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L'"uomo delle tasse" è un raffinato politico che crede nella democrazia, nell’uguaglianza e nel bene comune

Tra i motivi per cui ha lasciato l’agenzia, gli ultimi scontri per la lettera-pec sul concordato fiscale. Il viceministro Leo ha scaricato sull’Agenzia. Troppo facile. “Impossibile continuare a lavorare con cui definisce la tasse un pizzo di Stato” . Con chi ha deciso 21 condoni in 26 mesi di governo. Ruffini assicura che non scenderà in poltica. Ma tre suoi libri ci dicono bene chi è e perchè sarebbe bene che lo facesse

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Enrico Maria Ruffini ex direttore dell'Agenzia delle entrate (Ansa)
Enrico Maria Ruffini ex direttore dell'Agenzia delle entrate (Ansa)

“L’uomo delle tasse, bella idea” si sono affrettati col solito sarcasmo da destra e da sinistra. Con ugual garbo, verrebbe da dire, pur di bollare, “sistemare” e relegare tra i paradossi e le caricature il nome nuovo che qualcuno aveva sussurrato e ora inizia a fare paura. Perché inatteso, un outsider, uno dei massimi dirigenti dello Stato figlio di quella cultura cattolica e di sinistra da troppo tempo senza voce e senza un peso. La Lega guida la fila dei detrattori con una nota ufficiale: “Basta con chi vuole vessare, intimidire e minacciare i contribuenti che hanno rispettato le regole con le oltre 3 milioni di lettere inviate sotto Natale. A Ruffini auguriamo le migliori fortune, ma ben lontano dai portafogli degli italiani”.

Se Meloni tace, parla Osnato, il responsabile economico dei Fratelli sottolineando le “contraddizioni” di Ruffini: “Come è possibile dire che non si vuole più avere a che fare con chi pensa che le tasse siano un pizzo di stato (lo ha detto Ruffini nell’intervista delle dimissioni) e però registrare, anzi rivendicare successi nel recupero dell’evasone?”. Forza Italia manda avanti la sua anima più destra, Maurizio Gasparri: “Ruffini non si prenda meriti che non ha”. Tace l’anima centrista degli azzurri. E non è un caso.

Approccio meschino e sbagliato

La verità è che anche solo l’ipotesi-Ruffini preoccupa, agita, fa alzare scudi difensivi che diventano di attacco. E bollarlo come “l’uomo delle tasse” - questo lo fanno anche da sinistra - è un approccio meschino e ottuso quindi sbagliato.  La biografia ufficiale pala di un avvocato tributarista, 55 anni, nato a Palermo e cresciuto a Roma, dal 2015 alla guida dell’Agenzia delle entrate (allora Equitalia) dove arrivò con Matteo Renzi e fin qui sempre confermato da ogni governo. Tranne uno: il Conte 1, quello del patto Lega e 5 Stelle. Pochi - parlando del grande pubblico - sanno che quel ragazzo con gli occhiali che sembrava Harry Potter e nel 2015 entrò in Agenzia con l’obiettivo di informatizzare il più possibile, collegare la banche dati e far pagare meno per far pagare tutti, è anche un figlio d’arte, uno che ha mangiato pane e politica fin da piccolo. Buona politic.

Il padre era Attilio Ruffini, colonna della Prima repubblica e della Dc che guardava più a sinistra, ministro della Repubblica dal 1963 al 1987 agli Esteri, alla Difesa, ai Trasporti,  convinto antifascista e partigiano durante la Resistenza con la Brigate cattoliche delle Brigate Verdi. “Lo sforzo massimo - scrisse Attilio nel libro “La grande tentazione - dev’essere compiuto per riscoprire l’ideale democratico, per educare e convincere i cittadini a partecipare concretamente alla vita dello Stato; non basta la garanzia formale di esercizio di libertà, occorre che quella libertà sia esercitata”. Lo zio era Ernesto Ruffini, a lungo cardinale e arcivescovo di Palermo. Da parte di madre, è nipote di Enrico La Loggia, ministro nei primi governi Berlusconi. Ha quattro fratelli e sorelle e tra questi uno, il più grande, Paolo, ha scelto di fare il giornalista ed è stato uno dei più grandi innovatori dei programmi Rai. Sono suoi, per dirne un paio,  format come “Report” e “in mezz’ora”.

Clima cambiato

Venerdì mattina Ernesto Maria Ruffini dopo oltre un mese di indiscrezioni di alto livello, ha rilasciato un’intervista al Corsera in cui spiega perché si è già dimesso dall’Agenzia delle entrate. “Scendo ma non salgo (in politica, ndr)”  ha chiarito, cioè nessun impegno in politica. “Rivendico però il diritto di parlare. E dire quello che vedo: il clima è cambiato, la lotta all’evasione sembra una colpa”. Non solo: “Non era mai successo vedere pubblici funzionari additati come estorsori d’un pizzo di Stato”. La goccia è stato l’ultimo scontro sulla per arrivata ai contribuenti per invogliarli al concordato fiscale: il viceministro Leo ha scaricato su Ruffini quando la decisione è stata del governo. E poi ventuno condoni di 26 mesi di governo sono troppi probabilmente anche per un evasore.

