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Il rebus della manovra. La scelta è obbligata tra aumentare le tasse o fare copiosi tagli

Oggi il primo consiglio dei ministri dopo ventuno giorni di pausa. Meloni deve stringere i bulloni con i suoi. Soprattutto Salvini e Tajani: litigano su tutto, dalla banche ai porti

Claudia Fusanidi Claudia Fusani      
Il rebus della manovra. La scelta è obbligata tra aumentare le tasse o fare copiosi tagli
Meloni e Salvini (Ansa)

Glielo ha spiegato nei colloqui privati estivi. Lo ho fatto mettere nero su bianco dal ministro economico dal palco di Cl a Rimini. Sembrava avessero capito: signori, per la manovra non abbiamo soldi quindi congelate le richieste, rinviatele al prossimo anno sperando che sarà migliore. Soprattutto: so che siete già in campagna elettorale per le Europee perchè volete arrivare entrambi secondi e magari tarpare un po’ le ali a me, ma per, per favore, non usate la sessione di bilancio per alzare bandiere e cercare consenso.

Così più o meno ha parlato nelle ultime due settimane Giorgia Meloni ai suoi vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, vicepremier, titolari di dicasteri importanti ma soprattutto leader dei rispettivi partiti, Forza Italia e Lega. Sembrava avessero capito. Un’illusione  durata quanto un gatto in tangenziale: dalle privatizzazioni agli extraprofitti passando per le pensioni, Tajani e Salvini hanno idee diverse, marcano il proprio territorio che non è comune.

Da qui l’esigenza di convocare già oggi un Consiglio dei ministri per cercare di riportare gli alleati in modalità squadra di governo. Non sarà un’impresa semplice date le premesse di queste ore. 

Priorità & risorse

La riunione è prevista nel tardo pomeriggio, la prima dopo 21 giorni esatti di inattività - non per Giorgetti perchè il Mef ha lavorato quasi ininterrottamente a cercare risorse e a scrivere la Nadef -  e non avrà la legge di bilancio all’ordine del giorno. Urge però un confronto sulle priorità (tante) e le risorse disponibili (poche), mettendo tutti di fronte alla realtà: bisognerà compiere delle scelte, rinunciando o ridimensionando gli interventi più corposi come, ad esempio, la Quota 41 secca (in pensione con 41 anno di contributi a prescindere dell’età) rilanciata proprio in questi giorni dalla Lega nonostante la situazione di cassa sia nota da tempo e le promesse private del leader leghista a non alzare bandierine. E così, avendo Salvini già rotto gli accordi, anche gli altri gli vanno dietro con richieste che si moltiplicano all’infinito. Tutto sbagliato urge stringere i bulloni. Cosa che conta di fare oggi Giorgia Meloni nel primo Consiglio dei ministri che segna anche l’inizio del secondo anno di vita del suo governo.

I tre pilastri della manovra dovrebbero essere lavoro, famiglia e imprese. Così almeno fino a venerdì. Nel fine settimana - in coincidenza con le feste di partito che a settembre danno il meglio in quanto a propaganda - il pilastro imprese sarebbe già stato sostituito con quello “pensioni”. E già questo non piace a Giorgia Meloni, a meno che non si parli di minime e quindi di dare sostegno contro il caro vita. 

Il taglio del cuneo: un obbligo

Facciamo, qui,  prima un “giro di tavolo” sui punti su cui c’è accordo. Tra questi sicuramente il rinnovo del taglio del cuneo contributivo per i lavoratori dipendenti, circa 14 milioni di persone con redditi fino a 35 mila euro, in vigore da luglio e in scadenza a fine anno. Si tratta di una voce piuttosto pesante che vale 9-10 miliardi nella versione introdotta con il decreto primo maggio (7 punti per i redditi fino a 25mila e 6 per quelli fino a 35mila). Tutti d’accordo anche sulla necessità della detassazione delle tredicesime, anticipato anche rispetto alla manovra per dare un segnale già sugli stipendi di dicembre. Anche questa è una cura contro il caro-vita e l’aiuto alle famiglie. Una mossa che piace ai partiti in vista delle europee e che non dovrebbe avere un costo eccessivo, soprattutto se ci si limita ai redditi più bassi.

Più in generale il pilastro “famiglia” mette tutti d'accordo con le misure a favore della natalità e dei nuclei numerosi: dagli aiuti alle famiglie con tre figli, alle agevolazioni per chi assume mamme, al bonus per il secondo figlio. Un pacchetto che potrebbe costare sui 4-5 miliardi di euro e sul quale sarà dirottato il miliardo risparmiato con l’assegno unico. Ci sarà poi da fare un tagliando su cosa rimane di quella riforma che se fosse stata realizzata a dovere, avrebbe già risolto molti problemi alle famiglie e, forse, al problema dell’inverno anagrafico. 

Le distanze, dalle pensioni al Ponte sullo Stretto 

Sulle pensioni, invece, si cominciano a misurare le distanze dei partiti. Il vicepremier Antonio Tajani rilancia l’aumento di quelle minime (portarle a 600 euro costerebbe tra i 200 e i 300 milioni), la Lega non ci sta e rilancia con Quota 41 che però costa troppo e andrebbe come minimo ridimensionata. Per ora, quindi, si studiano solo piccoli aggiustamenti per le misure già esistenti: dovrebbe essere confermata Quota 103, ovvero la possibilità di uscire dal lavoro con 62 anni di età e 41 di contributi e l’Ape sociale per i lavoratori disagiati, mentre Opzione donna potrebbe essere ritoccata allargando di nuovo la platea a chi ha 35 anni di contributi con un'età minima che potrebbe essere alzata.

