[L'analisi] Il reddito di cittadinanza fa felici nullafacenti e rom? Non è proprio così, ecco perché
Secondo Libero la misura avrà effetti negativi sulla crescita e molti avranno interesse a lavorare in nero. La misura però può arginare i ricatti occupazionali. Immigrati: Di Maio ha precisato che bisognerà essere residenti in Italia da oltre 10 anni per averne diritto. Possibili abusi? Si tratta di fare le cose per bene come fanno negli altri stati.
Dopo le polemiche sulle coperture per introdurre il reddito di cittadinanza, scovate alla fine attraverso un aumento del deficit, altri argomenti di discussione vengono sollevati dai media. L’assegno andrà solo agli italiani o anche agli stranieri? Per il ministro Di Maio la misura sarà appannaggio dei soli cittadini, ma ultimamente ha spiegato che potrà essere riconosciuta anche agli stranieri purché residenti nel nostro Paese da almeno 10 anni. Un’uscita che, ad avviso di Libero, partorirà ulteriori polemiche, oltre ad allargare la platea degli aventi diritto, facendo levitare i costi per la cassa pubblica.
Il reddito di cittadinanza – sempre stando al punto di vista espresso nel quotidiano – avrà poi altre nefaste conseguenze: tutte le persone che attualmente svolgono lavori umili con paghe bassissime, rinunceranno a lavorare. Perché dovrebbero farlo infatti se il reddito di cittadinanza assicura quasi lo stesso introito senza far niente? E via con gli esempi a corredo di questa affermazione.
Le conseguenze
In Italia ci sarebbero due milioni e seicentomila persone che incassano tra i 6mila e i 7mila euro all’anno. Circa 500 euro al mese. In gran parte si tratta di part-time e stagionali, ma perché dovrebbero dannarsi l’anima e faticare, a quel punto, se possono prendere di più con la misura prevista dai cinquestelle? La fattispecie si attaglia bene a tante figure del mondo del lavoro di questo nostro Paese, dove c’è chi, spinto dal bisogno, si accontenta di 500 euro per un mese di sudore e chi nello stesso periodo prende oltre 10mila euro di pensione, magari senza aver versato i corrispondenti contributi. “Un educatore in subappalto dei servizi sociali di Milano - si legge su Libero – percepisce meno di mille euro mensili, un giovane che fa consegne a domicilio in bicicletta non supera i 5mila euro all’anno, i portalettere delle società private prendono 600 euro al mese e lavorano il doppio dei postini statali”. Non stanno meglio i camerieri del catering, taluni lavoratori dell’agricoltura, le badanti, le donne di servizio e così via enumerando.
E’ vero che molte di queste persone lavorano anche in nero, ma qui si apre secondo il quotidiano fondato da Feltri un’altra annosa questione rapportabile al costume nostrano: è prevedibile che molti di questi lavoratori tentino di sparire del tutto agli occhi del fisco per incassare anche il reddito di cittadinanza. Prevedibile insomma che lavorino in nero per rimanere ufficialmente disoccupati e aver diritto all’assegno.
Riduzione Pil
In questo modo si avrà un risultato inevitabile: la riduzione del Pil. Il paradosso, per ciò, è praticamente servito, almeno secondo il quotidiano: “il governo contava di ripagare i debiti fatti per dare il reddito di cittadinanza con l’aumento della crescita e questa potrebbe invece rallentare proprio a causa del reddito di cittadinanza”. In sostanza una “grande fregatura” per tutti.
Alcune riflessioni
Premesso che, c'è da scommetterlo, non tutti gli italiani abbandoneranno il lavoro per poltrire, viene da fare una prima osservazione alle obiezioni proposte da Libero: se ci sono retribuzioni tanto basse da essere sotto i 780 euro, ovvero il limite di povertà, non sarà questo il vero problema da affrontare? Non sarà forse necessario auspicare retribuzioni più giuste, più alte, proporzionate al lavoro svolto e rispettose della dignità del lavoratore? Magari l’introduzione del reddito di cittadinanza potrebbe addirittura introdurre un certo “naturale” adeguamento dei salari da fame che oggi vengono imposti con forza ricattatoria: o prendi questa minestra o salti dalla finestra, tanto di disperati che hanno bisogno di un lavoro, anche misero, se ne trovano tanti. Ecco, bisogna chiedersi se il reddito di cittadinanza non possa togliere forza anche alla realizzabilità di queste forme di umiliazione sociale. Fermo restando che il ricatto più grosso deriva dalla mancanza di lavoro che costringe, per sopravvivere, ad accettare retribuzioni indecenti e condizioni discutibili. Serve insomma più occupazione. E per ottenerla servono interventi espansivi e adeguati investimenti, anche pubblici. Giusto allora intraprendere, in qualsiasi modo, la strada della crescita, visto che quella finora battuta della austerity e dei tagli ha prodotto ben poco, a parte l’aumento della povertà e del debito pubblico in nome del quale erano state chieste lacrime e sangue. L’assegno di cittadinanza può sostenere chi ne ha bisogno e contribuire dunque (come aveva cominciato a fare il rei), nell’ambito di nuove politiche di tipo keynesiano, ad aumentare i consumi e favorire la creazione di occupazione, specie nei servizi e nel commercio.
