[L’analisi] La resurrezione del signor Nessuno sotto la tempesta della speculazione finanziaria
Era già tornato a Firenze, Giuseppe Conte, alle sue lezioni di diritto privato, ai suoi alunni e ai suoi esami, alla sua vita anonima da pendolare di lusso. E a chi gli aveva chiesto se sarebbe tornato nella capitale per fare il presidente del Consiglio, aveva risposto sorridendo: «Se torno a Roma? Subito, risiedo là...»
La resurrezione di Giuseppe Conte comincia in un assolato pomeriggio su una terrazza romana, a colloquio con Salvini e Di Maio, appena nascosto fra le fresche frasche, affacciato assieme ai leader che lo hanno nominato sui palazzi del potere che aveva solo sfiorato fino a qualche giorno fa. Ma è una storia complicata, come una confusa partita in cui non si capisce neanche bene chi attacca e chi si difende, fra alti e bassi senza pausa, e fermate e ripartenze, in un gioco infinito di omissioni e tradimenti, di furbizie e tranelli. Era già tornato a Firenze, Giuseppe Conte, alle sue lezioni di diritto privato, ai suoi alunni e ai suoi esami, alla sua vita anonima da pendolare di lusso.
E a chi gli aveva chiesto se sarebbe tornato nella capitale per fare il presidente del Consiglio, aveva risposto sorridendo: «Se torno a Roma? Subito, risiedo là...». Quelle domande gli erano state fatte perché al mattino - mercoledì mattina, tre giorni dopo la sua rinuncia al mandato -, alcune voci sembravano aver ribaltato tutto: dicevano che il professore non si era presentato in aula a Firenze, e aveva mandato l’assistente al suo posto. A mezzogiorno era tutto rientrato: Giuseppe Conte era riapparso come un miracolato, come ci ha abituato in questi giorni quasi incomprensibili, e oggi più ancora di sempre. Il governo? Gli chiedevano, che succede? E’ di nuovo in piedi? E lui, serafico: «Io posso dire se è in piedi il corso di diritto privato, ed è in piedi, lo stiamo terminando, è agli sgoccioli».
Poi però era subito ripartito. Destinazione Roma. Dove esausti cronisti in appostamento perpetuo giuravano di averlo visto aggirarsi proprio vicino a quei palazzi del potere che aveva lasciato in fretta domenica sera dopo neanche una notte da re, in via di Campo Marzio. In realtà, in quel momento lui non sembrava tornato così in auge e così rapidamente. Lì dentro c’era ancora Carlo Cottarelli, il povero professore che si era messo a disposizione del presidente per formare un governo cui nessuno voleva dare la fiducia. Rischiava di avere al massimo una trentina di voti in Senato, Cottarelli, e il suo non sarebbe stato nemmeno un governo di minoranza e non avrebbe avuto la legittimità nemmeno per fare niente. Persino il Pd, che aveva già esultato (ovviamente a vuoto: fanno ormai tenerezza nel non capirci un’acca di quello che sta accadendo), aveva annunciato una «astensione benevola».
Mentre cresceva il rischio di una tempesta speculativa che avrebbe potuto abbattersi sull’Italia, Sergio Mattarella aveva già ripreso i contatti con Di Maio, alla faccia delle sue minacce di empeachment. E Di Maio si era dimostrato disponibile, anche a un governo alle condizioni del presidente. Il problema era Matteo Salvini, che si muoveva con il passo sicuro di chi sa di aver vinto la sua partita senza neanche troppa fatica, marciando spedito verso il trionfo delle prossime elezioni a stretto giro di posta, con percentuali bulgare sopra il 27 per cento, forse addirittura primo partito, visto il calo progressivo del Movimento Cinque Stelle.
Salvini arringava i suoi deputati e senatori, prenotava comizi, correva verso il voto con il vento in poppa. Solo Giancarlo Giorgetti, il vicesegretario, gli mostrava preoccupato l’inquietante andamento dello spread che saliva più rapido ancora del 2011. Anche Luca Zaia, il presidente del Veneto, sceso a Roma per le grandi riunioni, era preoccupato da questa situazione d’incertezza, con i titoli di stato italiani che crollavano anche sul mercato secondario. Dal Nord Europa qualcuno ha chiamato Giorgetti, facendogli presente il rischio reale di una tempesta in arrivo.
Conviene a qualcuno vincere per prendersi un Paese distrutto economicamente e ridotto allo stremo? Nessuno sa veramente che cosa sia successo. Però Salvini ha cominciato a sembrare un po’ meno sicuro. In quei momenti hanno cominciato a diffondersi le voci di un incarico a Salvini o Giorgetti. Spingeva in quella direzione Forza Italia, che faceva sapere a Mattarella di essere disposta a percorrere questa strada.
Nello stesso tempo, i Cinque Stelle cominciano a far retromarcia sull’ipotesi del voto e sono anche spaventati dalle mosse del centrodestra che chiede un governo politico a guida Lega. Così Di Maio comincia a chiamare Giorgetti e Salvini,che non ha fatto ancora retromarcia e pensa che prima si va a votare meglio è, pure per lo spread, perché a settembre potrebbe essere salito pure troppo. «Riproviamo con il nostro governo», gli dice Di Maio. Lo richiama anche Mattarella. Niente Savona all’economia. «Se sta bene a Di Maio, accetto», risponde al cellulare Salvini.
Giovedì si va di corsa. Il resuscitato Giuseppe Conte riappare sulla terrazza romana con i due leader. Poi Carlo Cottarelli si presenta ai giornalisti: «Come sapete negli ultimi giorni è stata riaperta e poi si è concretizzata la riapertura per un governo politico. Ho quindi rimesso il mandato per il mio governo tecnico. La formazione di un governo politico è la migliore soluzione per il Paese». Parte un applauso irrituale, mai scrosciato in quella sala.
Nessun applauso per Giuseppe Conte che annuncia la lista dei ministri. Non si usa. «Lavoreremo duramente per realizzare il programma politico del contratto», dice. E’ tornato il notaio. Tra discese e risalite, in questa altalena incredibile, però alla fine il ministro dell’economia è Giovanni Tria, professore ed ex collaboratore del Foglio. Che approva la flat tax, ma con prudenza, che dice che il rating è una cosa seria e che bisogna fare i conti con il nostro debito.
La sua estrazione non è proprio quella di un visionario che vuole ottenere tutto e subito. E che in tempi non lontani ha anche affermato: «E’ bene ricordare che l’Italia dall’euro non può uscire. Sarebbe un rischio enorme». Come la mettiamo con Salvini, che nonostante i grandi meriti e la silenziosa capacità di mediazione di Mattarella, è ancora quello con le carte giuste in mano? Quanto potrà resistere il tranquillo professore di Firenze che è appena tornato dal suo passato?