[Il retroscena] “Con Di Maio lavoro bene, ma…”. Salvini rimette in piedi il centrodestra e minaccia il voto
Dopo 4 mesi di grande freddo, il segretario della Lega e la presidente di Fdi tornano a pranzo a casa del Cavaliere: “Correremo insieme alle elezioni, il modello del centrodestra è vincente”. Azzurri e Fratelli d’Italia offrono una mano al vicepremier a far passare provvedimenti “coerenti” col programma presentato a marzo e danno il via libera a Foa per la Rai. Accordo sui candidati governatori; in Sardegna correrà un leghista, in Piemonte un forzista. Quando Berlusconi chiede “Come ti trovi col leader M5S”, il vicepremier risponde così: “Ci lavoro bene, anche se hanno molti problemi interni e non sono sempre affidabili”
Che Silvio Berlusconi avesse in mente di fare le cose per bene lo si era capito quando il cuoco di Palazzo Grazioli ha illustrato il menù del pranzo. Non le “solite” permette tricolore così amate dal padrone di casa e nemmeno le pizzette da spiluccare, ma timballo di melanzane, brasato alla piemontese e un mega babà, il dolce delle grandi occasioni. Sarà stato forse quello l’ingrediente che ha addolcito Matteo Salvini, ha placato Giorgia Meloni, fatto sbollire la rabbia al Cavaliere e rimesso in campo il centrodestra. Dopo quattro mesi di black out con la Lega al governo, Fdi così così e Fi all’opposizione, i tre leader si erano dati appuntamento per discutere di elezioni regionali, ma l’accordo è andato ben oltre le attese. “Sono convinto che il centrodestra unito tornerà presto al governo”, ha pronosticato l’ex premier che, cosa che non da faceva da quasi un anno, si è addirittura concesso generosamente alla stampa e alle telecamere. L’incontro è durato quattro ore, durante le quali il segretario del Carroccio si è assentato per raggiungere i suoi esperti economici per poi riaffacciarsi alla fine per scrivere un comunicato stampa congiunto finale.
Cosa è successo tra una pietanza e l'altra
Quattro ore per parlare di candidati governatori, di economia e anche delle impressioni del vicepremier sui suoi compagni di avventura. “Ma come va con Luigi Di Maio, ce la fai a stare con loro?”, gli ha chiesto, curioso, il leader azzurro. “Con Di Maio vado d’accordo, in realtà. Hanno un sacco di problemi al loro interno e spesso sono poco affidabili, ma voglio rispettare il Contratto e, come sai, non c’erano alternative”, ha risposto il “Capitano”. Senza minimamente nascondere le sue perplessità, il leader degli azzurri assicura di avere “offerto una mano” per orientare l’azione del governo verso “misure che sono giuste per il Paese e che erano nel programma di centrodestra”, soprattutto in campo economico. E’ stato questo il tema principale del summit. “Non hanno fatto nulla per la ripresa del Paese”, dirà il Cavaliere più tardi, parlando coi cronisti, mentre Giorgia Meloni ha individuato tra le cose da fare la flat tax e tra quelle da evitare l’aumento dell’Iva, un’ipotesi a cui pure i Cinquestelle non hanno ancora rinunciato del tutto. Sta di fatto che, a dimostrazione di avere preso sul serio le considerazioni dei vecchi alleati, appena uscito dall’incontro, il segretario leghista ha incontrato gli esperti economici del suo partito per riportare le osservazioni registrate durante il vertice di Palazzo Grazioli.
Il peso dei "vice"
Non solo economia, però. Attorno al tavolo è stato dato il via libera finale al voto unanime di Marcello Foa a presidente della Rai da parte del centrodestra e si sarebbero anche fatti alcuni nomi per le direzioni dei tg e delle testate più importanti. Sono stati soprattutto i tre vice, presenti pure loro al vertice, a gestire e chiudere invece la pratica-Regionali. Giancarlo Giorgetti, Antonio Tajani e Ignazio La Russa hanno siglato un patto di massima che prevede la presentazione di candidati di coalizione dappertutto, con un front man forzista in Piemonte - dove oggi governa il centrosinistra con Sergio Chiamparino - e uno leghista in Sardegna, dove Salvini ha stretto alleanze con gli autonomisti e sulla quale aveva qualche ambizione anche il partito dell’ex premier. Leghista è anche Maurizio Fugatti, già in corsa per la Provincia di Trento, dove si scontrerà con un “pezzo grosso” - in tutti i sensi - del Pd come Giorgio Tonini. Ai Fratelli d’Italia è stato promesso l'Abruzzo, dove invece sembrava in corsa finora il segretario regionale della Lega, mentre in Basilicata, dove il centrodestra ha buone chance di farcela, i tre candideranno un “civico” già individuato da Forza Italia. “Nel solco di un’esperienza consolidata, premiata dai risultati del buongoverno in tutte le realtà che amministra, il Centro-destra ribadisce e rilancia con l’incontro di oggi la sua natura di coalizione politica unita da valori comuni”, scrivono in una nota congiunta i tre al termine del confronto, assicurando che ”Il Centrodestra si presenterà unito a tutte le prossime competizioni elettorali a partire dalle elezioni regionali”.
Il centrodestra risuscitato
Certo, le cose possono cambiare in fretta, ma quello che è certo è che quel clima di ostilità che, nelle settimane scorse, aveva fatto dire a più riprese a molti, come Giorgia Meloni, che “il centrodestra come lo abbiamo conosciuto non esiste più”, sembra essersi rotto. In caso di elezioni anticipate, ora c’è un progetto che - almeno sulla carta - è più forte e completo di quello dei Cinquestelle e che ha tutta l’aria di essere alternativo all’attuale quadro politico. Salvini ha armato il fucile; non è detto che spari, ma intanto lo ha messo sul tavolo. E gli alleati di governo? “Se non realizziamo le promesse, meglio andare a casa”, ripete in questi giorni Di Maio. Alle reazioni nervose dei Cinquestelle, dove molti si sentono traditi e cominciano a sospettare che la Lega abbia deciso di staccare la spina prima ancora di chiudere la legge di Bilancio scaricando la responsabilità su di loro, ha provato a rispondere con toni distensivi Giorgetti. '”Governeremo insieme per cinque anni”, ha detto. Intanto alcune “fonti” precisavano che l’accordo con Fi e Fdi per ora riguarda soltanto le Regionali, che per il resto c’è tempo. Sarebbe piuttosto ingenuo, però, ignorare che la notizia della ricomposizione del centrodestra come “coalizione politica unita da valori comuni” non debba avere qualche importante riflesso sull’altra “coalizione”, quella su cui si regge “il governo del cambiamento”, nel quale Di Maio e i suoi sanno benissimo che ora rischiano, dopo avere preso il 32% dei voti a marzo, di ridursi a fare la parte dei comprimari.