E poi come chiarito in più occasioni per aver diritto all’assegno bisogna dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro, di non averne lasciato uno volontariamente, di essere disponibili a seguire dei corsi di formazione, prestarsi a un certo numero di ore di attività per pubblica utilità e avere un reddito familiare basso. Si tratta allora, in sostanza, di allestire meccanismi di controllo per evitare le furberie e gli abusi, attivando una misura che, non è inutile ricordarlo, esiste con varie peculiarità in tutti gli stati europei.
Le nuove assunzioni per i jobs center
Secondo le stime elaborate dal fronte pentastellato del governo dovrebbero essere 6,5 milioni gli interessati al provvedimento e la spesa prevista si aggirerebbe sui 10 miliardi. Per gestire adeguatamente la concessione dell’assegno è previsto inoltre un potenziamento dei centri pubblici per l’impiego. I nuovi Jobs center dovrebbero essere rinforzati anche per quanto riguarda il personale. Si parla di 25mila nuove assunzioni con una spesa di 35mila euro l’anno a testa, un impegno finanziario non indifferente. Alla fine – come precisa Libero – la rete degli sportelli pubblici per il lavoro dovrebbero contare qualcosa come 33mila addetti con un costo approssimativo di un miliardo e 155 milioni all’anno.
Il modello dei cinquestelle dovrebbe essere l’Agenzia federale tedesca, che dà risultati invidiabili e, con i suoi 90mila specialisti del collocamento, riesce a trovare un lavoro ad oltre l’80 per cento dei disoccupati che se ne avvalgono. Certo ci si riferisce a contesti socio economici molto diversi dal nostro, ma è sempre meglio cercare di imparare da chi le cose le fa funzionare bene per cambiare radicalmente la nostra situazione. Attualmente da noi infatti solo 4 disoccupati su 100 pare trovino lavoro tramite i servizi pubblici. Ovvio che cambiare l’efficienza dei servizi per l’inserimento nel mercato del lavoro, favorendo l’incontro di domanda ed offerta, richieda cambiamenti coraggiosi.
Il caso Rom
C’è poi un aspetto che preoccupa particolarmente Libero: del reddito di cittadinanza rischiano di poter usufruire anche i Rom. Secondo i dati forniti al giornale dall’Associazione 21 luglio che ne difende i diritti, sono circa 5mila quelli con la cittadinanza italiana nel nostro Paese. E fin qui nessun problema, perché come riconosce lo stesso quotidiano “loro potranno usufruire del reddito di cittadinanza, dato che non si possono discriminare delle persone su base etnica”. E ci mancherebbe.
Ma il numero dovrebbe essere riduttivo, infatti si riferirebbe a quelli con passaporto italiano che vivono nelle strutture gestite da amministrazioni pubbliche. La stessa associazione 21 luglio parla infatti di una presenza sul nostro territorio di “ 120mila-180mila rom, sinti e camminanti”. E tra questi, quelli con cittadinanza italiana sarebbero in realtà 70mila. Per mantenere in piedi il sistema di servizi, i campi e altro, ogni anno l’Italia spenderebbe attualmente qualcosa come 100 milioni di euro.
La Costituzione
Ora se è vero che il governo Conte dovrebbe circoscrivere il godimento del diritto al reddito di cittadinanza ai soli cittadini italiani è altrettanto vero che “la giurisprudenza del nostro Paese e quella della Unione Europea potrebbe eccepire che non si può discriminare lo straniero regolare, come testimoniano casi sui bonus bebè e altre prestazioni assistenziali”. E su questo il quotidiano diretto da Pietro Senaldi accende l’allarme. Di Maio chiarisce al proposito che ci vorranno come minimo 10 anni di residenza in Italia, ma bisognerà vedere come evolveranno le cose e come, nel caso, decideranno appunto i giudici. Per il resto cosa attendersi? La considerazione scaturisce spontanea: se le condizioni richieste dalle norme saranno rispettate, se si tratterà di cittadini che oltre a chiedere diritti rispettano i doveri, non si potrà certo discutere l’attribuzione di un diritto che spetta a tutti gli italiani, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, come saggiamente prevede l’articolo 3 della nostra Costituzione.