[Il ritratto] Lo scontro con Tria sulla manovra e i soldi in Svizzera. Savona il ministro antieuro è sotto attacco

L’economista che Salvini e Di Maio volevano a via XX settembre, dirottato sul ministero delle Politiche Europee, è molto presente nelle scelte di politica economica del governo. Ha una visione diversa da quella di Tria, che non lo ama, e prevede una crescita più veloce. Coccolato dai due vicepremier ha una grana: il Corriere scopre che non ha lasciato il fondo di investimento del quale era direttore e ha 1 milione e tre in Svizzera, regolarmente denunciati. In tre mesi al governo è sempre stato sotto attacco

Tria e Savona alla Camera

Di sicuro il ministro Paolo Savona non lavora perché è costretto a farlo. Lo dimostra il milione e trecentomila euro depositati in Svizzera, coi quali potrebbe campare bene a lungo anche senza lo stress dei consigli dei ministri e dei giornalisti che ti inseguono ovunque. È altrettanto certo che il professore ottantaduenne, nato in Sardegna, non abbia risposto “si’” alla chiamata di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio soltanto per togliersi lo sfizio di fare il ministro: lo era già stato, all’Industria, nel governo - ai tempi popolarissimo - di Carlo Azeglio Ciampi nel lontano 1993. Poi ha fatto altre cose egualmente interessanti, compreso il capo del Dipartimento per le Politiche europee nominato da Silvio Berlusconi e poi, ultimamente, il presidente del fondo speculativo Euklid Ltd basato a Londra, ruolo dal quale, secondo il Corriere della Sera, non si sarebbe ancora dimesso.

L’unica cosa certa è che da quando i gialloverdi lo hanno ributtato sulla scena proponendolo come ministro dell’Economia, il professore di Economia che aveva assunto posizioni molto critiche contro l’euro e criticato con accenti pesanti la Germania, è diventata una delle figure più scomode dell’intero esecutivo. In un governo dove il traino sono i due vicepremier under 40, lui, che ha il doppio dell’età, non è meno vitale. E’ sul suo incarico a custode dei conti che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, si era impuntato e minacciava di bloccare la nascita dell’intero governo. Il 28 maggio scorso il Quirinale si era rifiutato di nominarlo a capo del ministero di XX settembre e lui, l’economista, non restò fermo a guardare. Niente video su Facebook o Tweet, scrisse una lettera: “Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese. Ho subito un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro”. Il professore spiegò di non averlo mai pensato davvero. Dopo una mediazione di giorni, il Capo dello Stato accettò di nominare ugualmente Savona ministro ma alle Politiche Europee. Al suo posto all’Economia è andato Giovanni Tria, anche lui professore, anche lui economista, ma dalla comprovata fedeltà alla moneta unica. 

Il ministro più anziano dell’esecutivo non si è mai però realmente disinteressato alla politica economica del governo. Il 10 luglio fece indispettire i colleghi ventilando ancora una volta una possibile uscita dalla moneta unica. “Potremmo trovarci in una situazione nella quale non saremo noi a decidere, ma saranno altri. Per questo dobbiamo essere pronti a ogni evenienza. Una delle mie case, Banca d'Italia, mi ha insegnato che non ci si deve preparare a gestire la normalità, ma l'arrivo del cigno nero, lo shock”, disse il dieci luglio non in un luogo qualsiasi, ma nel corso di una audizione alle commissioni congiunte di Camera e Senato.

Di economia e rapporti con l’Ue trattava il lungo documento intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”, nel quale sostiene che il progetto è in profonda crisi, critica la moneta unica, pur senza mai ipotizzarne chiaramente la fine. Il professore propone però di eliminare la clausola del rapporto deficit pil al 3%, cui tengono molto tedeschi e Paesi del Nord Europa, e di sostituirla con il “deficit dinamico”, cioè consentire a ciascuna nazione di spendere tanto quanto il suo pil. Ecco spiegato, forse, perché poche sere fa davanti alla stampa estera, ha leggermente esagerato le previsioni. 

Pur avendo collaborato fattivamente alla stesura della Manovra, dato una mano ai Cinquestelle nella difficile opera di trovare le coperture e ideare il reddito di cittadinanza, consapevole di cosa ci fosse scritto nei fogli perché presente a tutti i vertici a Palazzo Chigi, lunedì sera ha dato dei numeri quasi doppi rispetti a quelli di Tria. Se il ministro dell’Economia a Montecitorio parlava di un pil dell’1,4%, Savona, davanti alla stampa estera, ipotizzava un prodotto interno lordo che “potrà raggiungere il 2% nel 2019 e il 3% nel 2020”. Al ministero di via XX settembre si sarebbero molto innervositi.

Non è la prima volta che il titolare delle Politiche comunitarie “pesta i piedi” al collega. Giovedì scorso si votava appunto la nota di aggiornamento al Def e, approfittando del fatto che il ministro dell’Economia fosse a Bali per il G20, ha preso la parola lui. Per trenta minuti ha difeso le scelte del governo, compreso il reddito di cittadinanza, secondo alcuni si è speso con più forza e convinzione di quanto avesse fatto il collega. “E’ necessario ripetere ciò che fece Roosevelt. Egli mise insieme la parte Nord industrializzata e la parte Sud agricola degli Usa ed è riuscito nell’intento. Il mio convincimento è che si stia tentando un poderoso sforzo per un’Italia unitaria, di coincidenza di interessi tra la zona avanzata e la zona arretrata, non certo culturalmente, del Paese”, ha detto, chiudendo l’intervento con una standing ovation.

Due giorni dopo ancora un attacco. E’ Federico Fubini a scrivere sul Corriere che nonostante il 23 maggio, prima della formazione del governo, l’economista avesse annunciato la rinuncia alla carica di presidente del fondo speculativo Euklid Ltd, il ministro sarebbe ancora “director active” dell’hedge fund. Il ruolo di Savona sarebbe riportato nero su bianco dal registro delle imprese inglese, il Companies House. Pd, Leu e +Europa hanno chiesto chiarimenti. E’ una grana per una compagine governativa che dice di voler fare della trasparenza la sua filosofia. 

Sempre il quotidiano di via Solferino ha ipotizzato che il ministro possa avere 1,3 milioni di euro depositati in Svizzera. La cifra non è per niente sospetta: Savona ha cominciato a lavorare nel 1961 presso il Servizio Studi della Banca d’Italia, ha presieduto società importanti come  Gemina, Impregilo, Aeroporti di Roma, Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, Consorzio Venezia Nuova e Capitalia. Colpisce, però, la scelta di un Paese extra Ue fatta da uno che critica l’euro un giorno sì e un giorno no. Col conto in Svizzera non ci sono problemi di spread, una eventuale cacciata dell’Italia dall’Ue non avrebbe le stesse ripercussioni che avrebbe sugli altri cittadini. E’ bastato navigare sul sito della Presidenza del consiglio per trovare la dichiarazione dei redditi dell’economista. Il modulo “rw”, quello col quale si dichiara un conto all’estero, conferma:  Savona ha 1,3 milioni nella Confederazione elvetica e 546 mila di questi sono una polizza. Tria, che oltretutto è capo della Guardia di Finanza, tace.