[L’analisi] Tav, pensioni d’oro e decreto Dignità. Salvini cede su tutto tranne che sui migranti e alla fine comanda Di Maio
Salvini rischia di pagare la sua esposizione sull’immigrazione, il braccio di ferro sugli sbarchi e sull’Europa, avendo ormai deciso di cedere su tutto il resto, convinto che questo da solo basti a grantirgli il successo. Ma con l’autunno fatalmente l’agenda si sposterà sull’economia. E il rischio, come sottolinea il Sole24ore, è che «quei consensi con la velocità con cui sono arrivati possano altrettanto rapidamente perdersi, se gli impegni di impronta leghista verranno meno».
In pochi mesi, molte cose sono cambiate nel governo del cambiamento. Se all’inizio la figura centrale e dominante era, a detta di tutti gli osservatori, quella del Capitano della Lega Matteo Salvini, con il blocco dei porti e la voce dura sulla questione degli immigrati, adesso è Luigi Di Maio che sembra aver preso posto nella cabina di comando. Il leader dei Cinque Stelle ha cominciato con i vitalizi, poi è arrivato il decreto Dignità e lo show sull’Air Force Renzi, e da lì a seguire tutta una serie di presa di posizioni, dalla Tav alle pensioni d’oro, che l’hanno messo nettamente al centro dell’esecutivo. Persino sulla scabrosa vicenda della Diciotti, dopo l’indagine giudiziaria, la telefonata del Presidente Mattarella e le proteste di Fico, il vicepremier pentastellato ha subito messo la freccia del sorpasso e ha aperto il fronte con l’Ue, minacciando di non versare i contributi come forma di protesta verso Bruxelles, questione spinosissima perché quei contributi sono vincolati per legge, come ha ricordato il ministro degli Esteri Enzo Moavero, e contravvenire all’obbligo significherebbe essere condannati a pagare dolorosissime sanzioni, oltre a perdere miliardi in entrata dall’Unione Europea. Anche in questo caso, alla fine Salvini pare essersi quasi accodato, pur se non del tutto convinto: «Magari li boicottiamo o non versiamo soltanto una parte dei fondi», avrebbe detto.
Salvini punta tutto sugli immigrati
L’impressione è che il Capitano leghista abbia scelto di puntare tutto sul no duro agli immigrati, sull’aspetto emotivo e non economico del consenso, ritenendo di più difficile attuazione le altre parti del suo programma. Certo, per ora è solo una sensazione. Ma resta il fatto che dal Decreto Dignità in poi, le parole d’ordine del governo sono diventate quelle di Di Maio, sollevando le critiche e la protesta di una parte rilevante, pur se non maggioritaria, dello storico bacino elettorale della Lega, visto che guarda caso il primo a polemizzare era stato proprio Matteo Zoppas, presidente di Confindustria veneto: «Forse nel breve termnione questo decreto potrà portare altro consenso al governo. Temo però che col passare del tempo i cittadini si renderanno conto degli effetti, mano a mano che le aziende salteranno per aria e molti perderanno lavoro».
Per adesso Salvini continua ad andar diritto per la sua strada, in una coabitazione di disagi nascosti con Di Maio, che pochi giorni fa ha pure minacciato di rivedere le concessioni tv, con grande turbamento del vecchio (ex?) alleato Berlusconi. Sul fronte economico, poi, la subalternità sembra farsi sempre più evidente: mentre il leader dei Cinque Stelle ha ormai pressoché ottenuto di inserire il reddito di cittadinanza nella legge di bilancio, la flat tax leghista sarà molto annacquata, rivolta solo ad aziende e partite Iva. Salvini ha dimostrato di essere un politico avveduto. Ma è giusta questa sua scelta? Ne vale davvero la pena? Dal punto di vista tattico sì, come dimostrano tutti i sondaggi, i voti raddoppiati e la conquista delle roccaforti storiche della sinistra in Toscana. I dubbi riguardano l’aspetto strategico. Perché quella che adesso sembra solo una forma di protesta, potrebbe trasformarsi nello scollamento di quei ceti produttivi del Nord, che hanno sempre rappresentato la base più importante del suo bacino elettorale.
Il nocciolo della questione per Di Maio e Salvini è proprio questo: come si fa a mantenere il consenso?. Le manovre economiche molte volte si indentificano con questo aspetto, essendo la scelta politica che più di tutte misura il rapporto con l’elettorato, che non è fatto solo di condivisione emotiva, ma anche, soprattutto, di rappresentanza di interessi. Il tema possiamo dire che riguarda più Salvini: lui dal 4 marzo ha quasi raddoppiato i suoi voti. Ma rischia di pagare la sua esposizione sull’immigrazione, il braccio di ferro sugli sbarchi e sull’Europa, avendo ormai deciso di cedere su tutto il resto, convinto che questo da solo basti a grantirgli il successo. Ma con l’autunno fatalmente l’agenda si sposterà sull’economia.
E il rischio, come sottolinea il Sole24ore, è che «quei consensi con la velocità con cui sono arrivati possano altrettanto rapidamente perdersi, se gli impegni di impronta leghista verranno meno». Di Maio ha già affidato ai suoi relatori la missione di trovare risorse attraverso il taglio delle pensioni d’oro per il reddito di cittadinanza. Salvini, invece, pare molto più blando sulle sue riforme, mentre continua ad essere pressato da una parte del suo bacino elettorale del Nord per il decreto dignità e per il braccio di ferro dei 5 Stelle sull’Ilva o sulla Tav e Tap. «Frenate», sottolinea il Sole24ore, «che sono guardate con diffidenza da quel mondo produttivo che invece vorrebbe una Lega in grado di azzerare la cultura dei veti sulle infrastrutture ed i sospetti verso l’impresa». Se fino ad oggi, il Capitano della Lega ha sempre dimostrato di non aver mai sbagliato una mossa, il difficile arriva adesso. Fino a che punto potrà davvero tradire la sua originaria base elettorale?