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[Il commento] Savona ministro non è un pericolo per l'Europa, anzi potrebbe contribuire a salvarla

L'economista ed ex ministro potrebbe essere la figura giusta necessaria a trasformare l'Europa della finanza in Europa dei popoli. Prevedere l'uscita dall'euro per lui è solo l'ultima, necessaria, chance

Ignazio Dessìdi Ignazio Dessì   
Paolo Savona
Paolo Savona

E’ tempo di tensioni, coltelli e veleni, in cui si muovono poteri e interessi, insorgono lobby, si agitano tifoserie più consone al calcio che alla sana politica e l’interesse generale viene spesso sacrificato alla logica spietata del tornaconto di parte. Si passano i personaggi più esposti ai raggi x e, al minimo peccato rintracciato, si scaraventano nel tritacarne mediatico. Qualcosa, ogni tanto, suona tuttavia particolarmente strana, come l’accanimento verso un nome come quello dell’economista Paolo Savona. Si può non condividere l’orientamento dell’ex ministro di Ciampi che – dicono – piacerebbe molto a Salvini e Di Maio, ma una cosa è certa: difficile dipingerlo come un pericolo per l’integrità europea. Meno ancora come figura non adatta al compito: basta scorrere con gli occhi un suo curriculum per rendersene conto.

Ex direttore dell’Ufficio studi di Confindustria, docente di Politica economica all’università di Cagliari e alla Pro Deo (la Luiss), ex direttore generale dell’Associazione degli industriali, ex ministro dell’Industria nel governo Ciampi, e perfino collaboratore  per lungo tempo di Guido Carli in Bankitalia, lo stesso uomo che mise la firma sul trattato di Maastricht in qualità di ministro del Tesoro.

Si capisce subito che c’è qualcosa che non quadra, e stride col tentativo di marchiarlo frettolosamente come Euroscettico impenitente e pericoloso nemico dell’Europa. Il suo nome, insomma, non dovrebbe diffondere panico improvviso negli ambienti unionisti e neppure al Quirinale. Semplicistico definirlo nemico delle magnifiche sorti e progressive d’Europa. Il discorso su Savona è molto più complesso, e forse sarebbe utile rifletterci un po’ sopra, almeno per non finire soffocati dai nostri stessi rigurgiti di stomaco, fregati da sindrome da tifoseria o da partito preso.

Le posizioni 

Le sue posizioni dovrebbero incontrare, a ben vedere, l’attenzione di tutti coloro che sognano in Italia una Europa diversa, migliore da quella attuale. In pratica, almeno a parole, quasi tutto l’arco costituzionale del nostro Paese. Allora perché quella levata di scudi?

Come si può evincere da una intervista rilasciata in tempi non sospetti a Tiscali.it Paolo Savona ha sempre parlato di una Europa “che funziona male. I cui meccanismi esistenti avvantaggiano alcuni paesi, Germania in testa, e penalizzano altri tra cui l’Italia”. Aggiungendo: “Io non penso che dobbiamo uscire dall’euro, penso però che se non si correggono i difetti dell’Eurozona allora dobbiamo essere pronti ad abbandonare la moneta unica perché se non lo facessimo l’Italia andrebbe incontro ad un degrado progressivo dell’economia analogo a quello della Grecia. Per il nostro bene dobbiamo perciò essere pronti ad avere un piano B che preveda, appunto, l’uscita dell’euro, basato su nuove alleanze internazionali e su una nuova politica di gestione del debito pubblico”. Ma questa è una teorizzazione sovversiva da sconsiderato sfasciacarrozze, o piuttosto la visione consapevole di un esperto che ha a cuore il bene del Paese?

Unione europea

Ingresso prematuro in Europa

Dire che l’ingresso nell’euro da parte dell’Italia era prematuro - come Savona sostiene - non significa automaticamente volere lo sfascio della Ue, bensì affermare che ci sono dei limiti ed è opportuno tenersi pronti a qualsiasi evenienza. Avere a cuore la tutela degli interessi dell’Italia e dei suoi cittadini. Scongiurare persino la necessità di dover uscire comunque, ma disordinatamente, dalla unione monetaria, qualora, volenti o nolenti, se ne concretizzasse l’eventualità. Allora perché tante spie rosse accese dai poteri forti, interni ed esterni, a proposito della possibile designazione del sardo a ministro dell’Economia? Si vuole un’Europa giusta o un’Europa asservita a certi potentati finanziari fortemente interessati? Perfino disposta a sollevare emergenze sociali pur di non rivedere i suoi errori?

