti finanziari della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, che saranno disciplinati da una Politica di Investimento”. Si può ritenere che questo passaggio operativo completi davvero sul piano fattuale la lunga vicenda di risanamento delle finanze vaticane. Il documento, discusso nel Consiglio per l’Economia e con specialisti del settore, è stato indirizzato ai Capi Dicastero della Curia e ai Responsabili delle Istituzioni e enti collegati alla Santa Sede dal Prefetto della Segreteria per l’Economia, Padre Juan Antonio Guerrero Alves. Un gesuita doc, uno di quelli scelti dal Papa per condurre in porto le riforme in modo affidabile.
Si punta sulla produttività e si rifuggono le attività speculative
La lettura del Comunicato offre uno spaccato su una materia discussa e dibattuta, fonte di contrapposizioni nella stessa Chiesa e di critiche del mondo laico verso le istituzioni della Santa Sede. Tra i due estremi possibili (tutto o niente) si è scelta una via mediana introducendo il principio della competenza ma anche etico che, in una visione di insieme, richiedono perseguire il bene comune, la sostenibilità, la giustizia. Puntando alla produttività e rifuggendo le attività di natura speculativa. La nuova Politica di Investimento, approvata ad experimentum per 5 anni “intende far sì che gli investimenti siano mirati a contribuire ad un mondo più giusto e sostenibile; tutelino il valore reale del patrimonio netto della Santa Sede, generando un rendimento sufficiente a contribuire in modo sostenibile al finanziamento delle sue attività; siano allineati con gli insegnamenti della Chiesa Cattolica, con specifiche esclusioni di investimenti finanziari che ne contraddicano i principi fondamentali, come la santità della vita o la dignità dell’essere umano o il bene comune. In tal senso è importante che siano finalizzati ad attività finanziarie di natura produttiva, escludendo quelle di natura speculativa, e soprattutto siano guidati dal principio che la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale”.
Le scelte finanziarie sono scelte morali e culturali
Un mosto più possibile equilibrato tra vecchio e nuovo, seguendo l’evoluzione economica ma senza identificarsi con i principi del capitalismo estremo. Le istituzioni curiali, pertanto, “dovranno affidare i loro investimenti finanziari all’APSA, trasferendo la propria liquidità da investire - oppure i propri titoli depositati presso banche estere o presso lo stesso IOR - al conto dell’APSA predisposto allo IOR per questa finalità. L’APSA in quanto istituzione che amministra il patrimonio della Santa Sede, istituirà un unico fondo per la Santa Sede in cui confluiranno gli investimenti nei diversi strumenti finanziari e disporrà di un conto per ogni istituzione, elaborando il reporting e pagando i rendimenti”. Il nuovo Comitato per gli Investimenti, istituito con la Praedicate Evangelium, svolgerà – tramite l’APSA – le adeguate consultazioni “volte ad implementare la strategia di investimento e valuterà l’adeguatezza delle scelte, con particolare attenzione alla conformità degli investimenti effettuati ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa, nonché ai parametri di rendimento e di rischio secondo la Politica di Investimento”.
la rivoluzione di Papa Francesco in 10 anni
Considerando questi provvedimenti e altri di natura strutturale e duraturi nel tempo apportati da Francesco (Riforma della Curia, nuova politica di investimento economico, pedofilia, sinodo, liturgia mandando in soffitta il vecchio rito della messa) si deve convenire che il Papa nel corso dei 10 anni di pontificato ha aggiornato profondamente il volto della Chiesa e la sua percezione nel mondo. Si potrebbe quasi pensare che Francesco si presenterà alla riunione generale del collegio cardinalizio il 29-30 agosto dove si esamineranno la Riforma e i suoi effetti, portando un bilancio del pontificato. E non è un caso senza significato. Lo stesso pontefice ha ripetuto più volte che le sue riforme erano state indicate nella riunione dei cardinali alla vigilia del conclave che lo elesse il 13 marzo 2013 a “pastore della Chiesa universale”. Ma nel mentre si costruisce la storia Francesco non dimentica l’oggi che determinerà il futuro. E’ il caso della sua attenzione costante non solo alla pace, ma alla cura del creato.
L'accusa verso il nostro "antropocentrismo dispotico"
Per la celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del creato proposta dal patriarca ecumenico di Costantinopoli e che da qualche anno si celebra l’1 di settembre, Francesco ha diffuso un proprio Messaggio dedicato al tema “Ascolta la voce del creato”. “Se impariamo ad ascoltarla, notiamo nella voce del creato una sorta di dissonanza. Da un lato, è un dolce canto che loda il nostro amato Creatore; dall’altro, è un grido amaro che si lamenta dei nostri maltrattamenti umani”. Ma è realistico parlare di “un coro di grida amare. Per prima, è la sorella madre terra che grida. In balia dei nostri eccessi consumistici, essa geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione. Poi, sono le diverse creature a gridare. Alla mercé di un «antropocentrismo dispotico», agli antipodi della centralità di Cristo nell’opera della creazione, innumerevoli specie si stanno estinguendo, cessando per sempre i loro inni di lode a Dio. Ma sono anche i più poveri tra noi a gridare. Esposti alla crisi climatica, i poveri soffrono più fortemente l’impatto di siccità, inondazioni, uragani e ondate di caldo che continuano a diventare sempre più intensi e frequenti. Ancora, gridano i nostri fratelli e sorelle di popoli nativi. A causa di interessi economici predatori, i loro territori ancestrali vengono invasi e devastati da ogni parte, lanciando «un grido che sale al cielo».
Il collasso del pianeta e il grido di allarme degli adolescenti
Infine, gridano i nostri figli. Minacciati da un miope egoismo, gli adolescenti chiedono ansiosi a noi adulti di fare tutto il possibile per prevenire o almeno limitare il collasso degli ecosistemi del nostro pianeta. Ascoltando queste grida amare, dobbiamo pentirci e modificare gli stili di vita e i sistemi dannosi”. In particolare i credenti dovrebbero invitare le nazioni ad accordarsi su quattro principi chiave per fermare la crisi climatica: “costruire una chiara base etica per la trasformazione di cui abbiamo bisogno al fine di salvare la biodiversità; lottare contro la perdita di biodiversità, sostenerne la conservazione e il recupero e soddisfare i bisogni delle persone in modo sostenibile; promuovere la solidarietà globale, alla luce del fatto che la biodiversità è un bene comune globale che richiede un impegno condiviso; mettere al centro le persone in situazioni di vulnerabilità, comprese quelle più colpite dalla perdita di biodiversità, come le popolazioni indigene, gli anziani e i giovani”.