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Rinato o defunto? È l’estate del campo largo

Per il Centrosinistra è una stagione di sali e scendi come le temperature del Nord e del Sud d’Italia. Ogni giorno qualcuno pone il suo paletto, il distinguo per evitare di essere risucchiato dal cosiddetto cantiere del campo largo

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
Rinato o defunto? È l’estate del campo largo

Un giorno il campo largo sembra essere rinato, l’altro sembra essere nuovamente defunto. L’estate del centrosinistra è un sali e scendi come le temperature del Nord e del Sud d’Italia. Ogni giorno qualcuno pone il suo paletto, il distinguo per evitare di essere risucchiato dal cosiddetto cantiere del campo largo. Altri giorni l’entusiasmo è alle stelle. Bastava farsi un giro fra l’8 e il 9 agosto a Montecitorio e ascoltare un capannello del Pd. Senza svelare i personaggi coinvolti, il sentiment è positivo: «Che sia spallata: noi ci allarghiamo e dall’altra parte è iniziata una competizione tra Salvini e Meloni dall’esito pericoloso per la coalizione di centrodestra». Pochi metri più i grillini la pensano all’esatto opposto: “Se c’è anche Renzi noi ci sfiliamo”. 

Tutto vero o solo tattica? Gli esperti del palazzo sostengono che al momento opportuno tutti si riuniranno sotto lo stesso tetto. “Non ci sarà bisogno nemmeno di litigare perché la leader è Elly”. Gianni Cuperlo, invece, dirigente di peso del Pd e punto di riferimento della sinistra dei democratici, confida invece che “il campo non può essere una somma di sigle”. 

Entusiasmo che si alterna a sano realismo. Ecco perché la domanda resta la stessa:  «Il centrosinistra può diventare un campo larghissimo, ma a quali condizioni?». Dilemma al momento irrisolto, perché  - come sostengono diversi osservatori - si porrà solo e soltanto quando ci saranno le condizioni. 

Sia come sia, la notizia di queste settimane rimanda all’attivismo di Matteo Renzi. Prima l’abbraccio con Schlein alla partita del cuore, dopo l’endorsement pro “campo largo” e pro Elly che ha sparigliato il centrosinistra e il centrodestra. Renzi è il più loquace, in queste ore, e  in un’intervista al Corriere della Sera si è espresso così: «Si può vincere solo con un contratto alla tedesca in cui si scriva prima, argomento per argomento, cosa vogliamo fare e cosa no. Oggi l'opposizione tutta insieme è maggioranza nel Paese. Se costruiamo un programma la maggioranza numerica diventa maggioranza politica». Secondo l'ex premier «l’esecutivo è segnato da una debolezza che sembrava inimmaginabile solo due mesi fa. Non so quando arriveranno alla rottura, ma certo prima del 2027. Per adesso la Meloni si conferma una brava influencer, che twitta sulle polemiche mediatiche più dibattute ma non fa le riforme che servono al Paese. Intanto fuori da qui la situazione internazionale è molto seria». Su questo, insiste Renzi «il governo non ha nessuna colpa, anche perché non tocca palla su niente». 

Impazzano i dubbi. Perché la compagine è troppo ampia. Come possono stare insieme Giuseppe Conte e Matteo Renzi che già in passato finirono per litigare proprio quando l’avvocato del popolo guidava un esecutivo di centrosinistra? Come si possono coniugare le posizioni di Ilaria Salis, neo eletta europarlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra con quelle di Lorenzo Guerini, anima dei riformisti del Pd? Renzi ha posto la sua condizione: «Noi siamo pronti al confronto sul futuro anche con Conte. Sul passato non cambio idea: io rivendico di aver portato Draghi e ne sono orgoglioso. Ma siamo nel 2024: Conte ha lasciato Chigi tre anni fa, io otto anni fa. È tempo di occuparci di futuro, non di fare le rievocazioni storiche. Quanto alla politica estera, pronto al confronto. Tra Kamala Harris e Donald Trump, tifiamo per la Harris: spero anche Conte. Su Putin e Venezuela non abbiamo dubbi: spero anche Conte. Sull'immigrazione noi vogliamo uscire dalla cultura ideologica dei decreti Salvini: spero anche Conte». 

L’impressione a tutti i livelli all’interno del centrosinistra è che la coalizione extralarge sia utile solo a vincere le elezioni. In passato “le accozzaglie” non hanno certo portato fortuna. In questi giorni al Nazareno si fanno  paralleli con il secondo governo guidato dal professore Romano Prodi. Un esecutivo che includeva  la sinistra più radicale e il centro di Clemente Mastella. Sappiamo tutti come andò a finire. Governo sfiduciato in aula e ritorno di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Una lezione che larga parte del gruppo dirigente del Pd ha imparato e non vorrebbe certamente ripetere. E dopo le urne, dunque, cosa succederà? Domanda che si è posto il presidente del Pd, Stefano Bonaccini: «Non ho mai creduto ad alleanze messe assieme solo per battere gli avversari, senza condividere un programma e un progetto di governo del Paese. Per questo va costruita una coalizione di centrosinistra che non sia solo 'contro' la destra, ma alternativa a questa destra e a questo governo. Per questo ha fatto benissimo Elly Schlein a dire che non mettiamo veti a nessuno e allo stesso tempo pretendiamo rispetto da tutti. Abbiamo già avuto segnali positivi alle amministrative, perché in molti comuni abbiamo vinto con uno schieramento che andava da Azione e Italia Viva, fino ad Avs ed al M5s, spesso con contributi anche di liste civiche. E la mia sensazione è che tra pochi mesi in Emilia-Romagna, in Umbria e anche in Liguria, possa proporsi proprio una larga alleanza di tutte le forze oggi all'opposizione del governo».

Sognare la tripletta può agevolare l’avvicinamento a Palazzo Chigi. Osserva sempre Bonaccini: «Se fino a pochi mesi fa sembrava impossibile immaginare una tripletta del centrosinistra, pur tenendo i piedi per terra e praticando umiltà, oggi possiamo persino ambire a fare risultato pieno». Insomma, crederci non è sbagliato, ma essere prudenti sembra essere la scelta più saggia. Tante le incognite di una coalizione che è sicuramente troppo eterogenea. E dove alcuni partiti - come il Movimento 5Stelle - si ritrovano sotto processo perché la linea dell’avvocato del popolo è stata messa in discussione. In un amen sono rispuntati Beppe Grillo, Davide Casaleggio, e undici ex parlamentari a lamentarsi su Conte e linea politica. Non certo un buon segnale. Anche perché l’ex premier si sente un punto di riferimento del campo progressista. 

Tutto questo genera un giorno fa rifiorire il centrosinistra e l’altro no. Rinato o defunto? È semplicemente l’estate del campo, poi si vedrà. 

 

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
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