Dividendo il foglio in “entrate” e “uscite”, sempre sulla colonna di queste ultime vanno aggiunti i fondi per far partire il Ponte sullo Stretto (almeno due miliardi su cui Salvini non molla ma su cui invece dovrà fare un passo indietro),  la replica della tassazione agevolata sui premi di produttività, i meglio noti fringe benefit (1-2 miliardi) e le spese indifferibili (6 miliardi). Ci sarebbe poi almeno l’avvio della riforma dell'Irpef (ridurre le aliquote da quattro a tre) alla quale servirebbero 4 miliardi, Nella Nadef  a fine settembre sarà tutto più chiaro.  

Mettendo in fila le voci della colonna “uscite” si arriva vicini ai trenta miliardi. Al netto delle richieste dei ministri: quello della Sanità Orazio Schillaci chiede 4 miliardi, quello della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ne vorrebbe 8 per i contratti pubblici: sono scaduti anche da quattro anni, gli stipendi sono fermi e aggiornarli sarebbe un altro modo per aiutare a combattere l’inflazione. 

La colonna delle entrate

Le entrate, per ora, sono ferme a 4,5 miliardi ricavati in deficit dal Def, 300 milioni della spending review, più risorse non quantificate che il governo punta a raccogliere dal nuovo rapporto 'collaborativo' tra fisco e contribuente. Ci sarebbero i 2,5 miliardi dalla tassa sugli extraprofitti delle banche, ma si tratta di una cifra molto incerta, visto che Forza Italia ha già pronti emendamenti per modificare quattro punti della norma in Parlamento. Si punta ad escludere le banche di piccole dimensioni, a non far gravare la tassa sui titoli di Stato, a renderla deducibile, e a chiarire che si tratta di un’imposta una tantum. Tajani ieri ha dichiarato “chiusa” la polemica con la premier sugli extraprofitti che fu decisa il 7 agosto con un blitz alle spalle proprio di Forza Italia. “Ci siamo già chiariti” ha spiegato il vicepremier che oggi chiede “attenzione” nello scrivere la norma perchè “noi siamo un governo di centrodestra, non dobbiamo alzare le tasse. Scriviamo bene la regola per affermare un giusto principio”.

Fra Tajani e Salvini siamo quasi alla rissa anche sui  porti. Il punto è questo: il governo non ha soldi e per fare la manovra quindi può solo fare due cose: aumentare la tassazione; tagliare i costi, cioè spending review.  Terzium non datar perchè Giorgetti è stato chiaro: non si può andare troppo in deficit, dobbiamo tenere i conti in ordine, l’Europa ci controlla e ballano ancora le regole del nuovo Patto di Stabilità. Da qui l’idea di Tajani di “privatizzare alcuni porti, almeno alcuni servizi”. “La mia proposta - ha spiegato ieri partecipando a “La piazza” a Ceglie Messiapica - non riguarda il bene demaniale, ma i servizi da dare in gestione sempre di più ai privati. Io faccio una proposta e sono stato quello che più si è battuto contro la vendita di alcuni porti ai cinesi. Mi auguro che la proposta del Mit sia bellissima e poi verrà approvata in Cdm. Ognuno porta le sue proposte per migliorare le risposte da dare ai cittadini. Non dobbiamo governare per la nostra vanagloria”. Una proposta che è in tutto e per tutto un doppio dito nell’occhio a Salvini che, per la cronaca, è ministro delle Infrastrutture  e quindi anche dei porti. Non solo: fu proprio la Lega, al governo con i 5 Stelle, a firmare il memorandum della Via della Seta con Pechino in cui c’era anche il capitolo cessione porti.

Difficile ora per Salvini dire qualcosa. “Bisogna stare molto attenti perché ci sono già presenze cinesi in alcuni porti italiani e europei. Starei attento a spalancare le porte a chi ci vede come una colonia o come terra di conquista” ha detto ieri sempre ospite a “La piazza”. Difesa debole. 

Migranti e caro benzina

Anche questi due temi dovrebbe essere all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Non posso non esserlo: i prezzi continuano a volare, non solo della benzina, nonostante le promesse del ministro Urso. Sui migranti - battuto in queste ore il record di sbarchi - la situazione sta diventando sempre più difficile. Ed è chiaro che l’ennesimo decreto sicurezza potrà fare poco o nulla. A meno che non intervenga in modo chiaro sull’accoglienza. Cosa che al momento non sembra essere. 

Ma è sulle alleanze europee che si scava, per ora, il solco più profondo fra i leader di FI e Lega. Tajani sbarra la strada all'alleanza con Afd e Marine Le Pen e con riferimento al numero uno del partito tedesco sentenzia: “Mi fa schifo chi dice che un bambino disabile non può stare in classe con altri bambini. Quando sento cose di sapore nazista, io reagisco con grande fermezza”. Insomma, “è impossibile che si crei una maggioranza nelle istituzioni europee a cui partecipino Afd e il partito della signora Le Pen. Io non sono per escludere Salvini, ma l’unica maggioranza possibile alternativa alla sinistra è l'accordo tra popolari, liberali e conservatori”. Dal canto suo, il segretario del Carroccio ammonisce: “Il centrodestra ha vinto unito in Italia. Se vogliamo cambiare gli equilibri in Europa, il centrodestra deve essere unito anche in Europa. Sicuramente, preferisco la serietà della Le Pen alle politiche di Macron, dei socialisti e dei comunisti europei”.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani      
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