[Il ritratto] All’Unesco sbarca il metodo Oronzo Canà, testimonianza di un Paese ignorante
La nomina di Lino Banfi da parte del Governo, fa discutere. Il comico è l’italiano perfetto, trasformista di lungo corso. Da socialista a Berlusconiano fino all'appoggio al nuovo esecutivo dopo il 4 marzo
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«Per dirla papéle papéle», alla sua maniera, non è stato solo Lino Banfi che ha pensato a uno scherzo quando Di Maio ha annunciato che il governo l’aveva scelto come suo rappresentante nella commissione italiana per l’Unesco: «Diamo questa notizia all’Italia che a me riempie di orgoglio. Abbiamo fatto Lino Banfi patrimonio dell’Unesco». Al posto di Folco Quilici, documentarista di grande cultura e spessore, arriva Oronzo Canà, «ti spacco i menischi, porca puttena», fulgida testimonianza del Paese che siamo, anche molto simpatico, magari, ma tanto pasticcione e parecchio ignorante.
Le condizioni di Lino Banfi
D’altro canto, il primo a garantirlo è proprio l’attore pugliese che confessa candidamente di aver posto «due condizioni sine qua non per accettare: niente inglese e niente laurea. Basta con tutti questi plurilaureati nelle commissioni. Io porterò un sorriso. Penso che abbiano pensato a me perché sono una persona vera, nazionalpopolare». E ha ragione. Ne ha molto meno quando dice che «la politica non c’entra».
L’italiano perfetto
Lino Banfi è l’italiano perfetto, trasformista di lungo corso, di quelli raccontati da Alberto Sordi, sempre magnificamente dalla parte del più forte. Negli Anni 80 votava per Craxi, cioè il politico che comandava l’Italia col 12 per cento, dai 90 in poi è stato berlusconiano di ferro e d’acciaio, con tanto di accorati endorsement pubblici, e subito dopo il 4 marzo e la caduta libera del Cavaliere, s’è distinto tra i primi a distribuire ponderati e convinti encomi al nuovo governo. Quando si dice velocità d’esecuzione.
Così, dopo pochi giorni s’è già trovato casualmente a pranzo con Luigi Di Maio. Ai giornali ha detto che il ministro era venuto a fargli gli auguri per i suoi 82 anni: «e vedere un ragazzo di trent’anni che sa a memoria tutti i miei film mi ha commosso». Cioè, pietre miliari del nostro cinema, come da breve elenco: La liceale nella classe dei ripetenti, L’onorevole con l’amante sotto il letto, La moglie in bianco... l’amante al pepe, L’infermiera di notte, L’insegnante viene a casa, L’insegnante va in collegio, Cornetti alla crema, Occhio malocchio prezzemolo e finocchio, e - dulcis in fundo - soprattutto Vieni avanti cretino. Elencarli tutti è impossibile, anche se per stima del Maestro - come l’ha chiamato Luigi Di Maio - vorremmo farlo:
I 100 film di nonno Libero
Lino Banfi ha recitato in più di cento film, da cui si deduce che la memoria del nostro ministro, per ricordarseli tutti, è davvero eccezionale. Sessant’anni di carriera con battute che qualche critico, magari plurilaureato, ha ingiustamente disprezzato, tipo «a fra poco, o come dicono i francesi, a frappé», e l’indimenticabile «Meglio abbondante e deficiente, come diceva Dante, Inverno e Paradiso». E pensare che il nonno Libero della fiction «Un medico in famiglia» avrebbe potuto fare il prete, perché il padre cattolicissimo per farlo studiare l’aveva mandato in seminario. Solo che quando faceva le recite, ha raccontato lui una volta, «si mettevano tutti a ridere, anche se facevo le parti drammatiche di Giuda e San Pietro, e il rettore si arrabbiava come una furia. Io invece cominciai a pensare che quello poteva essere il mio destino: l’attore comico».
La fuga dal collegio
Prima di arrivarci, però, scappò dal collegio promettendo alla mamma che avrebbe studiato per fare il medico. Promesse da marinaio. In realtà, non aveva nessuna viglia di studiare e preferiva fare il cantante nelle feste di paese, quelle con le pertiche da arrampicarsi e le gare nei sacchi. E a 17 anni fugge di nuovo, questa volta con la compagnia teatrale di sceneggiate napoletane Arturo Vetrani: «Più del palcoscenico mi convinsero le ballerine».
Gli inizi della carriera e i successi
Pasquale Zagaria, nato ad Andria e cresciuto a Molfetta, profonda Puglia, inizio così. Teatri di varietà, Milano e poi Roma. Il suo nome d’arte è Lino Zaga, ma un giorno Totò gli rammenta che porta fortuna accorciare i nomi, ma sfortuna accorciare i cognomi. Tieni Lino, csambia Zaga. Allora lui sfogliò il registro di classe di un maestro elementare che era il marito di una soubrette e scelse il primo cognome dell’elenco: Aureliano Banfi. Così nacque Lino Banfi. Al cinema ci approda con piccole parti nei film di Franco e Ciccio. Il suo primo ruolo da protagonista è nel 1973, a 37 anni: «Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia». La pellicola va bene e arriva il successo. Diventa uno degli attori principali delle commedie sexy degli Anni 70 e 80, con gli altri indimenticabili artefici di quel cinema di provincia, con le sale piene di fumo e risate nazionalpopolari: Lando Buzzanca, Renzo Montagnani e Alvaro Vitali. Oronzo Canà, L’allenatore nel pallone, è la figura che lo consacra. Dal 1998, però, è nonno Libero, un medico in famiglia, Raiuno.
Oronzo Canà all’Unesco
Le commedie sexy non ci sono più e di Oronzo Canà è rimasta la sua filosofia del 5-5-5 come rappresentazione di uno stile, lo schema di gioco che fa tanto ridere Di Maio, e siamo contenti per lui. Solo che bisogna stare attenti a esagerare. E Lino Banfi nella commissione Unesco potrebbe rivelarsi un azzardo più di quel che si immagina, perché sarà pure vero che tanto tutti nel mondo dicono che l’Italia non è un Paese serio, ma tra una provocazione e l’altra di troppo populismo si può anche affogare. Già, il suo collega di governo, il ministro dell’Interno Salvini, ha preso le distanze con una battuta: «E perché no Jerry Calà? Apriamo questo dibattito». Lino Banfi dice che non è un problema: «Io non divido. Io unisco». Ne è così sicuro? Carlo Sibilia, sottosegretario M5S, ha lanciato un sondaggio su twitter per dimostrare che nonostante tutte le critiche, la scelta di Di Maio in realtà piaceva alla gente, con una domanda dalla risposta apparentemente scontata: «Preferite Lino Banfi all’Unesco o Renzi premier?». Sorpresa: l’84 per cento ha votato per Renzi. Porca putténa, un suffragio bulgaro. Proviamo a far finta di niente?