Ci sono almeno altri quattro passaggi chiave nell’intervista. Il primo: “La mia unica bussola in questi anni è stato il rispetto per le leggi e per il mandato  che mi è stato affidato perchè i lesso più profondo dello Stato è questo; essere al di sopra delle parti, servire i bene comune” . Il secondo: “Nell’ultimo periodo è stata fatta una descrizione caricaturale del ruolo di Direttore dell’agenzia come se combattere l’evasione fosse una scelta di parte e qualcosa di cui vergognarsi”. Il terzo: “Se il fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato, tanto più che il livello della tassazione lo decide il legislatore e non l’Agenzia delle entrate. Chi danneggia i cittadini onesti sono gli evasori”. Infine, la definizione di politica: “Non è un posto dove sedersi ma dove restare in piedi e camminare. Ed è fatta da ogni politico che crede nel bene comune, nella democrazia, nelle istituzioni. Per i valori con cui sono cresciuto, politica vuole die soprattutto avere a cuore la comunità in cui si vive”.

Tre libri

Dunque “l’uomo” delle tasse è uomo di legge con una personalissima, e fuori moda, concezione di cosa sia la politica. E di cosa significhi “fare politica”: coltivare il bene comune, il valore primario dell’uguaglianza, il valore della democrazia. Per chi avesse voglia di andare oltre l’etichetta caricaturale dell’uomo delle tasse - che è l’anticamera dell’esattore del “pizzo di stato” come lo ha definito Meloni nel ’22 -   ci sono tre libri di Ruffini che spiegano, illustrano, illuminano. Il primo è del 2013, s’intitola L’evasione spiegata ad un evasore (e all’evasore dentro di noi), (ed Futura).  Ruffini, che all’epoca è ancora l’avvocato in un noto studio romano e tre anni prima è stato sul palco della Leopolda per lanciare il progetto di un fisco 2.0 (digitalizzazione, connessione banche dati, moneta elettronica, tutte cose fatte) che sia amico ma anche giusto, immagina il dialogo tra un piccolo evasore fiscale e un tributarista. Alla base è l’idea di discutere il problema dell’evasione fiscale affrontando i principali argomenti – morali, politici ed economici – ai quali, di solito, si ricorre per giustificare il mancato pagamento delle tasse, il rifiuto di rilasciare una ricevuta o uno scontrino.

Il dialogo non è solo il confronto tra due differenti punti di vista ma si spinge oltre. Dalla discussione nasce infatti una proposta, nascono le soluzioni che potrebbero essere adottate per voltare pagina e costruire tra i cittadini un nuovo patto di lealtà fiscale per il bene comune. A firmare la prefazione è Romano Prodi. La postfazione è di Vincenzo Visco. Scrive Prodi:  Sono troppi anni che sembriamo essere rassegnati ad un clima di tolleranza e assuefazione ad una realtà che non può essere modificata. Occorre invece restituire alla collettività quello che le è stato tolto, che le è stato rubato, e restituirle specialmente quel senso di equità e giustizia senza  il quale non ci può essere futuro”. Alla fine del dialogo, scrive l’ex premier, “l’obbligo fiscale  emerge come una necessità collettiva fondato non solo sull’etica ma sul buon senso, semplicemente per evitare la catastrofe”. E attenzione: non è certo un libro a difesa della burocrazia, anzi, viene messa sotto accusa per le sue mancanze e gli abusi. Un fisco più giusto passa senza dubbio da un fisco più amico e la lotta all’evasione diventa lo strumento  principe di difesa del cittadino”.

“Uguaglianza”

Un altro libro che aiuta a capire chi sia “l’uomo delle tasse” è più recente, s’intitola “Uguali per costituzione, storia di un’utopia incompiuta dal 1948 ad oggi” (ed Feltrinelli) e ha la prefazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’incipit è l’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti alla vita economica e sociale del Paese”. La dedica è un “grazie a chi ci ha condotti fin qui con l’augurio che altrettanto possa dire chi verrà dopo di noi, nonostante tutto”. E’ un saggio dedicato all’importanza chiave della tutela e della tensione all’uguaglianza come momento chiave per difendere la democrazia.

Scrive Mattarella: “Questo libro racconta la nostra storia, le nostre radici e ci invita a fidarci del futuro. Leggerlo fa riflettere sulla radice della parola “Parlamento”: il luogo dove le parole costituiscono, fondano, la nostra identità senza congelarla in un simulacro. Fa pensare allo spreco che spesso si fa delle parole. E al peso che le parole hanno. Fa pensare alle parole che costruiscono e a quelle che possono distruggere. Alle parole vuote, insignificanti, che non impegnano; e a quelle piene, dense di significati. Parole da ricordare o da dimenticare. Queste pagine parlano delle parole da ricordare. Delle parole che costruiscono. Parole che uniscono”.

La trinità di libri che costruiscono la prova di una statura politica e poi di impegno politico di Ernesto Maria Ruffini si completa con un testo publicato in poche copie, quasi un atto privato ma fortemente simbolico perchè è il testamento politico che il padre Attilio consegna idealmente al figlio Ernesto che ha rimesso in ordine scritti e parole del padre.

Lo dirà il tempo

Nell’intervista Ruffini nega un suo impegno politico diretto. Lo dirà il tempo. Molti leader politici lavorano, al suo posto, su un progetto politico che lo vede nel ruolo di federatore di un grande centro che sta nella metà campo della sinistra. Esattamente quel pezzo che manca e che purtroppo Renzi e Calenda, per motivi diversi, non hanno potuto coalizzare. Quel pezzo che Giorgia Meloni teme fino al punto di non nominarlo neppure. La premier parla sempre di centrodestra - quando quella che guida è una coalizione di destra - e sempre di sinistra perchè sa che la riorganizzazione di un centro a sinistra può fare la differenza. Si vince al centro, conquistando i voti moderati.   

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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