La requisitoria dell’imputato Renzi: "Ci vogliono processare perché facciamo politica"

Intanto sul palco della Leopolda sfilano i pezzi del nuovo centro: Coraggio Italia, Azione, + Europa, i Verdi del sindaco Sala. Una nuova giustizia e il fare i temi condivisi. La standing ovation per il professor Cassese. Scalfarotto: “Ecco la nuova legge in difesa di omo e transfobia”

Matteo Renzi (foto Ansa)
Matteo Renzi (foto Ansa)

Se qualcuno si aspettava un’arringa, ha scoperto dopo pochi minuti che avrebbe invece ascoltato una lunga requisitoria. Un atto di accusa lucido, doloroso, a tratti emozionato, dove certe smorfie e certe battute servono a cacciare via lacrime e sconforto (“dopo quello che è successo, con gente che non c’entra nulla perquisita a casa all’alba o nella notte, solo perché finanziava Open, è chiaro che qualcuno non mi vuole più parlare”) , senza sconti verso nessuno: da quei “vigliacchi” dei colleghi ed ex compagni di partito che per anni sono stati qui in prima fila, che probabilmente devono a Matteo Renzi  tutto o quasi, e da cui non si è alzata una sola parola in difesa; ai magistrati titolari dell’inchiesta Open che stanno facendo “un’operazione politica che in termini tecnici si chiama sputtanamento mediatico”. Lo aveva detto e lo ha ovviamente fatto: “Nella seconda giornata della Leopolda numero 11 faremo il punto sull’inchiesta Open”, giunta a due anni di vita, con un inizio dibattimento probabilmente nella primavera del ’22 e un giudizio definitivo immaginabile se tutto va bene nel 2027. Un faldone di carte davanti, una traccia da seguire perché è difficile raccontare questa roba e farsi seguire senza annoiare, è riuscito ad incantare oltre duemila  persone per un’ora e dieci minuti.

Non sarà la più divertente

Probabilmente non sarà la Leopolda “più divertente” come aveva annunciato Renzi venerdì in apertura. E di sicuro ormai non c’è più da anni lo struscio con annessa bava di chi si mostra solo dove il potere può elargire i suoi benefici.  Il potere di Renzi oggi è in un partito che, nato due anni fa, non ha raggiunto la doppia cifra ma è riuscito a dettare l’agenda politica dal Papeete del 2019 all’ascesa di Draghi nel febbraio 2021. Dato dai sondaggi tra il 2 e il 4 per cento, Italia viva è una comunità di persone, di sindaci e amministratori locali (ieri un vero trionfo per Gianpiero Veronesi, sindaco di Anzola dell’Emilia, e Nicola Cesari, sindaco di Sorbolo) e parlamentari, deputato e senatori (ieri mattina dalle 9.30 circa mille persone hanno partecipato ai 40 Tavoli tematici)  che ha nella Leopolda il suo luogo identitario e una fiducia pazzesca nel suo leader, “unico politico in circolazione" . Chi dice che la Leopolda numero 11 è quella in cui si tocca con mano la solitudine di Renzi “che se si va votare nel 2022 viene spazzato via”, poi entra nella settecentesca stazione dei treni e si trova spiazzato dall’energia e della passione. “E’ incredibile - osservava ieri sera l’avvocato Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali, uno dei relatori del blocco giustizia trattato nel pomeriggio - la quantità di gente presente. Per un leader bastonato da due anni in questo modo dalle inchieste giudiziarie…”. Lo ha chiamato “effetto Renzi”, qualcosa che sfugge ai criteri ordinari dell’analisi politica. La requisitoria di Renzi è appena terminata. Lei avrebbe consigliato ad un suo cliente un intervento del genere? “Ad un cliente qualsiasi no, ma lui, col suo ruolo, ha fatto bene a farlo. Ed è stato bravo, in alcuni passaggi geniale”.

Una requisitoria in tre parti

Un’ora e dieci minuti di monologo aiutato qua e là da qualche foto. Ma poca roba. Stavolta gli effetti speciali sono nei fatti raccontati.  E’ stata una requisitoria e non un’arringa, un atto di accusa e non a difesa (“non ho commesso alcun tipo di reato e vi spiego perché”) che possiamo dividere in tre parti:  perché l’accusa di finanziamento illecito è infondata; la violazione dei diritti dei parlamentari; lo sputtanemento mediatico. Per tutti questi motivi “sarò in aula ogni giorno e ogni giorno a fine udienza prenderò la parola. E’ un mio diritto. I miei avvocati sono già avvisati".

