"Se Bossetti fosse stato un migrante". Dove finisce l'umanità inizia il cortocircuito della paura
Dopo l'aggressione di un agente alla Stazione Centrale di Milano, il giornalista Francesco Merlo apre una riflessione pubblica sul tema dell'immigrazione e sul ruolo dell'informazione. "Gli immigrati sono un universo enorme che nessuno ha il diritto di ricondurre alle colpe di un singolo individuo".
"Quando un maschio bianco e italiano stupra una donna io non mi sento colpevole. Mi fa male , mi ferisce, mi sento semmai vittima insieme a tutte le vittime di atti ingiustificabili. Ma a nessuno viene in mente di accusare tutti i maschi bianchi e italiani di quella singola violenza. Quando Bossetti venne arrestato ci fu un ondata di sdegno, ma non lo si accusava in quanto lombardo o in quanto muratore. Se fosse stato un immigrato cosa sarebbe successo? Perchè invece gli immigrati devono essere tutti responsabili dei delitti commessi da uno di loro?" A farsi questa domanda è il giornalista Francesco Merlo, che dalle colonne di Repubblica apre una riflessione pubblica sul tema dell'immigrazione dopo il tentato accoltellamento di un agente alla Stazione Centrale di Milano.
"Nelle nostre città ci sono dei disperati, questo è vero", spiega Merlo raggiunto telefonicamente da TiscaliNews. "Ovviamente anche loro possono alimentare la violenza urbana che c'è nelle città. Il protagonista di questa vicenda, Saidou Mamoud Diallo, era un balordo con precedenti penali oggetto di un provvedimento di espulsione che non è stato eseguito. Ha compiuto un atto criminale di cui dovrà rispondere individualmente. Però ogni volta che un singolo immigrato è coinvolto in qualche delitto immediatamente scatta il meccanismo di astrazione, dal singolo alla categoria. Viene indentificato con la sua razza, con la sua etnia con l'universo ampio e complesso dell'immigrazione in generale. Questa è un'aberrazione dell'odio figlia del vecchio sociologismo che usava identificare i crimini attraverso i luoghi in cui venivano compiuti. Per cui se un fatto accadeva a Rozzano si iscriveva in una sequenza quasi ineluttabile, se accadeva a S.Babila era la noia dei ragazzi bene".
"Il sociolocismo esteso all'immigrazione diventa odio", prosegue Merlo. "In tutti i codici si puniscono i crimini e i criminali, ma responsabile è sempre il singolo individuo, che riceve la pena conseguente al suo delitto. La punizione non viene mai comminata "per categoria". Questo balordo è veramente l'incarnazione di un ossessione: quella psicosi che nasce dalla paura di una massa indistinta e generalizzata dove noi non distinguiamo più le singole persone, ma vediamo solo l'immigrazione, in quanto tale. Questa moltitudine come la massa che racconta Elias Canetti, dove non ci sono più i nomi e le persone. Come fosse un formicaio, non li distingui, non ti interessa, per te non hanno una coscienza di individui. Lo stesso per l'immigrazione presa nel suo insieme, decontestualizzata dalle singole vite delle persone. Ma non è così. E tutti i collegamenti mentali che ne seguono sono assolutamente aberranti".
"Anche il fatto di collegare un singolo fatto di cronaca nera con le istanze dello Ius Soli è una farneticazione", prosegue Merlo. "Lo Ius soli è il tentativo di regolare attraverso il diritto delle situazioni che sono di fatto reali: persone che sono nate qui o comunque stanno qui da tanto tempo e talvolta sono più italiani di tanti italiani. Cosa c'entra il delitto di un immigrato alla Stazione centrale con questa retorica che ci racconta di orde barbariche che invadono Milano e ci accoltellano alle spalle? Sappiamo che non è così. Tito Boeri ha ben spiegato quanto è importante il lavoro degli immigrati nel bilancio dell'Inps"
Per Merlo occorre tornare all'oggettivizzazione dei fatti e della realtà: "Non voglio minimamente negare che esistono immigrati che delinquono e che debbano essere perseguiti. Non è che se è immigrato dobbiamo essere indulgenti. Se ha commesso un delitto ci sono ci sono delle leggi che possono essere applicate e ci sono le espulsioni che vanno eseguite. Però evitiamo generalizzazioni"
"Anche quella frase -volevo morireper Allah- alla fine diventa il catalizzatore di tutte le nostre paure. Come in Piazza San Carlo durante la proiezione della partita, la simbolizzazione di questa frase rappresenta una vittoria traslata del terrorismo: il terrorismo che non c'è, il terrorismo annunciato, il terrorismo per sentito dire. Fai boom con la bocca, la gente si spaventa e paradossalmente morti e i feriti ci sono davvero. Scoppia la bomba che non c'è".
L'ultima domanda per Francesco Merlo è una riflessione sul ruolo del giornalismo, alla ricerca di un approccio possibile: "Ricondurre i fatti alla loro essenzialità. Ma anche dare spazio anche alla faziosità del dibattito, però senza la farneticazione che trasforma la realtà e annulla il senso di solidarietà verso chi ha più bisogno. Gli immigrati sono un universo enorme: c'è chi va ad alimentare la violenza urbana ma anche chi lavora nelle nostre case e nei nostri campi. Gli immigrati sono un universo enorme che nessuno ha il diritto di ricondurre alle colpe di un singolo individuo".