Dai Cinque stelle a Azione e Italia Viva, le elezioni liguri spaccano i partiti. E Renzi e Calenda litigano
Le elezioni liguri sono apertissime, ma prima ancora che si chiudano le liste ufficiali e inizi la campagna elettorale vera e propria, la battaglia è durissima all’interno delle coalizioni
Premessa maggiore: le elezioni liguri del 27 e 28 ottobre sono certamente le più importanti fra le tre Regioni che andranno al voto questo autunno. Non per il numero di elettori, ridotto, ma perché per l’ennesima volta la Liguria è un laboratorio politico: da un lato, la candidatura “civica” del sindaco di Genova Marco Bucci voluta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo una serie di veti incrociati di una parte del centrodestra che avevano impedito la candidatura del vicesindaco di Bucci Pietro Piciocchi, che sarebbe stato il candidato più fresco e nuovo fra quelli proposti, come ben individuato dal viceministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Edoardo Rixi e dallo stesso Bucci. Dall’altro un pezzo da novanta del centrosinistra, quattro volte ministro in tre dicasteri diversi, come Andrea Orlando.
Premessa minore: le regionali liguri, storicamente, sono una sorta di Ohio italiano e hanno fatto cadere già due governi della Repubblica. Uno, quello di Massimo D’Alema, quando il primo presidente del Consiglio che proveniva dalla storia del Partito comunista italiano, forte dei sondaggi che aveva in mano, puntò tutte le sue carte sulla vittoria in Liguria nel 2000. E invece vinse un imprenditore di centrodestra, Sandro Biasotti, la cui elezione mandò a casa proprio D’Alema. E anche lo stesso Matteo Renzi, indirettamente, fece la stessa fine nel 2015 quando – per la spaccatura interna al centrosinistra per la presenza di due competitor, Raffaella Paita, candidata ufficiale appoggiata dal governatore uscente Claudio Burlando e, quello ufficioso, Luca Pastorino, candidato appoggiato da Sergio Cofferati e dalla sinistra radicale – vinse Giovanni Toti. E’ vero che, contemporaneamente, la coalizione renziana di centrosinistra espugnò la Campania grazie a Vincenzo De Luca, ma la Liguria fu l’inizio della fine di Renzi e del renzismo, poi certificato dal referendum sulla riforma costituzionale.
Sillogismo: queste sono le elezioni regionali più importanti di sempre, forse insieme a quelle dell’Emilia-Romagna del 2020, quando lo scontro fra Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni che, qualora fossero state vinte dall’esponente leghista, avrebbero cambiato probabilmente la storia recente d’Italia, con la consacrazione definitiva di Matteo Salvini che, invece, in quel momento iniziò a calare nei consensi, che erano arrivati allo straordinario risultato del 34 per cento alle Europee 2019 e poi avevano portato all’estate del Papeete e della crisi del governo gialloverde, allo psicodramma della seduta di Ferragosto e alla nascita dell’esecutivo giallorosso, dal Conte uno al Conte bis.
Mica finita, perché – come sempre e più di sempre – la Liguria sarà anche un laboratorio politico importantissimo, con grandi movimenti al centro, dove si giocano le elezioni, e una serie di scissioni in Italia Viva e Azione che gemmano liste civiche assortite da una parte e dall’altra, con anche il problema posto dal MoVimento Cinque Stelle di non avere in alcun modo i simboli renziani accanto al loro, ma al limite candidati di provenienza Italia Viva, ma “mascherati”.
E qui si apre anche un ulteriore problema che riguarda i pentastellati e il MoVimento, anzi i “due MoVimenti” perché di questo oggi bisogna parlare. Lo scontro fra Beppe Grillo e Giuseppe Conte sta assumendo proporzioni epiche e quindi, da un lato ci sono stati grandi scontri sulla lista “ufficiale”, che a un certo punto pareva potesse escludere addirittura l’unico consigliere comunale di Genova, Fabio Ceraudo, capace di portare avanti i valori originali del MoVimento.
Ma il problema è che rischia di venir giù tutto il mondo pentastellato, anche perché lo spirito originario dei Cinque Stelle è portato avanti dalla candidatura con “Uniti per la Costituzione”, lista antagonista che si richiama al grillismo originario e non maculato di centrosinistra, dell’ex presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, appoggiato anche dall’ex presidente dei senatori ex pentastellati Mattia Crucioli, fuoriclasse dialettico, che in Comune di Genova è stato eletto con più del 3,5 per cento dei voti contro il 4,4 per cento della lista “ufficiale”.
Insomma, in tutto questo si innesta la rivolta contro Renzi, che ha sempre sostenuto che Bucci fosse il miglior sindaco italiano e aveva i suoi uomini in giunta e Calenda, che stima Bucci anche se i suoi referenti locali sono all’opposizione. Ogni giorno sono addii e la scelta ligure del campo larghissimo e dell’appoggio a Orlando ha già scatenato anche alcuni abbandoni a livello nazionale: ha fatto le valigie Luigi Marattin, che di Italia Viva era uno dei fondatori. E in Azione, dopo Enrico Costa, il primo deputato a sposare il progetto di Calenda, sono pronte ad andarsene Mariastella Gelmini e Mara Carfagna.
In tutto questo, Matteo e Carlo continuano a litigare sui simboli, con lo stesso copione visto alle Europee che ha generato due liste, entrambe sconfitte a un soffio dal quorum, mentre insieme avrebbero superato il 7 per cento. Così ieri i segretari renziani, socialisti e di +Europa hanno lanciato un appello a Azione per “l' unità dei riformisti liguri”: “+Europa, Italia Viva e Psi (già insieme alle recenti elezioni europee con la Lista Stati Uniti d'Europa votata da quasi il 4% dei liguri), auspicano, lanciando un appello ad Azione Liguria e ai Civici, di unirsi in una unica lista riformista, rafforzata e caratterizzata dai simboli nazionali, rappresentativa di una costruenda ed indispensabile proposta politica nella coalizione di centrosinistra”.
Insomma, le elezioni liguri sono apertissime, ma prima ancora che si chiudano le liste ufficiali e inizi la campagna elettorale vera e propria, la battaglia è durissima all’interno delle coalizioni. Infatti, se il centrosinistra piange, il centrodestra non ride, con le macerie lasciate dalle trattative sul candidato e dagli incredibili veti, superati solo da Giorgia Meloni e dalla sua telefonata a Marco Bucci, che ha totalmente sconfessato l’operato dei suoi sherpa.
Ma se stiamo assistendo alle prove generali del campo larghissimo e del nuovo centrosinistra, l’impressione è quella di trovarci di fronte a un Prodi uno o a un Prodi bis, cioè una coalizione litigiosa, fatta di personalismi, dove si tenta di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. Scelta ottima per provare a vincere le elezioni, ma che poi rende quasi impossibile governare. Se non ci riesce Andrea Orlando - che è un fuoriclasse di quel mondo lì a cavallo fra sinistra e quel che resta dei Cinque Stelle, che in Liguria sembra davvero destinato ad essere residuale, – non ci riesce nessuno.