[L’analisi] Ecco chi ha vinto e chi ha perso nello scontro tra l’Italia e l’Europa. Ma attenti ai “giochetti”
Per dialogare con l’Europa ed evitare le sanzioni deve essere l’Italia a cedere, anzitutto, qualcosa. Ma cosa e quanto è tutto ancora da vedere. E qualche analista della finanza internazionale ha subito detto di aspettarsi “funny tricks”. Un dubbio che hanno in molti, perché i margini di manovra del governo sono piuttosto stretti

E’ il momento di Tria, Conte, Moavero, forse Giorgetti, in modo decisivo – se sono vere le indiscrezioni che lui stesso ha alimentato nei giorni scorsi – Savona, che ha deciso di giocare la sua autorevolezza sulla sponda dei moderati. Quelli che, nelle prossime settimane, ci abitueremo probabilmente a chiamare “i responsabili”, ovvero quelli che si sono battuti per evitare lo scontro con Bruxelles e preparare la ritirata del governo gialloverde sulla Manovra del Popolo e la finanziaria 2019. Ma la verità più semplice è che, per ora, sembra aver vinto, almeno nelle parole, lo spread. Ha vinto dimostrando (conti alla mano lo ha fatto nel dettaglio la Banca d’Italia, venerdì scorso) che l’aumento del costo del debito pubblico – esemplificato nella crescita della differenza degli interessi sui titoli italiani e su quelli tedeschi che chiamiamo spread – basta a svuotare le risorse che il governo vorrebbe dedicare alle sue riforme.
Una vittoria di principio
E’ una vittoria di principio. Nel momento in cui i due azionisti di controllo della maggioranza, Di Maio e Salvini, accettano di non considerare più un totem intoccabile l’obiettivo del 2,4 per cento del Pil per il deficit pubblico, riconoscono anche che la strategia economica del governo italiano non si muove nel vuoto e deve tenere conto pure degli interessi e delle richieste del resto d’Europa. Forse non per caso, la situazione l’ha riassunta in poche parole – senza citare, ovviamente, l’Italia - Mario Draghi, nel corso della periodica audizione, come presidente della Bce, al Parlamento europeo: “politiche insostenibili alla fine costringono ad aggiustamenti economici socialmente dolorosi e finanziariamente costosi che possono minare la coesione dell’Unione ed esporre l’area euro a rischi”. Quali? Il rischio fa capire Draghi che le contorsioni di una crisi italiana possano contagiare economie altrettanto deboli dell’area euro: Spagna, Portogallo, Grecia.
La vittoria dello spread serve anche ad allontanare l’ipotesi di una congiura antitaliana della grande finanza. Il problema è l’incertezza politica: lo spiraglio di trattativa sul deficit fatto intravedere dal governo Conte è stato sufficiente ad invertire la dinamica delle ultime settimane. Lo spread è tornato a 290 e anche gli altri indicatori di pericolo (il rendimento dei Btp a 10 anni e di quelli a 2 anni, favoriti dagli speculatori, l’andamento in Borsa delle fragili banche nazionali) sono tornati ai livelli di inizio mese, prima che lo scontro con la Commissione arrivasse alla scomunica del piano italiano da parte di Bruxelles.
Piano con le celebrazioni
Per chi, fin dall’inizio, ha condiviso le preoccupazioni e gli allarmi di Draghi, tuttavia, le celebrazioni si fermano qui. Dal governo gialloverde è venuto, per ora, un soprassalto di realismo: per dialogare con l’Europa ed evitare le sanzioni deve essere l’Italia a cedere, anzitutto, qualcosa. Ma cosa e quanto è tutto ancora da vedere. E qualche analista della finanza internazionale ha subito detto di aspettarsi “funny tricks”: giochetti e prese in giro. E’ un dubbio che hanno in molti, perché i margini di manovra del governo sono piuttosto stretti. Se ne è discusso ieri sera, in una prima riunione a palazzo Chigi, ufficialmente, peraltro, limitata al riesame e al coordinamento degli emendamenti alla manovra già presentati in Parlamento.
Ma a Bruxelles c’è un interlocutore imbaldanzito dal successo ottenuto nelle trattative sulla Brexit e dalla impermeabile unanimità di tutti gli altri paesi dell’area euro, pronti ad isolare un’Italia fuori dalle regole. Nei contatti, praticamente ininterrotti, fra la Commissione e il Tesoro, Bruxelles ha fatto chiaramente capire che il problema, come direbbe Salvini, non sono “i numerini”. L’Europa si aspetta una riscrittura vera e propria del Documento programmatico di bilancio. Insomma, una rivisitazione della Manovra del Popolo. In che direzione? In generale, meno spesa corrente (quella per sussidi e pensioni) e più spazio agli investimenti e agli incentivi alle imprese.
Sotto questo cappello, tuttavia, ci può stare di tutto. Tria sta provando a convincere Di Maio e Salvini a spostare 3-4 miliardi di spesa sugli investimenti pubblici, il cui impulso, quindi verrebbe raddoppiato rispetto alle previsioni precedenti. Questo, naturalmente, secondo il Tesoro, significa togliere 3-4 miliardi ai programmi di spesa. Niente affatto, si è sentito rispondere, questi soldi destinati al risanamento idrogeologico e alle infrastrutture potrebbero essere considerati indispensabili ed urgenti, come quelli per Genova, ed essere esclusi dal calcolo del deficit. In buona sostanza, i saldi della manovra (con 22 miliardi di spesa in disavanzo ad aumentare il debito pubblico) resterebbero uguali, ma nei conti con Bruxelles non si vedrebbe.
Il ricorso alla flessibilità
E’ assai dubbio che la Commissione accetti un ennesimo ricorso italiano così ampio alla flessibilità contabile. Ma è anche più dubbio che accetti l’alternativa di cui si è discusso ieri e che è - anche più del capitolo investimenti -puramente contabile. Il castello di misure disegnato dalla manovra 2019, infatti, ha tempi di attuazione tutt’altro che serrati. I soldi per gli investimenti verranno materialmente spesi (purtroppo, dati i ritardi della burocrazia) chissà quando. Ma anche il reddito di cittadinanza e la controriforma delle pensioni (i due provvedimenti meno graditi a Bruxelles) sono per ora solo dei titoli su dossier vuoti. Le leggi che ne specificheranno le caratteristiche arriveranno solo a gennaio. I provvedimenti entreranno in vigore a inizio primavera e i primi soldi verranno spesi solo più avanti. Basta questo slittamento di pochi mesi a tenere nelle casse del Tesoro 3-4 miliardi di euro e contenere il deficit 2019 al 2,2 per cento.
Il problema è che il rinvio significa spostare al 2020 la bomba della spesa in più per sussidi e pensioni, caricando l’anno successivo di un gravame insostenibile, anche perché si somma al ripresentarsi dello spettro di un aumento dell’Iva, il quale, solo per essere scongiurato, una volta di più, nel 2020, come negli anni precedenti, reclama più di 12 miliardi di euro. Un po’ come caricare una molla destinata a schiantarsi sui conti del 2020.