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[L’analisi] Nello scontro totale tra Roma e Bruxelles non ha vinto nessuno. Ma solo la paura

Assai più che le sanzioni minacciate dalla Commissione Europea, in verità, a stroncare la resistenza italiana è stata l’impennata dello spread. Bruxelles invece accetta la tempistica di quota 100 e del reddito di cittadinanza. Restringere l’operazione quota 100 ad un esperimento di tre anni significa scatenare la corsa di chi non vuole perdere quel treno. Nel 2019, quota 100 vale per otto mesi, ma nel 2020 saranno dodici. Lo stesso vale per il reddito di cittadinanza, dove l’esborso aumenterà, come minimo, di un terzo nel 2020

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
[L’analisi] Nello scontro totale tra Roma e Bruxelles non ha vinto nessuno. Ma solo la paura

Nello scontro fra il governo italiano e la Commissione di Bruxelles non ha vinto nessuno e hanno perso tutti. La faccia, anzitutto, sia l’uno che l’altra. Ma anche nel concreto delle misure scelte. E’ l’armistizio fra due paure. La paura dello spread – l’attacco dei mercati finanziari riassunto nella differenza di tasso di interesse sul Bund tedesco e sull’equivalente titolo di Stato italiano – da parte di Roma. La paura di alimentare una offensiva propagandistica populista, da parte dell’Europa. Il risultato è una manovra economica italiana 2019 con troppi buchi. E un rischio molto concreto: che la Finanziaria 2019 sia un boomerang che ci ritroveremo addosso esattamente fra un anno, al momento della Finanziaria 2020. O forse anche prima, a primavera, se l’Italia piomberà in recessione.

PERCHE’ HA PERSO IL GOVERNO. Il dettaglio delle misure lo conosceremo solo nelle prossime settimane, quando usciranno i testi legislativi destinati a regolare quota 100 per le pensioni e il reddito di cittadinanza. Ma quelle che sono già evaporate sono la baldanza e l’arroganza con cui la Manovra del Popolo era stata lanciata a fine settembre, da Di Maio come da Salvini. Anziché prendere d’assalto il Palazzo della burocrazia europea, il governo gialloverde è stato costretto ad una umiliante ritirata. Assai più  che le sanzioni minacciate dalla Commissione, in verità, a stroncare la resistenza italiana è stata l’impennata dello spread, che ha eroso dall’interno le certezze e anche i numeri della Manovra del Popolo. Non ci voleva, peraltro, una palla di vetro per prevederlo ed è un segno del dilettantismo di gran parte di questo governo che non fosse stato messo in conto: il 2011, la tempesta dello spread e l’implosione di Berlusconi sono storia di ieri, neanche dell’altro ieri.

L’abbandono della trincea di un disavanzo al 2,4 per cento, per ripiegare sul 2,04 per cento è importante nella misura in cui Di Maio, e soprattutto Salvini, ne avevano fatto una sorta di totem, l’asticella su cui parametrare la forza del governo. Nei fatti, conta di più il ridimensionamento delle promesse elettorali, sulle quali Lega e 5Stelle avevano fondato la loro strategia politica.

I PALETTI. La chiave della riduzione del disavanzo è nei tempi. Sia quota 100 per le pensioni, che il reddito di cittadinanza non potranno partire, per motivi puramente tecnico-burocratici, prima di primavera. Ma, nel caso della riforma delle pensioni, il taglio di 2,7 miliardi di euro delle previsioni di spesa è il frutto di una serie di vincoli e paletti (finestre di accesso alla pensione con 62 anni di età e 38 di contributi, penalizzazioni nell’ammontare, divieto di altri redditi) specificamente volti a ridurre la platea degli interessati. In sostanza, dopo aver strombazzato a destra e a manca la fine delle regole-capestro della Fornero, il governo è oggi ufficialmente e vistosamente impegnato con tutte le sue energie a scoraggiare gli aventi diritto a mettere le mani sulle pensioni di quota 100. Non solo. L’operazione pensioni assume un carattere sperimentale, da esaurire nel giro di tre anni. La Fornero, insomma, resta lì. Della promessa di raderla al suolo non resta traccia.

Lo stesso slittamento alleggerisce anche i costi 2019 del reddito di cittadinanza. I grillini faranno l’impossibile per metterlo in pratica prima delle elezioni europee di maggio, ma i suoi contorni e i suoi confini sono tuttora vaghi e incerti e i vincoli ancora tutti da scoprire. Difficile, d’altra parte, venire a capo dei numeri. Lo stanziamento è stato ridotto a 7 miliardi di euro circa per il 2019. E’ possibile che questo 7 miliardi inglobino anche il miliardo che era stato destinato allo sviluppo dei centro per l’impiego. Nel caso, sarebbe un errore, dato che i centri per l’impiego sono la discriminante che divide il reddito di cittadinanza da un sussidio puro e semplice. Ma, anche in questo caso, i conti non tornano. Sette miliardi di euro, anche solo per 8 mesi, per i 5 milioni di persone di cui parla Di Maio fa 175 euro al mese a testa. I 780 euro della promessa originale sono ben lontani, a meno di non selezionare spietatamente per reddito, nucleo familiare, povertà relativa.

