Saltano gli accordi di maggioranza dopo il faccia a faccia Meloni-Berlusconi. Le dirette video da Camera e Senato

Era stato raggiunto l’accordo su La Russa al Senato e Molinari alla Camera. Ma l’incontro ieri pomeriggio a Villa Grande, residenza romana dal Cavaliere, ha mandato tutto all’aria. Troppi i desiderata di entrambi i soci di maggioranza. E Meloni ha sbattuto la porta

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni (Foto Ansa

Quando torna nel suo ufficio alla Camera - sono quasi le sette di sera - Giorgia Meloni sbatte la porta e dice molto molto arrabbiata: “Adesso basta, io faccio saltare tutti gli accordi”. Poco dopo anche Salvini - anche lui atteso a Villa Grande in serata ma senza successo visto che il faccia a faccia Berlusconi-Meloni era già finito malissimo - lascia la Camera dei deputati e confida ai cronisti: “Io ora vado dalla mia fidanzata. Però tenete i cellulari accesi, la notte è ancora lunga”. Ecco cosa è successo ieri in maggioranza a poche ore dall’avvio ufficiale della XIX legislatura. Giorgia Meloni ha poi lasciato Montecitorio alle 21 e 30 dall’uscita che dà direttamente sul parcheggio interno dei deputati proprio per evitare giornalisti e telecamere. È la prima volta che lo fa in tre settimane. Pochi minuti dopo esce anche Antonio Tajani, il numero 2 di Forza Italia: anche lui non dice una parola. Neppure se ha visto la presidente di Fratelli d’Italia. Certo è che anche Tajani è un pezzo di quel puzzle faticosamente messo insieme in queste tre settimane col bilancino e la pazienza delle contropartite reciproche e ora finito in pezzi.

Una partita unica

Doveva essere una partita unica, in due tempi, presidenze di Camera e Senato e squadra di governo. La notte è lunga. Ma sembra difficile che entro stamani si possa nuovamente ritrovare un filo conduttore per eleggere i due presidenti di Camera e Senato e chiudere il puzzle della squadra di governo. E’ il peggior inizio che Meloni potesse augurarsi. Non un buon viatico per l’avvio della legislatura. La prova evidente che nella coalizione dei più forti nessuno si fida di nessuno. E non sono retroscena dei giornali. Ieri è stato messo tutto plasticamente in piazza. Il problema stavolta non sarebbero Salvini e la Lega (qui potrebbe esserci anche un gioco delle parti perchè l’asse Lega-Forza Italia è indistruttibile) ma il Cavaliere con le sue “pretese” tra cui il ruolo di Licia Ronzulli e il dicastero della Giustizia. Anche la Lega ha le sue pretese e nelle scorse settimane le dirigenze di entrambi i partiti le hanno messe quotidianamente sul tavolo. Del resto Meloni avrà pure la maggioranza con il 26% dei voti ma senza i due soci non ha la maggioranza.

Sembrava fatta

Eppure fino alle 19 sembrava che il puzzle avesse trovato tutti i suoi pezzi. Dopo tre settimane di tentativi, bilancino alla mano, vari stop and go e limature, la giornata era stata segnata da dichiarazioni piene di ottimismo. “Saremo veloci e lavoreremo bene” ha ripetuto Meloni ogni giorno di queste lunghissime tre settimane tra il 26 settembre e ieri pomeriggio, l’inizio ufficiale della XIX legislatura. Un tempo che è sembrato ancora più dilatato e quindi inutile visto il risultato assai netto delle urne. Un tempo dettato dalle regole costituzionali e non dalle tensioni, che pure ci sono state e continuano ad esserci, tra i soci della maggioranza di destra-centro. “Ho pronta un’offerta generosa, sono ottimista, di sicuro non possiamo perdere tempo in una situazione generale complicata come quella attuale” ha detto la presidente di Fratelli d’Italia ieri entrando intorno all’ora di pranzo nel palazzo dei gruppi parlamentari della Camera. Ieri sera è tornato tutto in alto mare, a cominciare dalle presidenze delle due camere.