Il gradimento dell’economista (molto noto negli ambienti internazionali) da parte dei titolari del contratto M5S-Lega può spiegarsi in particolare proprio riguardo alla teorizzazione della necessità di ridiscussione dei trattati, cosa per cui si sono detti disponibili quasi tutti i partiti italiani, a partire dal Pd.

Ritrattare i trattati

Del resto per definizione questi possono essere appunto ri-trattati, cosa che Savona ha sempre ritenuto opportuna, fin da quando ne parlava con il suo maestro Guido Carli. A lui pare abbia espresso perplessità su certe regole europee ritenute arbitrarie. Obiezioni riassunte nel libro del 1996 “L’Europa dai piedi d’argilla”, e ribadite in “Quando a Carli tremò la mano” scritto insieme a Paolo Panerai. Fu Panerai a raccontare come Carli avesse confidato che all’atto della firma del trattato gli tremava la mano, aggiungendo inoltre: “Ritenevo necessario far entrare l’Italia nel vertice dell’Europa, ma sapevo anche che l’Italia non è pronta”. Riflessioni approfondite da Savona nell’ultima pubblicazione in uscita (Come un incubo, come un sogno) dove osserva: “L’euro? E’ una gabbia tedesca. La Germania ha sostituito la volontà di potenza militare con quella economica. L’Ue è viziata da una innata ingiustizia”.

E allora? Savona anti-europeista o persona consapevole, coraggiosa e con i piedi per terra? La Ue continua a chiedere giustamente all’Italia di riformarsi, ma non dovrebbe essere anche la UE a riformarsi assumendo un volto più equo, meno finanziario, più politico e al servizio dei cittadini? Di quelli di tutta la comunità e non solo di alcuni?

Volere il miglioramento della Ue non è volerla distruggere

A volerla vedere sotto un certo aspetto la posizione del discusso ministro  è la più europeista delle posizioni, perché pone il problema di come rendere l’Europa più equa e dunque assicurarne la sopravvivenza. Questo probabilmente intende dire l'interessato quando spiega di non sentire sua l’etichetta di antieuropeista che qualcuno gli ha frettolosamente cucito addosso. “Sono per l’Europa unita – ha dichiarato sui giornali qualche tempo fa - per ciò non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles. Le difficoltà dell’Ue sono colpa delle élite che la guidano: dicono di interessarsi del popolo ma si occupano solo di loro stesse”.

Il professore non predica insomma l’annientamento della UE ma il suo miglioramento. Ingiusto buttare immeritate croci sulle sue spalle, solo perchè proposto nell'esecutivo da determinate forze politiche. Viene il sospetto che riconoscerne i meriti significherebbe per le élite, interne ed estere, convenire di aver sbagliato nell’iter di costruzione dell’Europa Unita. Avere il coraggio di ammettere che è giusto, per il bene collettivo, lasciarsi perfino delle vie d’uscita, proprio nella consapevolezza della possibile insostenibilità dei limiti e delle ingiustizie di un sistema monetario imposto dall'alto in maniera affrettata, che semina vantaggi per pochi e povertà per gli altri. E’ sovversivo tutto questo? Non dovrebbe risultare contro l’interesse del Paese confessare, come fa Savona, di temere “il lento degrado più del forte choc negativo, perché l’euro ha portato più svantaggi che vantaggi a tutto il Continente”. Il suo potrebbe suonare addirittura come il grido d’allarme di chi non vuole che tutto imploda e si pone il problema di salvaguardare in primo luogo i popoli.

Eppure, nei palazzi di Bruxelles c'è chi vede come un pericolo le osservazioni accademiche del professore, ma pericolo per chi? Per i cittadini o per altri? Forse perché nel 2010 l’ex ministro scrisse: “Si fa finta che il problema non esista, ma il cappio europeo si va stringendo attorno al collo dell’Italia”.

