[Il retroscena] Il senatore Dessì, amico degli Spada e con l’affitto da 7 euro, perdonato e riabilitato dai Cinque Stelle. E ora ha un ruolo importante
Il senatore di Frascati che fu costretto da Di Maio a firmare un modulo per la rinuncia all’elezione, accusato di essere vicino agli Spada e di pagare solo 7 euro di affitto al mese, è stato perdonato. Riammesso nel Movimento 5 stelle da Danilo Toninelli, ha parlato per primo a nome del partito al termine dell’audizione del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture sul crollo del Ponte di Genova: “Bisogna nazionalizzare autostrade e rivedere tutte le concessioni”

Il primo a parlare è stato il senatore dei Cinque Stelle che non doveva essere lì. Lunedì pomeriggio, ad ascoltare la relazione sul crollo del Ponte Morandi a Genova, si erano presentati non soltanto i “normali” membri della Commissione Ambiente e Lavori pubblici, ma, vista la gravità del tema, c’erano un po’ tutti: ex ministri, capigruppo come Graziano Delrio (Pd) e Mariastella Gelmini (Fi), i loro omologhi pentastellati, per un totale di quasi duecento tra deputati e senatori. Al termine della lunga introduzione del ministro per le Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, si è dato avvio al dibattito. La prassi prevede che capigruppo e big chiedano approfondimenti o facciano altre domande alle quali il governo può rispondere nel corso della replica. Così, dopo l’intervento fiume di Toninelli - un’ora e tredici minuti di relazione -, il presidente della Commissione Alessandro Manuel Benvenuto, un giovanissimo leghista torinesi dai modi fermi, ha aperto il dibattito dando la parola al rappresentante del gruppo più numeroso, cioè del Movimento 5 Stelle. “Grazie presidente, grazie ministro, grazie colleghi senatori e deputati presenti e anche a coloro che ci stanno ascoltando in via diversa”, ha esordito un signore di blu vestito, utilizzando la formula di rito e aggiungendo un riferimento alla platea del web, che poteva seguire in streaming l’evento che si teneva dentro la Sala del Mappamondo .
Ma chi era l’uomo chiamato a spiegare la linea del partito di maggioranza relativa che esprime il ministro “audito”, il parlamentare “qualunque” tenuto in una così grande considerazione da rubare la scena ai capigruppo? Si trattava di Emanuele Dessì, il senatore che non doveva esserci. Il suo nome finì sulle prime pagine di tutti i giornali a febbraio quando, a liste già consegnate, spuntarono fuori un video (segnalato da un esponente Pd) che lo ritraeva con Domenico Spada, indagato per usura, e un post su Facebook nel quale raccontava di avere malmenato un ragazzo romeno. Qualche giorno dopo, fu la trasmissione Piazza Pulita a rivelare che il candidato al Senato nel collegio di Latina viveva in una casa popolare del Comune di Frascati, dove era stato consigliere comunale per due anni, pagando nientemeno che 7,75 euro di canone al mese. Troppo per il Movimento 5 Stelle di allora, impegnato nella battaglia campale per conquistare il governo del Paese e intenzionato a caratterizzarsi come il paladino della legalità e della “questione morale”. La reazione fu allora in linea con questi propositi: “Ho parlato con lui e, in seguito ai tanti attacchi ricevuti, ha deciso di fare un passo indietro per tutelare la sua persona e il Movimento 5 Stelle, impegnandosi a rinunciare alla candidatura e in ogni caso all’elezione alla carica di senatore”, disse Luigi Di Maio, allora “semplice” capo politico del partito. “Ho firmato un documento anche se non so come funzioni”, ammise candidamente l’interessato, che era stato piazzato al secondo posto nel listino proporzionale del collegio Lazio 03, cioè nella provincia di Latina, dietro alla senatrice uscente Elena Fattori. La “carta” che il candidato aveva firmato aveva però un titolo chiaro. Si intitolava “Rinuncia alla elezioni” e, in caso di elezione in Parlamento, lo impegnava a dimettersi.
Inutile dire che quel “contratto” è rimasto sulla carta, totalmente inapplicato, grazie all’ “obbligo flessibile” con cui il M5S ha ormai deciso di applicare ai dispositivi del proprio Codice etico . Non solo Dessì è diventato senatore e non si è mai dimesso ma, anzi, oggi parla a nome di decine di suoi colleghi parlamentari. A consentirglielo è stato proprio il ministro del quale Dessì l’altro giorno ha commentato la relazione nelle poche settimane nelle quali era stato capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato. Toninelli, nella prima riunione del gruppo pentastellato a Palazzo Madama, spiegò che, “dopo una attenta analisi”, non erano state riscontrate “incompatibilità con l’incarico” di senatore e che non erano emersi “elementi di natura penale, civile o fiscale” che gli impedissero di “partecipare alla vita politica del gruppo in cui è stato regolarmente eletto”. Nel frattempo, nel tentativo di “metterci una pezza”, il senatore aveva chiesto al Comune di Frascati di aumentargli il canone di affitto.
Dopo la riabilitazione, il palcoscenico. Così Dessì, che è membro della commissione Lavori Pubblici, andando a braccio, ha avuto la parola per primo e, senza alcun imbarazzo, ha spiegato la sua ricetta per Genova e per l’Italia. “Le autostrade devono tornare in mano pubblica. E, allo stesso modo, devono essere riviste tutte le concessioni di asset strategici. È giunto il momento di invertire la tendenza, anche in maniera brutale, drastica, decisa”, ha detto, rivolgendosi al “suo” ministro. “Per la politica tutta, senza distinzione di partito e schieramento è giunto il momento della responsabilità. Responsabilità nei confronti delle 43 vittime di Genova, dei loro familiari e degli sfollati che oggi vivono situazioni drammatiche per colpa dello Stato e della politica, che innegabilmente ha enormi responsabilità sul crollo del Ponte Morandi. La revoca della concessione ad Autostrade, di cui siamo convintissimi, si inquadra proprio all’interno di quel perimetro di responsabilità non più procrastinabile”, ha aggiunto. Dopo di lui hanno preso la parola i rappresentanti degli altri partiti.
Il caso Dessì, però, è tutt’altro che isolato. Prima del senatore di Latina, era stata “perdonata” e addirittura promossa una deputata, Giulia Sarti, sospesa e poi riabilitata e infine indicata come presidente della Commissione Giustizia della Camera. Spariti dai radar, ma regolarmente al lavoro in un Parlamento in cui non si dovrebbero trovare, ci sono altri personaggi verso cui si erano indirizzati gli strali del Movimento. Al Senato, il piemontese Carlo Martelli e il pugliese Maurizio Buccarella, alla seconda legislatura. Alla Camera Silvia Benedetti, eletta a Padova, Andrea Cecconi, rieletto battendo nel collegio Marco Minniti, il patron del Potenza Calcio Salvatore Caiata, il pugliese Antonio Tasso, l’avvocato campano Catello Vitiello.