SVILUPPO E INVESTIMENTI. Credibile o meno che fosse (da mesi, ormai, non ci credeva più neanche il suo teorico, Paolo Savona) svanisce anche l’ispirazione originaria della Manovra del Popolo, che si fondava su una energica spinta allo sviluppo. L’obiettivo di una espansione all’1,5 per cento per il prossimo anno è stato quietamente riposto nel cassetto e sostituito, probabilmente, con un più verosimile 1 per cento. Può essere, però, un ulteriore esercizio di ottimismo. Molti analisti prevedono che quando, sia pure rabberciati, quota 100 e reddito di cittadinanza arriveranno a sostenere un po’ i consumi, l’Italia sarà in recessione. L’uno e l’altra, d’altra parte, sono un fuoco di paglia che non può sostenere lo sviluppo. Ma del volano degli investimenti pubblici, cabina di regia compresa, non si sente più parlare, le grandi infrastrutture restano al palo e sui bilanci delle imprese la manovra, a caccia di risorse, ha piuttosto calato la pressione del fisco, tagliando incentivi e alzando aliquote.

PERCHE’ HA PERSO LA COMMISSIONE. A Bruxelles sono maestri di trucchi contabili e non c’è governo – quelli italiani in testa – che, negli anni, non abbia attinto a piene mani nel vasto repertorio via via accumulato. Questo, di Bruxelles e della Manovra del Popolo, però, segna probabilmente un record. Il senso è: la Commissione ha voluto vedere quello che voleva vedere e non ha voluto vedere quello che non voleva vedere. 

Il trucco più vistoso per giustificare un via libera alla manovra italiana è, in realtà, difficile da scorgere per i non addetti ai lavori. Ma è una sorta di gioco delle tre carte. Riassumendo: il parametro che più interessa a Bruxelles è il disavanzo strutturale. E’, cioè, il deficit al netto della congiuntura, diverso quindi dal 2,4 per cento nominale (ora 2,04 per cento) di cui abbiamo sempre parlato. La Commissione pretende che scenda, anche di poco. La Manovra del Popolo lo aumentava, invece, in misura consistente. Ma ora, ecco il miracolo. Abbassando le previsioni di crescita dall’1,5 all’1 per cento, Roma segnala che l’economia andrà male, invece che bene. Ma se l’economia va male, lo Stato incassa naturalmente meno tasse e spende di più in sussidi. Si alza dunque la componente del disavanzo imputabile alla congiuntura e si abbassa, di conseguenza, la componente di fondo, cioè il deficit strutturale a cui guardava Bruxelles.

I MILLE BUCHI DEL FUTURO. Fin qui, però, siamo all’estetica della manovra. Più importanti due cose che la Commissione si prepara ad accettare, pur di arrivare ad una tregua con il governo italiano. La prima è prendere per buona e considerare nei conti la promessa del governo italiano di un massiccio programma di dismissioni immobiliari, per la cifra difficilmente credibile, di 18 miliardi di euro, quelli con cui il governo gialloverde sostiene di poter ridurre il debito pubblico. Tutti i governi italiani hanno promesso una cosa del genere, nessuno l’ha realizzata (del resto non è facile vendere scuole e caserme) e gli obiettivi erano molto più modesti. A meno che Salvini e Di Maio non riescano a scaricare gli immobili sulla Cassa Depositi e Prestiti, la cassaforte del risparmio postale degli italiani, non si capisce perché la Commissione possa prendere per buona la promessa di adesso.

L’altra cosa su cui la Commissione si benda gli occhi è quando accetta la tempistica di quota 100 e del reddito di cittadinanza. Restringere l’operazione quota 100 ad un esperimento di tre anni significa scatenare la corsa di chi non vuole perdere quel treno. Nel 2019, quota 100 vale per otto mesi, ma nel 2020 saranno dodici. Lo stesso vale per il reddito di cittadinanza, dove l’esborso aumenterà, come minimo, di un terzo nel 2020. Chi paga? E’ una bomba ad orologeria caricata sul 2020.

O anche prima. L’Italia rischia di infilarsi nel 2019 con una recessione che potrebbe far saltare tutte le compatibilità finanziarie, anche quelle scritte in queste ore, della manovra, tagliando le entrate e alzando le spese. Cosa faranno i mercati finanziari davanti ad un governo che affonda? Cosa succederà, fra inverno e primavera, davanti ai primi dati della congiuntura, dello spread?

Ma a maggio ci sono le elezioni europee. Il problema lo affronterà a Bruxelles la nuova Commissione. E, forse, anche un nuovo governo a Roma.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
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