L'extrema ratio

Per il professore insomma occorre valutare cosa stia accadendo e prendere le giuste decisioni. E tra le riflessioni da fare esiste anche quella “sull’opportunità di restare nella Ue o nella sola euro zona, come ha fatto del resto il Regno Unito, gestendo autonomamente tassi di interesse, creazione monetaria e rapporti di cambio”. Riflessione da porre con cognizione di causa, in maniera scientifica e asettica. Quale extrema ratio.

Senza nulla affidare al capriccio, nella convinzione che “seguire l’esperienza britannica”, comporterebbe sicuramente per il nostro Paese una “grave crisi di adattamento”.

Savona ha comunque sempre auspicato un governo capace di cambiare le cose in Europa, attraverso la creazione di alleanze con altri stati, in modo da determinare decisioni che nessuno può ottenere da solo. Nella consapevolezza che la permanenza in una UE sbagliata, può costare cara al Paese e agli italiani. In una lettera recente su un importante quotidiano economico l'ex ministro all'Industria denunciava il pericolo di trovarci “di fronte al dilemma di sottostare alla volontà europea di un’ulteriore perdita della sovranità fiscale in cambio di un’assistenza finanziaria (come accaduto alla Grecia) che comporterà una tassazione massiccia e tagli oltremodo dolorosi per rientrare a tutti i costi nei  parametri di bilancio”. Questi sacrifici mastodontici potrebbero determinare una caduta del PIL, aggravi pesanti sul mercato del lavoro, senza benefici per altro – come già accade – sul debito pubblico. “La conseguenza potrebbe essere allora l'instabilità sociale”, osservava a questo proposito.

Professor Savona

Mattarella allora deve preoccuparsi di creare condizioni e scegliere persone per tutelare il futuro Europeo, ma certamente l’ex direttore del Servizio Studi della Banca d’Italia, non incarna il pericolo che molti agitano. Semmai rappresenta la sintesi di quanto la stragrande maggioranza degli europei auspicano e gli italiani chiedono. Gli elettori hanno infatti richiesto col voto di marzo di imboccare la strada del cambiamento anche rispetto alla Unione degli stati d'Europa esistente.

Piano A e piano B

Il piano A di Savona per rimanere in Europa richiede allora l’elasticità  per poter affrontare, per esempio, investimenti interni e avviare crescita e sviluppo, per introdurre un sostegno al reddito, rivedere le pensioni e abbassare le tasse alle persone e alle imprese. Quello B rappresenta l’uscita d’emergenza, quella da utilizzare come ultima chance se le cose diventeranno insostenibili.

C’è poco di pericoloso nelle sue posizioni. E’ pericoloso forse porsi il problema di cosa sia bene per l’Italia e i suoi cittadini? Meglio soggiacere, magari in posizioni poco dignitose, alle voluttà dei potentati tedeschi, europei o comunque internazionali, e della speculazione? Altrimenti si dica chiaramente che si vuole in quel ruolo un uomo di fiducia dei poteri finanziari.

Una garanzia

A ben riflettere Savona, con la sua razionalità, la sua esperienza, capacità critica e onestà intellettuale, è la migliore garanzia proprio per far sì che l’Unione non salti in aria. Forse ha ragione Toti, governatore ligure di FI con simpatie leghiste, quando parla di un “governo non particolarmente europeista” in cui Savona sarebbe però un “nome piuttosto noto alle cronache dell'economia con il curriculum adatto a fare il ministro". Anche perché “l'Europa è la meno titolata a criticare. Gli errori veri sono stati fatti a Bruxelles, e se oggi i movimenti anti europei hanno tanto piglio nel Continente la prima domanda che dovrebbero porsi i 'parrucconi di bruxelles' è proprio questa: dove abbiamo sbagliato?".

Sembrerà dunque paradossale ma Savona potrebbe essere il miglior candidato possibile, proprio per assicurare il giusto connubio tra esigenze di cambiamento e di rafforzamento di un’Europa sbagliata. Una garanzia per tutti: per i partiti che lo vogliono ministro, per il Quirinale e per la Ue. Il presupposto per garantire l'esistenza dell'Unione, attraverso la coscienziosa modifica dei trattati. Per cambiare l’ Europa che piace alla finanza in una Europa che piaccia ai popoli.

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