Il caso Molinari

Il primo tempo dell’accordo saltato prevedeva l’elezione di Ignazio La Russa alla guida del Senato. L’ex colonnello, ai tempi di An, con Fini e Gasparri. Era con Meloni ieri pomerigio a Villa Grande, anche lui testimone del misfatto. Non ha voluto dichiarare una parola. Il regolamento del Senato prevede che si proceda con votazione a maggioranza semplice fin dalla prima votazione e già stasera quel primo tempo doveva essere chiuso per essere completato domani con l’elezione di Riccardo Molinari alla presidenza della Camera. E’ l’ ex capogruppo della Lega alla Camera, avvocato quarantenne di Alessandria, vecchia scuola padana (la prima tessera appena ventenne), esperto e stimato anche dalle altre forze politiche, buon oratore e personalità inclusiva, non divisiva, lontano da eccessi. Salvini ha provato ad un certo punto a mandare avanti il suo gemello diverso, Nicola Molteni, suo braccio destro al Viminale ai tempi del Conte 1. Ma l’accordo sarebbe stato chiuso e blindato su Molinari anche in risposta alla notizia per cui il 24 settembre, giorno prima del voto, la procura di Torino lo ha rinviato a giudizio per falso nelle liste elettorali, una faccenda di un candidato escluso dalle liste delle elezioni comunali di Moncalieri (2020). Giusto per capire l’approccio totalmente garantista che questa maggioranza avrà sulla giustizia. “Essere imputati per questo tipo di reati, con notizie di due anni fa e guarda caso fatte uscire alla vigilia del voto, non può in alcun modo condizionare le scelte politiche di un partito” spiegava ieri una fonte della Lega.

La scelta di La Russa

Anche la scelta di La Russa al Senato risponderebbe ad alcune contropartite interne: il fondatore di Fratelli d’Italia (2012 con Crosetto, Rampelli e Meloni) aveva posto i suoi desiderata sul ministero della Difesa (dove era già stato nel governo Berlusconi del 2008). Meloni ha preferito tenere libera quella casella e lo ha spinto a prendere in considerazione la seconda carica dello Stato: essere il vice di Mattarella è un ruolo cruciale per la legislatura; essere il numero 1 del Senato è cruciale per la tenuta della maggioranza che, come sempre, avrà a palazzo Madama il suo punto debole. Insomma, un ruolo strategico che non a caso la Lega aveva chiesto per Roberto Calderoli, l’uomo dei regolamenti, capace in ugual modo e in modo assolutamente legittimo di bloccare i lavori l’aula o di farla lavorare in modo assai spedito. Meloni non ha voluto dare a Salvini questo vantaggio che in cambio ha chiesto più ministeri. E molti di peso. L’opzione Calderoli in realtà non è mai uscita di scena proprio perchè per Salvini la contropartita ad una tale rinuncia deve essere molto molto allettante.

