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Gli scheletri nell'armadio di Armando Siri, il guru della flat tax di Salvini

Siri ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta: tre anni e mezzo fa un giudice ha accolto l’accordo tra accusa e difesa per il fallimento della MediaItalia

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Armando Siri con Matteo Salvini
Armando Siri con Matteo Salvini

Matteo Salvini probabilmente aveva già ritagliato per lui un bel ministero economico. Chissà se dopo l'articolo dell’Espresso, Armando Siri, 46 anni, eletto al Senato, ideologo della flat tax, resterà nel cerchio magico dell'ex leader nordista. Siri ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta: 3 anni e mezzo fa un giudice ha accolto l’accordo tra accusa e difesa per il fallimento della MediaItalia, società che avrebbe lasciato debiti per oltre 1 milione di euro. Responsabile della “Scuola di formazione politica” della Lega, autore di saggi politico-economici come “La Beffa” e “Il Sacco all’Italia”, in pochi anni Siri era diventato – ha spiegato il settimanale - uno dei fedelissimi di Salvini. Che infatti gli ha garantito un posto da senatore piazzandolo in cima alla lista dei candidati nell’Emilia appena conquistata dal Carroccio.

Salvini gli ha affidato anche il compito di stringere relazioni con aziende, banche e governi stranieri. È l’ex giornalista di Mediaset che ha organizzato nel gennaio scorso un viaggio a New York in cui “il capitano” avrebbe dovuto incontrare esponenti dell’amministrazione Trump. Ed è sempre Mister flat tax ad aver tenuto conferenze finanziarie come quella organizzata a Londra da Mediobanca nel dicembre di due anni fa, o ad aver pianificato riunioni tra il segretario leghista e i rappresentanti diplomatici della Russia in Italia. Una ricerca di agganci a Oriente che interessa molti imprenditori nostrani alle prese con le sanzioni imposte a Mosca. Tanto che sempre Siri, come risulta all’Espresso, sarebbe riuscito a organizzare un incontro con Luigi Cremonini, proprietario dell’omonima azienda che in Russia ha realizzato investimenti milionari.

Lo scheletro nell’armadio c’è.  “La MediaItalia – ha scritto ancora Espresso - nasce a Milano nel 2002 per iniziativa di Siri e di due soci di minoranza, Ciro Pesce e Fabrizio Milan. Si occupa di produrre contenuti editoriali per media e aziende, tanto da diventare poco dopo responsabile della produzione del giornale di bordo della Airone, la compagnia aerea creata dall’imprenditore Carlo Toto. Gli affari vanno bene, il fatturato cresce di continuo. Ma a salire vertiginosamente sono anche i debiti, che nel 2005 superano il milione di euro”. E da quel momento che le cose non girano più come dovrebbero. Siri e soci trasferiscono tutto il patrimonio da MediaItalia a un’altra azienda, la Mafea Comunication, che in cambio non paga nemmeno un euro. Meno di un anno dopo Siri chiude MediaItalia e nomina come liquidatrice Maria Nancy Marte Miniel, una immigrata di Santo Domingo, titolare di un negozio di parrucche e toupet. Un testa di legno, secondo il giudici, che infatti non ha un euro.

Così i debiti restano in sospeso. “E così - ha sostenuto l’Espresso - a rimanere con il cerino in mano sono i creditori della MediaItalia: fornitori, banche e lo Stato italiano”. Insomma, se Siri diventa ministro, qualche incompatibilità le opposizioni la potrebbero contestare.  La sentenza del tribunale di Milano è netta: l’ideologo i suoi soci, Fabrizio Milan e Andrea Iannuzzi, hanno provocato il fallimento della società ... omettendo di pagare alle amministrazioni dello Stato 162 mila euro tra tasse e contributi previdenziali. Avevano pure tentato di rendere la vita difficile agli inquirenti spostando nel Delaware, paradiso fiscale statunitense, la sede legale e i libri contabili della Mafea Comunication, l’azienda a cui erano stati trasferiti gli asset della MediaItalia. Una strategia - hanno ricostruito le indagini giudiziarie - architettata insieme al gruppo di commercialisti a cui si erano rivolti Siri e compagni”. Ci sono varie questioni che potrebbero intralciare l’ideologo: altre due società italiane in cui il guru economico di Salvini ha avuto ruoli di spicco (socio di maggioranza e amministratore unico) hanno infatti trasferito la sede legale nella piazza offshore a stelle e strisce. È successo negli stessi anni in cui la MediaItalia andava a picco. Le aziende sono Top Fly Edizioni e Metropolitan Coffee and Food. Di sicuro colpisce un particolare. Top Fly Edizioni, Metropolitan Coffee and Food e Mafea Comunication hanno sede allo stesso indirizzo: Barksdale Road, civico 113, comune di Newark.

C’è poi un’altra questione che potrebbe imbarazzare il consigliere economico di Salvini. Uno degli uomini che ha fondato insieme a lui la Top Fly Edizioni - presente insieme a Siri nell’azionariato dell’impresa fino alla cessione di tutte le quote alla testa di legno dominicana Marte Miniel - è Luigi Patimo, responsabile del mercato italiano per il gruppo Acciona, colosso spagnolo delle infrastrutture che in Italia porta l’acqua nelle case di 2,5 milioni di famiglie. Ebbene, un anno e mezzo fa Patimo è stato indagato dall’antimafia di Reggio Calabria insieme a Marcello Cammera, responsabile dei lavori pubblici nel municipio dello Stretto, oggi imputato per concorso esterno alla ’ndrangheta nel processo Gotha. Nel dibattimento che vede alla sbarra la zona grigia della mafia calabrese, impastata di massoneria e colletti bianchi, Patimo non è imputato, ma il filone che lo riguarda resta ancora aperto. Secondo i pubblici ministeri, che si sono avvalsi della collaborazione del nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio, il manager della multinazionale iberica è coinvolto in un caso di corruzione: avrebbe promesso al dirigente comunale in odore di clan (Cammera) assunzioni e consulenze. Storiaccia intricata, nella Calabria di oggi in cui la Lega ha collezionato un risultato che nessun padano avrebbe mai immaginato. No comment.  

 

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