[L'analisi] L'appestato dei Cinque Stelle e Salvini Ponzio Pilato. Cosi i nuovi potenti si liberano dello scandalo
Colpisce questa pioggia di soldi che bagna una politica arida, alla ricerca della sopravvivenza. I vecchi partiti sono morti, si sono suicidati e i nuovi potenti della economia pagano il dazio comunque
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"Chi sbaglia paga". Ha una faccia tosta il segretario della Lega, Matteo Salvini. Ma come, i protagonisti di Roma ladrona sono loro, gli amici del Carroccio, e Salvini che fa? Fa Ponzio Pilato. Prima giura che Luca Parnasi l’imprenditore corruttore è una persona perbene, poi se ne lava le mani.
Nel secolo scorso, Umberto Bossi, Roberto Maroni, Gianfranco Miglio, Roberto Caldaroli, i leader di una Lega che si candidava a rappresentare una Italia del Nord che voleva essere indipendente da "Roma Ladrona", mal avrebbero sopportato queste cene romane per spartirsi il potere. "Roma ladrona" provate a sussurrarla ai nuovi potenti di turno. Ai leghisti che ora non sono più nordisti e ai Cinque Stelle travolti dai nuovi tormenti e sensi di colpa.
Ricordate quando al primo giorno della sindaca Raggi gli occhi puntati sulla Capitale erano impietosi e qualsiasi banalità diventava una bestemmia politica gravissima? E i grillini si difendevano parlando di poteri forti e complotti. Oggi, travolti dallo scandalo del nuovo Stadio della Capitale negano persino di essere stati allo stesso tavolo dell’appestato, il costruttore Luca Parnasi, quando le intercettazioni della Procura di Giuseppe Pignatone raccontano un’altra storia. E scaricano il loro favorito, Luca Lanzalone, premiato con la presidenza dell’Acea è finito nel buco nero di questa inchiesta romana che parla di corruzione.
Da una parte il rimpianto è forte, perché negarlo? Solo se tutto questo, che di marcio e corrotto, sta emergendo a Roma fosse accaduto vent’anni fa, altro che monetine al Raphael contro il povero Bettino Craxi. E già, perché vista con le lenti di oggi anche la storia di Mani pulite andrebbe riscritta. Persino - paradossalmente - Silvio Berlusconi oggi appare un moderato di fronte ai demolitori della Repubblica italiana, i nuovi inquilini di Palazzo Chigi.
C’è qualcosa che si è rotto. Quando esplode l’odio, il rancore, l’indifferenza e l’incomunicabilità tra pezzi della società e parti della politica, è tutto questo evidentemente covava da tempo sotto la cenere, i fragili equilibri della democrazia rischiano di saltare, e i primi scricchiolii già si sentono. Colpisce la storia del nuovo stadio romano perché racconta che la politica ha sì perso un certo appeal nei confronti della opinione pubblica, sempre alla ricerca di nuovi leader e nuovi programmi (proviamo a leggere così il successo dei grillini e dei leghisti), ma in realtà mantiene intatta la sua forza attrattiva. Cioè le riconoscono, pur essendo debole, la forza del potere.
La politica è potere e i nuovi corsari dell’imprenditoria, i nuovi corruttori palazzinari, i pescecani degli appalti pubblici sanno che per vincere devono avere rapporti con la politica. Con i nuovi potenti di turno. Anzi, con tutti.
Le carte della inchiesta romana raccontano di finanziamenti alla Lega, al Ld, a Forza Italia. Luca Parnasi è amico di tutti anche se strizza l’occhiolino alla Lega di Matteo Salvini. Probabilmente questi finanziamenti sono regolari. Ma colpisce questa pioggia di soldi che bagna una politica arida, alla ricerca della sopravvivenza. I vecchi partiti sono morti, si sono suicidati e i nuovi potenti della economia pagano il dazio comunque.
In Calabria succede spesso che i politici vadano a cercare i boss in tempo di elezioni per chiedere voti. O gli stessi imprenditori chiedano ai boss di poter pagare il pizzo per essere tranquilli. Oggi questo modello è diventato anche romano. I politici, tutti, si sentono deboli e fragili. Ma i nuovi potenti pensano di avere il dono della impunità. Hanno dalla loro un consenso popolare che fa paura.