Il cuore dell’accusa coordinata dal sostituto procuratore Luca Turco è che la Fondazione Open organizzava la Leopolda (“vero”) e che nei fatti era un partito.  “Sono assolutamente certo di non aver mai violato la legge, meno che meno quella sul finanziamento alla politica”: l’articolo 3 dello statuto della Fondazione è chiarissimo, si parla di “promozione di idee e iniziative culturali e sociali. Quello che facciamo tutti noi qui ogni anno ai Tavoli: individuiamo problemi e le soluzioni che poi diventano disegni di legge e poi leggi. E’ successo con il Family act. Ma soprattutto “cos’è politica e che cosa non lo è, nei Paesi democratici, lo decide il Parlamento non i magistrati”. Per due volte la Cassazione ha già bocciato l’inchiesta fiorentina proprio per la debolezza dell’impianto restituendo telefoni e device sequestrati in modo non legittimo. Qua e là, anche per alleggerire il racconto, arrivano frecciatine a qualche collega. “Pensate - dice Renzi - che Di Maio ha detto che leggendo le carte Open (92 mila pagine di informativa) ha capito che Renzi voleva distruggere i 5 Stelle. Confesso: il mio reato è stato di non aver distrutto i 5 Stelle. Che comunque lo stanno facendo benissimo da soli”.

"Hanno violato la Carta costituzionale"

Un altro motivo di illegittimità dell’indagine è che probabilmente alcuni investigatori hanno violato la Carta Costituzionale. Due anni fa hanno fatto una retata modello mafia andando a prendere telefoni di persone non indagate, penso che sia una cosa molto grave”. E poi rincara: “Hanno sbagliato Matteo: Matteo Messina Denaro lo hanno cercato impiegando meno persone di quelle utilizzate per me e per due anni hanno distaccato un gruppo di finanzieri per spulciare i miei conti correnti invece di occuparsi dei 15 miliari di fatturato annui delle medie in Toscana”.  La magistratura dovrebbe “studiare un po’ di più e meglio se intende decidere chi e cosa fa politica”. Hanno invece confuso ruoli e competenze. “Tanto per cominciare io non ho mai voluto fare una corrente. L’ho sempre detto e lo rivendico” e fa partire il video in cui nel 2018 spiega pubblicamente perché non fa una corrente “nonostante il mio amico Franceschini mi pregasse di farla in modo che sarebbe stato tutto più semplice”. Piccolo ripasso, allora, e sul maxischermo compaiono due foto giganti di Lorenzo Guerini e Paolo Gentiloni, il primo ministro del Conte II e del Draghi I. “In quegli anni erano i riferimenti, diciamo pure i capi corrente della corrente renziana. Eppure loro non hanno mai dato un centesimo a Open”. L'accusa di finanziamento illecito, ha aggiunto Renzi, “fa venire in mente che ci siano soldi non regolarmente denunciati, presi violando le regole, ma poi si scopre che quei soldi sono tutti tracciati e bonificati”. Forse i magistrati “pensano che le correnti funzionino come in magistratura” ma se volete capire come funziona la politica - ha suggerito ai pm - dovete candidarvi e stare dentro un partito che sta in Parlamento, non andare a prendere i telefonini di chi sta totalmente fuori da questa vicenda”.

La pesca a strascico

Quello dei pm è stato da una parte “analfabetismo politico” nel senso che non sanno come funziona. Dall’altro “un atteggiamento populista” perché pur di trovare qualcosa hanno segnato un campo largo intorno a me e hanno sequestrato i telefonini di  ben 40 persone amici e finanziatori di Open. “Si chiama pesca a strascico ed è un atto gravissimo. Non gli è bastato invadere il terreno della politica, hanno dovuto invadere anche la sfera personale, scaricare messaggi privati miei e dei miei amici, trascriverli nell’informativa di 92 mila pagine che poi è stata data ai giornali”. Tutto questo per arrivare ai conti correnti, a segnare ogni mio passo e attività e poter pubblicare.  Per chi ha seguito l’inchiesta e la diffusione a puntate delle carte non ci sono grosse novità. Mentre parla Matteo Renzi è un uomo scosso, gonfio di rabbia e amarezza. E però attacca. “Tra i test d’accusa c’è Pierluigi Bersani. Ha detto che io volevo tagliare le radici della sinistra del partito e sindacale. Sì, è vero, ho avuto i voti per farlo” Leopolda in piedi e battere le mani. Come quando Renzi ricorda che a proposito di finanziamenti alla politica, “Bersani ha ricevuto 90 mila euro dai Riva a Taranto per la campagna elettorale e D’Alema ha distrutto il Monte dei Paschi”. La gente si spella le mani. Volano stracci e non è mai una bella scena. Ds e Margherita, torniamo a quella roba là: il Pd  fu una fusione a freddo (come disse D’Alema) che da anni rigetta parti che non ha mai riconosciuto.