Il puzzle del governo

Prima che saltasse tutto, il puzzlc vedeva la Lega titolare di ben cinque ministeri. Salvini ha rinunciato al Viminale in cambio del tecnico d’area il prefetto Matteo Piantedosi che è stato capo di gabinetto quando Salvini era ministro ai tempi del Conte 1. Facendo il punto nel Consiglio federale convocato ieri alle 16 alla Camera, il segretario aveva tirato le fila dell’accordo quadro. Salvini sarebbe andato alle Infrastrutture con Rixi viceministro. Gianmarco Centinaio all’Agricoltura, Lorenzo Fontana alle Disabilità e Erika Stefani agli Affari regionali- Autonomia, un dicastero centrale per la Lega. Un ottimo accordo con una precisazione: “Se Meloni vuole Giorgetti al Ministero dell’economia e finanze, siano onorati e orgogliosi di questa scelta e di questa responsabilità. Ma sia chiaro che la casella non va messa in conto alla Lega”. Come dire: è una scelta di Meloni, il Mef non può essere contato “come ministero di peso della Lega”. E questo la dice lunga sui rapporti interni al Carroccio. Ma anche sulla delicatezza e difficoltà del momento: il Mef è una casella che scotta e nessuno ambisce a ricoprirla. Ci sono già stati tanti no, declinati ovviamente con altre motivazioni e tutte altrettanto nobili, da Panetta e Siniscalco passando per Scannapieco: Bce, Banca d’Italia, Cassa depositati a prestiti sono incarichi delicatissimi che sarebbe altrettanto sbagliato sguarnire in questo momento. Ma non c’è dubbio che la carta Giorgetti, qualora mai dovesse accettare, è un’indicazione che è stata vissuta male dalla Lega: il ministero più difficile affidato al meno salvininano e più autonomo tra i leghisti, il più vicino a Draghi e anche a Mattarella. C’è stato molto trambusto nella Lega per l’opzione Giorgetti-Mef. “Siamo onorati di questo incarico - ha detto martedì Salvini - e però non può essere contato in quota Lega”. Della serie non mi sottraete altri ministeri per darmi il Mef. Ieri sera, dopo il litigio, è tornato in pista Giorgetti alla presidenza della Camera. Un modo elegante, per Salvini, per levarselo di torno.

I desiderata di Berlusconi

I desiderata di Berlusconi sono quelli che avrebbero fatto saltare tutti i pezzi del puzzle ieri pomeriggio. Tutti d’accordo su Antonio Tajani (dato in grande freddo con Ronzulli) alla Farnesina, c’è un problema alla Giustizia: il Cavaliere vorrebbe l’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati mentre Meloni avrebbe dato il suo benestare a Francesco Paolo Sisto, avvocato di fiducia del Cavaliere, già sottosegretario di Marta Cartabia e quindi in grado di portare avanti i dossier delle varie riforme senza perdere tempo con insediamenti e passaggi di consegne. Il problema mai risolto è quello del ministero per Licia Ronzulli per la cui causa Berlusconi avrebbe sollecitato più volte ed ogni giorni la stessa Meloni. Il braccio destro del Cavaliere aveva puntato sulla Sanità o sull’Istruzione. Sbarrate entrambe le strade, alla fine è spuntato fuori il Turismo accorpato allo Sport. Ma Fratelli d’Italia avrebbe posto il veto su entrambi. Non solo: al Turismo è spuntato fuori il nome di Daniela Santanchè. Aprite cielo: a Villa Grande hanno gridato anche i muri. Anche perché, a forza di desiderata dei cosiddetti alleati, a Fratelli d’Italia restano ministeri importanti (Difesa, Mise, Mite, Cultura, Istruzione, Università) ma sottostimati rispetto alla schiacciante vittoria. Tutto da rifare? E’ un fatto che in serata torna in pista anche la presidenza del Senato a Calderoli. “Tenete i cellulari aperti, la notte porta consiglio” ha detto Salvini ai suoi. “In fondo per i ministri c’è ancora tempo, almeno una settimana” ha tagliato corto Giorgetti col solito fare sornione.

Parola a Liliana Segre

Stamani (ore 9) sarà la senatrice a vita Liliana Segre, 92 anni, sopravvissuta all’Olocausto a presiedere la seduta inaugurale della legislatura e della Camera alta. E’ lei la senatrice più anziana. In realtà sarebbe Giorgio Napolitano ma non sarà presente per motivi di salute. Il suo ultimo discorso pubblico risale al 2020. E sarà certamente il momento più alto ed emozionante della giornata. Se c’è l’accordo, potrebbe anche essere una seduta veloce. Da chiudere già nel pomeriggio. Alla Camera (inizio ore 10) la seduta sarà presieduta da Ettore Rosato (Italia viva-Terzo Polo), anche lui il più anziano dell’assemblea. Qui però le prime due votazioni sono a maggioranza qualificata. Per le terza a maggioranza semplice, bisogna aspettare domattina. “Vietato iniziare male” titolava ieri Il Giornale, il giornale di centrodestra diretto da Augusto Minzolini. Si può dire che è iniziata malissimo. Ma troveranno comunque il modo di fare il governo.