Renzi sotto assedio?

Si lo è anche se lui dice di no. “Colpo su colpo, io rispondo, se pensano di impedirmi di fare politica si sbagliano”. Qualche dubbio vedendo che negli ultimi tre anni lo stesso pm dell’inchiesta Open ha arrestato i genitori, indagato una sorella, indagato il cognato e ancora Renzi per “prestazioni inesistenti” quando invece ha tenuto conferenze. “Ci vogliono processare perché abbiamo fatto politica”. Alla fine i duemila della Leopolda si alzano per una standing ovation liberatoria.

Già, la politica. Se n’è vista tanta anche ieri alla Leopolda. In mattinata ai Tavoli e poi nei vari interventi dal palco. Molto applaudito Matteo Colaninno quando ha detto chiaramente che il “il governo Draghi è una di quella occasioni eccezionali che non vanno sprecate e meno che mai interrotte”. Negli interventi del pomeriggio hanno preso corpo tre linee distinte: il grande centro (con il Quirinale saranno i temi chiave della chiusura di stamani);  il partito dei sindaci del fare, da sempre un tratto distintivo della Leopolda; una nuova organizzazione della giustizia e una nuova responsabilità per i magistrati che sbagliano, da Tortora in avanti. Sulla giustizia la Leopolda vede sfilare l’avvocatessa Bernardini de Pace, il professor Sabino Cassese, il magistrato Nordio, il presidente delle Camere penali Giandomenico Caiazza, il giornalista Alessandro Barbano: da tutti ricette concordanti sui gravi handicap procurati dalla giustizia in Italia.

Il grande centro sul palco della Leopolda

Proprio il tema della giustizia intesa secondo ricette liberali potrebbe essere il primo nucleo del programma di un grande e nuovo centro (la parola non piace ma ancora non ne è stata inventata una altrettanto chiara). “Non riesco a capire come alle prossime elezioni politiche potremo andare divisi, mi sembra impossibile” si sbilancia Renzi salutando l’onorevole Enrico Costa (Azione di Calenda) che ha detto: “Ci sono mille cittadini che ogni anno devono essere risarcite dallo Stato per errori della magistratura. Eppure secondo il Csm il 98% delle toghe hanno ogni anno valutazioni positive. C’è qualcosa che non torna”. Sul palco sfilano Coraggio Italia (il sindaco di Genova Bucci, molto applaudito), Azione, + Europa (il sottosegretario Benedetto della Vedova che lanciata gli applausi  “Draghi oltre il ’23").  Giuseppe Sala, applaudito sindaco di Milano, spiega perchè oggi a sua avviso parlare di destra e sinistra è un po’ superato. Di conseguenza anche il tema del centro. “Invece sarebbe pagante mettere l’ambiente al centro dell’agenda”. Non importa chi. Importa cosa. Arriva il sindaco Nardella che alcuni retroscena descrivono come sempre più lontano da Renzi. Qui non sembra. Così come il presidente della regione Giani è stato entusiasta la sera prima. Con Ivan Scalfarotto, il padrone di casa sfida gli alleati di governo sul Ddl Zan, una “trappola” del Pd che Italia viva ha ancora sul gozzo. “Presenteremo un emendamento con scritto che si estende la tutela della legge Mancino ai reati motivati da omofobia e transfobia. Chi ci sta la vota chi non ci sta è profeta del bla bla bla”.
Di Quirinale si parlerà oggi. Di sicuro ieri l’applauso e la standing ovation che la Leopolda ha dedicato al professor Cassese sono state un indizio da non sottovalutare.